Palazzo Crudomonte – In questa casa nacque Giovanni Crudo poi detto Crudomonte, il 22 gennaio 1792. Fu questi un patriota molto perseguitato dalla polizia borbonica. Gli storici locali lo ignorano, come ignorano – sembra di proposito – il contributo dato dai brindisini al risorgimento politico del Paese. E’ doveroso perciò ricordarlo. Compiuti gli studi, giovanissimo si dette a cospirare per la libertà iniziandosi alla Carboneria non sappiamo in quale anno. Le carte di polizia lo segnalano tra i Decisi nel 1817 e capo dei Filadelfi, nonché capitano della Legione e Gran Maestro nel 1820-21 della Vendita “I liberi piacentini”. Dopo il “nonimestre” costituzionale fu arrestato, tradotto nelle carceri di Lecce, poi in quelle della Vicaria a Napoli e di nuovo in Lecce, e vi fu trattenuto due anni. Era imputato di aver introdotto armi nel Porto di Brindisi e di aver favorito l’evasione dei detenuti, col disegno, che si sperava di vedere secondato dai carbonari, di rovesciare il governo.
Nel 1827 fu nuovamente imprigionato in Lecce per alcuni mesi. Tornato in famiglia trovò le sue campagne derubate e danneggiate dalla plebaglia che in quei tempi considerava legittima la rapina delle proprietà dei “nemici del trono e dell’altare”.
La vigilanza della polizia, però, fu sempre attiva su di lui e sulla sua famiglia. Dopo la rivoluzione del ‘48, spenta nuovamente la libertà, gli fu imprigionato il figlio, che dopo 5 mesi di patimenti morì nel bagno penale di Brindisi.
Nel 1850 egli stesso, col figlio diciottenne Francesco fu imprigionato nelle carceri centrali di Lecce, segregato da tutti i compagni di sventura. Sottoposto a processo per voci allarmanti al fine di spargere il malcontento, fu liberato insieme col figlio il 5 novembre 1850.
Nel 1856 si sentivano novità internazionali e i liberali erano nuovamente in movimento, organizzandosi e cospirando. La polizia aveva avuto sentore di relazioni “criminose” tra gli “attendibili” di Lecce e quelli di Brindisi, e la notte dal 26 al 27 novembre 1856 il terribile Commissario di polizia Pacifico piombò in casa di Domenico Balsamo che era in via Duomo in uno dei caseggiati demoliti nel 1950, e procedè ad una minuziosa perquisizione.
Nel fodero di una scrivania fu repertata una deliberazione della “setta” di Brindisi – nu muersu di carta, come si disse nella città il giorno dopo – che poi si accertò essere di grafia del Crudomonte, dipinto come “Classico attendibile”. E inutile dire che furono immediatamente arrestati il Balsamo che poi fu condannato a tredici anni di ferri, il Crudomonte, tuttochè asmatico e podagroso, ed in seguito a rivelazioni di R. Capece e di A. Taliento – quest’ultimo dai liberali ritenuto un rinnegato – furono imprigionati anche il medico trentatreenne Giuseppe Camassa da Ostuni, esercente in Brindisi, D. Giovanni Laviani, di anni 45 e l’Avv. Giovanni Bellapenna, cognato del Crudomonte.
Fu accertato che i liberali si riunivano segretamente in casa di Domenico Balsamo per le decisioni e nella “ caffetteria”di Francesco Palmisani – che era un vecchio carbonaro – dove leggevano di soppiatto giornali esteri e si scambiavano notizie ed intese.
Tradotti a Lecce, fu istruito il processo. Il Crudomonte e i compagni furono accusati di cospirazione concertata , accettata e conclusa allo scopo di cambiare il Governo, di associazione illecita col vincolo del segreto, costituente setta tra più persone.
E’ tradizione che in carcere l’intendente della provincia D. Carlo Sozzi-Crafa, abbia interrogato il Crudomonte dicendogli: “Tu cospiri pel ritorno del Murat, non è vero?”. Egli recisamente rispose: “Sarebbe stoltezza il cospirare per sostituire a un tiranno ormai passato, uno straniero”; “ma che dunque pretenderesti?”. Ed il Crudomonte rispose: “Nulla per me, ma l’indipendenza e la libertà del Paese”. E’ però acquisito al processo che egli dinanzi al Giudice istruttore, alla domanda se fosse liberale, rispose “Si, sono liberale, se liberale significa opporsi a tutti i soprusi, alle prepotenze e alle ingiustizie”:
Celebratosi il processo dinanzi al Tribunale Speciale di Lecce, il Crudomonte, benchè vecchio e sofferente, fu condannato a 20 anni di ferri, il 20 agosto 1858. Mentre era per partire da Lecce per Procida, carcere di espiazione, il figliulo lo salutava piangente. Il Crudomonte con animo pacato disse al figlio: “Asciuga quelle lacrime, non vedi che i birri esultano”.
Fu liberato dal carcere nel ‘60 trovando la famiglia quasi nella miseria.
Coll’avvento al Governo di Liborio Romano, fu deposto il fanatico Intendente Sozzi-Carafa ed il 4 luglio 1860 se ne partiva da Lecce con la famiglia, inseguito dall’esecrazione dei liberali che tanto avevano sofferto. Al cambio della posta in Brindisi, numerosi cittadini, evidentemente già avvertiti dagli amici di Lecce, si avventavano clamorosamente contro la vettura che trasportava l’ex Intendente. Tra i tumultuanti vi erano Francesco e Catone, figli di Giovanni Crudomonte che gridavano minacciosi all’indirizzo del Sozzi-Carafa: “Assassino, cafone, ci hai mandato in galera il padre, saremmo al caso di toglierti la vita”. L’intervento del Sottintendente di Brindisi e del capitano della gendarmeria ristabilirono l’ordine.
Dopo la liberazione dal carcere il Crudomonte fu a capo della Guardia Nazionale, conservando l’ordine e la legalità, tutelando specialmente quelli che lo avevano perseguitato e nulla chiedendo per sé. Coprì, poscia, varie cariche pubbliche e nel 1866 fu Presidente del Comitato dei Sussidi per la Guerra contro l’Austria.
Avvenuta la sua morte l’uno aprile 1872, tutta la popolazione brindisina seguì il suo feretro coperto dalla divisa del galeotto e dalla bandiera nazionale.
Brano tratto da: N. Vacca – Brindisi Ignorata – Ed. Vecchi e C. – Trani 1954