La chiesa di Santa Maria del Casale, sorta presso Brindisi all’inizio del Trecento, è un’opera di eccezionale interesse artistico, dichiarata monumento nazionale già nel 1875, occupa un posto eminente nella storia dell’arte nella regione. La studiosa B. Sciarra nella sua Guida di Brindisi la definì: “la più bella ed originale chiesa che nel suo stile abbia l’Italia meridionale.”
Ma, se si eccettuano le diligenti descrizioni degli scrittori locali, solo pochi storici dell’arte ne hanno fatto menzione, e sempre in maniera sommaria e incompleta. La sua struttura si impone per la sobria eleganza delle linee architettoniche e per i tenui colori del paramento murario che, con mirabili effetti, s’indora o si accende di riflessi rosati al variare della luce.
Storia
Fra tutti i monumenti di cui Brindisi si adorna, esso ha il notevolissimo pregio di essere giunto a noi pressochè integro sia nell’architettura, quasi invariata rispetto alla stesura primitiva, che nella decorazione a fresco, in buona parte tornata alla luce. Alcune memorie popolari tramandano che San Francesco d’Assisi (1182-1226) di ritorno da un viaggio in Oriente, sostò a Brindisi ove predicò tutto il giorno per piazze e viuzze, ovunque esortando al bene. A sera, stanco, decise di rifugiarsi nella penisoletta a destra del Porto, animata dalla ridente borgata sorta intorno alla Cappelletta della Vergine. E qui accanto alla nicchia campestre, Francesco si addormentò dopo aver ammirato e salutato la dolce immagine all’ultima luce del giorno.
Al suo risveglio una tela di ragno, mirabilmente tessuta, ricopriva come un velo l’icona, impedendone la vista. Il Santo ammonì allora la bestiola che aveva ardito “velare la fronte della Madre di Dio”: sollecito il ragno disfece la tela, mosso dalla mite esortazione.
La data di fondazione è però incerta dal momento che tutti i documenti che ne accertano l’esistenza sono datati posteriormente al 1300; nel maggio del 1310 qui si insediò il tribunale disposto dal pontefice Clemente V per giudicare l’ordine dei Cavalieri Templari, che venne soppresso, due anni dopo, con bolle papali conseguenti alla sentenza di condanna. Il processo che si tenne a Brindisi fu “a carico di tutti i Cavalieri Templari del Regno di Sicilia” che venivano accusati di “eresia, idolatria e cose nefande”.
Nel 1319 il principe di Taranto Filippo, qui “fece edificare un altare per sé stesso e per la sua famiglia e nel 1325, affinchè vi si fossero celebrate in perpetuo delle messe in memoria degli illustri benefattori, donò alla Curia vescovile di Brindisi il Casale del Principato. Roberto e Filippo II, eredi di Filippo d’Angiò, confermarono il privilegio nel 1353 e nel 1373. (..)
“Dunque fino al XVI secolo rimase sotto l’egida dei principi di Taranto che ne accrebbero la fortuna e la fama continuando ad utilizzarla anche come residenza estiva del clero cittadino. (..)
Successivi documenti riportano che nel 1568 mons. Giovanni Carlo Bovio, arcivescovo di Brindisi, affidò l’intero complesso al padre provinciale Bonaventura da Lecce che trasformò la Chiesa e l’annesso convento, nel primo cenobio (a) di Terra d’Otranto ad uso dei Frati Minori Osservanti Riformati.
Nel XVII secolo il monumento cominciò ad essere gradualmente trascurato e deturpato: vennero chiuse le splendide monofore, furono aggiunti numerosi altari barocchi ed in seguito ad una violenta epidemia diffusasi nel Salento, fu adibito a Lazzaretto; fu proprio in tale occasione che gli affreschi vennero scialbati, cioè ricoperti di calce e dimenticati, (si pensava che i muri fossero portatori di contagio ndr).
Nel 1866 i Padri Riformati (b), dopo circa tre secoli di permanenza in Brindisi, dovettero lasciare la Chiesa. Nello stesso periodo si procedette alla demolizione di parte delle sovrastrutture barocche e allo scalcinamento delle pareti, operazione che portò al ritrovamento fortuito dei meravigliosi affreschi.” (1)
“Da quel momento gli affreschi costituirono l’elemento portante della Chiesa che nel 1875 fu dichiarata Monumento Nazionale. I lavori di recupero proseguirono per diversi anni, e solo nel 1912 le opere d’arte furono completamente rimesse in luce sotto la supervisione del canonico Pasquale Camassa, eccezionale figura di filantropo che molto si dedicò al recupero della cultura e l’archeologia cittadina.” (1)
E pensare che, solo pochi anni prima, precisamente nel 1910, il Canonico P. Camassa così si esprimeva a proposito della chiesa di S.Maria del Casale: ” A questa Chiesa suburbana, che dista dalla città circa due chilometri, si accede ordinariamente traghettando il corno destro del porto con la barca di S. Maria, appartenente alla Mensa Arcivescovile, a cui da tempi immemorabili è riservato il dritto di rivaggio.
Sbarcati al ponte di S. Maria, e dato uno sguardo all’artistico villino Cocoto, si prende la via del Casale, e dopo 1300 metri si giunge alla Chiesa.
La costruzione di questo tempio rimonta al 1322. Esisteva in quel sito una chiesetta, intorno alla quale erano aggruppate delle case coloniche, onde il nome di Casale. L’Arcivescovo Andrea Pandone, verso il 1298, ottenne da Carlo II d’Angiò un territorio presso quella Chiesa, e vi fabbricò una casa, dove egli e i suoi successori passavano qualche mese dell’anno.
Essendosi, nel 1313, festeggiate in Brindisi le nozze di Filippo Principe di Taranto con Caterina di Francia, ed avendo costoro visitato la chiesa del Casale, dove si venerava un’immagine della Vergine, alla quale il popolo attribuiva molti miracoli, pensarono di dare più onorevole stanza a quell’icone bizantina; e così fu innalzato quel gioiello di architettura gotico-normanna della più graziosa semplicità. Questa chiesa, di cui oggi non si può ammirare che l’ esterno, specialmente il meraviglioso baldacchino in pietra che ne ricovre la porta maggiore, nulla offre di notevole nell’interno, se ne togli un quadro del 1617 attribuito a un tale Zullus di Mesagne.” (4)
Nel 1954 il Genio Civile di Brindisi si prodigò per la riparazione dei danni bellici derivanti dall’uso improprio dell’edificio durante le due guerre mondiali (deposito di armamenti) e la Sovrintendenza ai Monumenti della Regione Puglia ha iniziato i primi restauri che si sono protratti fino al 1987.” (1)
Nel 1988 è subentrata la Fraternità “Don Grittani” che ha tra i propri compiti quello di valorizzare la Chiesa e l’ex convento non solo come luoghi di preghiera, ma anche di promuoverne la fruizione in ambito nazionale ed internazionale.
Foto d’epoca
Dalla fototeca Briamo, che gentilmente la Biblioteca Arcivescovile A. De Leo di Brindisi ci ha messo a disposizione, pubblichiamo le vecchie immagini della antica chiesa di S. Maria del Casale.
In esse si documenta che, sebbene dichiarata Monumento Nazionale sin dal 1875, la chiesa sia stata progressivamente ridotta ad accampamento, con la costruzione di alcuni caseggiati a ridosso della facciata laterale, mentre il chiostro stesso veniva addirittura usato come stenditoio per i panni.
Questo sino al secondo dopoguerra, quando anche le chiese venivano occupate dai gruppi di sfollati fuggiti dai bombardamenti. Ma, era anche il tempo in cui la cultura della salvaguardia dell’arte e dell’antichità stentava a farsi strada, in nome di un presunto progresso legato al cemento e all’acciaio dei palazzi moderni. Ricordiamo che solo nel 1954 il Genio Civile si prodigò per la riparazione dei danni bellici derivanti dall’uso improprio dell’edificio durante le due guerre mondiali (deposito di armamenti) e la Sovrintendenza ai Monumenti della Regione Puglia iniziò i primi restauri che si sono poi protratti fino al 1987. Ma il seme lanciato, nel lontano 1896, da Brindisini Illustri come Raffaele Rubini (si veda a tal proposito la foto della lettera per la raccolta di fondi per il restauro della chiesa), evidentemente aveva attecchito se oggi, possiamo dire che è stato completamente recuperato uno fra i più belli e antichi monumenti regionali e nazionali.
La chiesa di S. Maria del Casale quando ancora non aveva il piazzale sul davanti, ma il terreno coltivato
La chiesa di S. Maria del Casale priva della croce, con una fontanella sul lato destro e la strada sterrata
Chiesa di S. Maria del Casale ancora priva del piazzale e di strada asfaltata
Chiesa S. Maria del Casale. Facciata e lato sinistro
Chiesa di S. Maria del Casale. Esterno. Veduta generale con edifici annessivi fine secolo XIX
Chiesa di S. Maria del Casale. Esterno. Veduta generale con edifici annessivi fine secolo XIX. Veduta generale da Puglia ed. Ferrovie dello Stato. Principi del 1900
Chiesa di S. Maria del Casale. Foto 1966
Chiesa di S. Maria del Casale. Abside e Campanile. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Il Vecchio chiostro. Fine agosto 1966
S. Maria del Casale. Il Protiro. Foto 1966
S. Maria del Casale. Esterno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Esterno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Esterno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Esterno parte posteriore. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Esterno, lato sinistro di chi guarda. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Esterno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Interno visto dall’altare. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Interno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Interno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Interno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Interno. Foto agosto 1966
S. Maria del Casale. Foto agosto 1966.
Prof. Raffaele Rubini – Invito ai miei concittadini, per riparazioni alla chiesa denominata Madonna del Casale
Se mi fosse dato, a tutte mie spese, salvare da imminente ruina un Tempio, che al pregio religioso di essere un Santuario, aggiunge l’altro di essere un Monumento non meno prezioso di Arte e di Storia, bene e volentieri l’avrei fatto; occultando finanche il mio povero nome. Però non avendo denaro sufficiente a tanta impresa, e cosciente d’altronde tutta l’importanza di restituire al culto un Santuario, ed all’Arte e alla Storia un monumento classico, debbo rivolgermi alla carità cittadina, sicuro che non vi sarà Brindisino, dotato di mente e di cuore, il quale non voglia rispondere, per quanto a lui è dato, a questo mio invito.
Brindisi, 9 settembre 1896
Primo sottoscrittore Prof. R. Rubini £. 100 – seguono altri.
Struttura
“La chiesa di Santa Maria del Casale, come nota il Toesca (c) segna il « capolavoro » dell’ultima raffinata fase goticheggiante della tradizione romanica in Puglia. Essa infatti fonde armonicamente e originalmente le ultime eredità dell’architettura romanica locale con i recenti apporti gotici, impreziositi dall’intervento — inconsueto nella regione — di motivi decorativi d’ascendenza siculo-araba.
Il monumento, di eccezionale interesse artistico, si impone per l’eleganza delle linee architettoniche e per la tenue cromia delle cortine murarie tessute in pietra arenaria grigia e dorata.
La slanciata fronte a capanna, scompartita in cinque campate da snelle pseudo lesene modanate, quasi elementi di pilieri (d) gotici, si arricchisce di una finestra archiacuta finemente scorniciata e di un singolare protiro pensile, che accoglie l’unico portale.
La sobria planimetria ha sviluppo longitudinale a unica navata, con transetto accentuato e profondo presbiterio rettangolare.
L’ampio interno riceve luce morbida e diffusa dalle quattro finestre ad ogiva che si aprono lungo i fianchi, dal finestrone di facciata e dalla monofora absidale.” (2)
A rendere particolarmente prezioso l’esterno concorrono il caldo effetto cromatico ottenuto mediante l’accostamento della pietra bianca di Carovigno con il carparo locale, e il movimento determinato dalla disposizione dei conci in fantasiose e varie composizioni a fondo geometrico (zigzag, fiori, denti di sega, spina di pesce, scacchiera).
“L’unico portale è sormontato da un protiro (d) pensile, aperto davanti con un arco trilobato e cortine dal profilo tagliente; esso è ornato dallo stesso gioco di archetti della facciata e ripete, in scala ridotta, la forma della chiesa. Lungo i fianche della chiesa e nel transetto il movimento pittorico si attenua: sull’intero fianco destro, le fasce bicrome alterne e parallele si prolungano sulle lesene unite in alto da archetti trilobati e sugli sguanci delle monofore; sul fianco sinistro, le fasce bicrome si trovano soltanto in alto.” (3)
Per la sua forma particolare fu definito dal Toesca “il protiro a baldacchino su mensole scalate”. (2)
L’altissimo portale è mancante della scultura che doveva decorare stipiti ed archivolto arricchito dall’affresco della maternità – oggi di difficile lettura – presente nella lunetta superiore.
Chiesa di S. Maria del Casale – facciata, protiro
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – particolare della facciata
Chiesa di S. Maria del Casale – Protiro (part.)
Chiesa di S. Maria del Casale – Protiro (part.)
Chiesa di S. Maria del Casale – Protiro (part.)
Chiesa di S. Maria del Casale – Protiro (part.)
Chiesa di S. Maria del Casale – Protiro (part.)
Chiesa di S. Maria del Casale – Protiro (part.)
Chiesa di S. Maria del Casale – Facciata (part.)
Chiesa di S. Maria del Casale – Protiro (part.)
Lungo i fianchi della chiesa e nel transetto (6) le composizioni bicrome si attenuano e nella fiancata sinistra si riducono alla sola parte alta in modo da attenuare gli effetti cromatici nella parte nord meno esposta alla luce del sole.
“Nel panorama pugliese dell’architettura due-trecentesca non si trovano esempi simili; evidentemente l’ignoto maestro avrà qui sperimentato modelli che aveva avuto modo di studiare altrove, forse in Sicilia o nel senese o addirittura in Turchia dove analoghi edifici sono invece piuttosto diffusi. (..)
La chiesa presenta una pianta a croce latina ad aula unica in cui l’accentuato transetto viene sottolineato mediante due splendidi archi a sesto acuto.” (1)
“L’ampio arco che unisce il transetto alla navata riprende la bicromia dell’esterno.
L’aula ha copertura a tetto mentre nel presbiterio vi è una grande volta a crociera costolonata. L’ampio presbiterio rettangolare è preceduto da un adorno arco trionfale, che in armonia con i due laterali spezza la rigidità delle linee. Ad illuminare l’interno concorrono sei monofore ogivali.” (3)
Manca sia all’interno che all’esterno dell’edificio, la decorazione scultorea mentre di gran pregio è quella pittorica, che in origine doveva ricoprire l’intera superficie disponibile e gli elementi architettonici stessi.
Unici esempi di scultura figurata dell’intero edificio sono i sobri capitelli che ornano le colonne con il repertorio tipicamente romanico: mostri antropomorfi, zoomorfi, fitomorfi.
I capitelli delle semicolonne dell’arco di trionfo rappresentano animali affrontati: due coppie di leoni sul capitello di destra; due grifi e due aquile a sinistra.
All’interno è conservata una colonna in marmo pario sovrastata da una croce, presumibilmente del IX secolo, che è possibile sia quella dell’Osanna e rappresenta uno degli ultimi residui del rito greco in tutto il Salento.
“Il 28 aprile 1568 L’Arcivescovo Carlo Bovio cedette ai Frati Minori Osservanti, la Chiesa, con case, terre e giardino adiacente. ” (2)
I Frati costruirono il convento con piano terreno, il piano superiore verso il mare, il chiostro e fornirono il convento di una pregiata biblioteca.
La Chiesa nel 1811 fu soppressa dal governo murattiano e fu usata come “caserma per truppe di passaggio”. I Francescani tornarono nel 1824 e cercarono di riparare i gravissimi danni, facilmente immaginabili.
Il 7 luglio 1866 fu decretata una nuova soppressione ma solo gli edifici passarono al Demanio.
Altre foto del Chiostro scattate il 28 maggio 2016, prima dei lavori di restauro
Gli affreschi
Decorazione della facciata interna
S. Maria del Casale, nel solco di una tradizione di chiese rupestri pugliesi, presenta le pareti completamente affrescate. Qui devoti e principi, cavalieri e dame, lasciarono il segno della loro devozione. Legata in maniera particolare alla Vergine del Casale fu la Casa d’Angiò.
I preziosi affreschi, riscoperti nella seconda metà del secolo scorso, dopo che erano stati occultati da diversi strati di calcina (a partire dal 1600) e da altari barocchi, devono riferirsi almeno a due cicli pittorici distinti: il primo gruppo, commissionato molto probabilmente dagli angioini di Taranto, comprende: il Giudizio Universale affrescato da Rinaldo da Taranto, secondo i modi della tradizione bizantina sulla controfacciata. A questo gruppo appartengono anche: L’Albero della Croce, il Cristo Re, l’Annunziata e le storie di S. Caterina d’Alessandria. Il secondo gruppo comprende affreschi devozionali con figurazioni dedicate ai Santi e, spesso alla Vergine.
“Nel timpano della porta è riportata la firma dell’Autore, Rinaldo da Taranto: “Hoc opus pinxit Rinaldus de tarento” (Questo lavoro è stato dipinto Rinaldus di Taranto)”. (1)
Il Giudizio Universale
Uscendo dall’edificio, allo scopo di non far dimenticare ai fedeli i richiami evangelici e potessero scegliere una vita di sani costumi, l’ultimo sguardo doveva cadere verso una scena che servisse loro da monito: Il Giudizio Universale. La grande composizione occupa tutta la facciata interna e si articola in quattro grandi fasce orizzontali.
Chiesa di S. Maria del Casale – Controfacciata vista dall’abside
Chiesa di S. Maria del Casale – Rinaldo da Taranto. Giudizio universale
Nella prima, Cristo in Trono ha ai suoi lati gli Apostoli e alle spalle gli Angeli; mentre la figura del Redentore è scomparsa, cancellata dal taglio operato nel muro per ingrandire la finestra, però si possono ancora distinguere la figura della Vergine Maria a destra e S. Giovanni battista a sinistra.
Nella seconda fascia, al centro campeggia l’Etimasia ossia la “preparazione del trono” di Gesù Giudice di tutti e della storia, alla fine dei tempi. La scena risulta caratterizzata dalla croce posta tra gli strumenti del martirio: lancia, spugna, corona di spine, al di sopra di un piccolo trono. Ai lati, Adamo ed Eva pregano per le anime dei loro discendenti. Alcuni angeli svolgono il cielo stellato, mentre altri suonano le trombe per chiamare i dannati. E belve e pesci mostruosi, dalla terra e dal mare – al suono delle trombe angeliche – restituiscono membra umane già divorate;
Nella terza fascia, sulla sinistra troviamo la schiera dei Beati che si raccolgono in quattro gruppi: le Vergini precedute da tre regine, i Confessori capeggiati da un condottiero vestito di porpora, i Pastori preannunciati dal Papa ed infine i Martiri. All’estrema destra “vi sono tre finestrelle che mostrano le bolge infernali, in cui le anime patiscono grandi sofferenze tra ghiaccio, l’acqua dei fiumi demoniaci e il fuoco, immediatamente a sinistra vi è la scena della “pesatura delle anime” (psicostasia) in cui è raffigurato l’Arcangelo Michele che, con l’ausilio di una bilancia valuta quali anime debbano ascendere in Paradiso e quali debbano subire per sempre le penitenze diaboliche”. (1)
Nell’ultima fascia è raffigurato il Regno dei Cieli in cui campeggiano le figure dei tre Patriarchi. Abramo trattiene nel suo manto celeste Lazzaro vestito di bianco che ha candidi gigli tra le mani. Isacco e Giacobbe, accolgono nei loro mantelli gli uomini giusti. Alla loro destra San Pietro, che tiene per mano l’anima del buon ladrone, si accinge a passare la porta d’ingresso al Paradiso.
A destra, nelle ultime due fasce è rappresentato a fosche tinte, l’Inferno. Salta agli occhi la lunga lingua di fuoco che attraversa le ultime due fasce. Nell’angolo sinistro, un grande angelo color porpora con un lungo tridente, respinge le anime malvage. Ai piedi dell’angelo vi è l’anima di un peccatore che due demoni trascinano tra le fiamme, mentre in alto, una donna, viene tirata per i capelli. La scena atroce e minacciosa, abbonda di dannati, a volte riprodotti nell’atto di perseverare nel loro peccato, come la coppia lussuriosa che giace nel letto mentre un demone infierisce su di loro. Nell’angolo destro, su un trono fatto di draghi che strappano le carni dei dannati c’è Lucifero, e nel suo grembo il più malvagio dei peccatori: Giuda.
Decorazione della navata – Parete nord
Annunciazione, Giglio Angioino, Albero della Croce, Maternità benedicenti.
Annunciazione
“In Occidente, tra Duecento e Trecento, l’immagine della Vergine oltre a pratiche devozionali serviva ad esaltare sentimenti ed emozioni spirituali; è forse anche in questa chiave di lettura che si
spiega la pluripresenza di questo tema in Santa Maria del Casale.
La tradizionale scena dell’annuncio a Maria dell’imminente concepimento del Salvatore, simbolo della riapertura del Regno di Dio all’umanità, è qui ricondotta, come altrove, ai soli due protagonisti della scena: l’Arcangelo Gabriele e la Vergine.
Qui, i due protagonisti non si fondono completamente all’interno della scena ma anzi sembrano accostati l’uno all’altra senza una reale, forte, correlazione. L’annunzio si svolge mentre Maria si trova all’interno di un’architettura debolmente caratterizzata da elementi gotici decorativi (edicola ogivale, colonnine rastremate, guglie), ma privi di reale funzione strutturale. Interessanti sono però i gigli angioini che si notano nei capitelli.” (1)
Il Giglio Angioino
“All’interno di una variopinta cornice riproducente stemmi angioini – i tipici gigli bianchi su fondo azzurro – ed altri scudi gentilizi a bande trasversali o verticali (relative ad importanti famiglie napoletane o tarantine), si compone l’allegoria del grandioso Giglio Angioino, di matrice araldica, in cui la fusione tra natura sacra e profana ha lo scopo di magnificare la potente casata di origini francesi.
L’affresco, sicuramente tra i più antichi della chiesa, insieme all’Albero della Croce, al Giudizio e a quelli di fondo del presbiterio, così come quelli della parete sinistra, con i quali condivide anche gli accostamenti cromatici, è composto da santi e apostoli disposti in fasce orizzontali, invocanti la protezione della Vergine nei confronti della famiglia d’Angiò. È purtroppo logorato dallo scorrere del tempo che ne ha sbiadito i colori e ha fatto sparire alcuni personaggi; visibili sono però i quattro evangelisti che, insieme ad altri santi, emergono da uno sfondo ricco di vegetazione che allude, forse, al Paradiso terrestre.” (1)
L’Albero della Croce (o Albero della Vita)
Sulla parete sinistra, in un riquadro di notevoli dimensioni, è dipinto l’Albero della Croce privo, purtroppo, della parte inferiore, a partire dalle caviglie del Cristo. Lungo la cornice, fatta a morbidi girali con pigne e fogliame, troviamo gli stemmi araldici, fra i quali non manca l’insegna angioina – a gigli gialli in campo azzurro e banda bianca – a segnalare la particolare devozione di quella casa per la Vergine del Casale.
Tra le insegne non mancano quelle di Brindisi, Taranto e Acaya, tutte interessate dalla dominazine angioina. A destra e a sinistra si sviluppano ancora verticalmente due fasce a medaglioni finemente intrecciati, che accolgono – sei per parte – le figure degli apostoli a mezzo busto.
Maternità benedicenti
“Due sono le scene di maternità benedicenti su questo lato della chiesa e si sovrastano l’un l’altra, presentando entrambe cornici a riquadri bicromi alternati, con motivi a denti di sega.
L’affresco inferiore rappresenta la consacrazione di una armata nobiliare alla Vergine prima di una valorosa spedizione, capeggiata da una figura che indossa una ricca vesta porporina che con sguardo supplicante e mani giunte prega fervidamente la Maternità. (..)
Alla prima figura, che si prostra ai piedi della Vergine, segue il corteo di supplici. Più in là due cavalieri in catafratta su cavalcature riccamente bardate, le cui briglie sono trattenute da due variopinti fantini, caratterizzati da lungo copricapo rosso, il primo dei quali ha lo sguardo rivolto verso i cavalli. Essi stringono tra le mani un vessillo uguale al motivo della cornicetta, cioè un riquadro bianco con denti di sega blu antracite, riconosciuto come lo stemma della famiglia di Nicola della Marra. (..)
Nel cielo è poi visibile una lunga iscrizione con caratteri gotici, in parte non più leggibile, dalla quale sì apprende che l’affresco fu eseguito, nel 1338, su commissione di un tal Nicola, consigliere e famigliare del Re, signore di Stigliano e Sant’Arcangelo.
La seconda pittura, posta superiormente alla prima, è piuttosto sbiadita. Tuttavia si riconoscono tre tabernacoli, color ocra, di cui il centrale accoglie la Vergine, con in braccio il Bambino, mentre in quelli laterali vi sono due altri santi, purtroppo non identificabili per il pessimo stato di conservazione.” (1)
Decorazione della navata: Parete Sud
Madonne benedicenti le armate, Cristo in Maestà, vari santi intercessori
Madonne benedicenti le armate
“Gli iniziali affreschi che si incontrano nella parete sud della navata rievocano innanzitutto, ancora, storie di cavalieri che si recano dalla Vergine per farsi consacrare.
Il primo affresco riguarda, infatti, un’intera armata probabilmente in partenza per una qualche missione. Gesù Bambino benedice, per ordine della Madre, da sotto un’edicola gotica in cui siedono su uno scomodo sostegno. Nelle loro immediate vicinanze si intravede un soldato in ginocchio, con mani giunte, che sembra perorare la sua causa dinanzi alla divina Maternità, sostenuto da un Santo, vestito da guerriero, che potrebbe essere San Michele Arcangelo. (..)
I soldati sono tutti in ginocchio, con identica armatura dotata di elmo, maglie d’acciaio, corpetto rosso, scudi con motivo araldico a bande trasverse gialle e blu. Le insegne araldiche qui raffigurate
appartengono alla casata di Leonardo di Tocco.” (1)
Il secondo affresco ci mostra “a sinistra, la Madonna, rivestita di un vistoso manto azzurro disseminato di gigli d’oro, siede su un maestoso trono sormontato da un padiglione mentre il Bambino si protende per benedire un cavaliere inginocchiato ai loro piedi, affiancato da una giovane santa coronata eretta, probabilmente Caterina d’Alessandria, abbondantemente venerata nell’edificio.
In assenza di un sostegno epigrafico, forse perduto, ad identificare il protagonista e orientare la cronologia, concorre l’insegna dei Pandone, bandi rosso e d’oro alla fascia di vaio attraversante sul tutto, ostentata sul proprio abito e indossata anche dai componenti del seguito che la esibiscono sulle bandiere e sulle gualdrappe degli animali. ll legame dell’edificio con la famiglia era radicato fin dalla fondazione, fu infatti il brindisino Andrea Pandone a ricevere nel 1300 da Carlo II il terreno nel cui atto di donazione ricorre per la prima volta il nome di Santa Maria del Casale. In questa scena tuttavia il carattere equestre del personaggio ritratto (..) suggerisce di riconoscere nel cavaliere inginocchiato Giacomo Pandone che, nel 1346 o nel 1348, fu giustiziere di Terra d’Otranto.” (5)
Cristo in maestà
“L’affresco che campeggia al centro dell’estesa parete pone invece il Redentore a protezione di una stirpe gentilizia (il cui stemma è rappresentato per ben tre volte all’immediata sinistra di Cristo) araldicamente rappresentata mediante due spade dorate su fondo azzurro. Il Pantocratore è seduto su un trono — trasposizione degli scanni bizantini — all’interno dì una edicola gotica dotata di alte guglie laterali e sorretta da due deboli colonne. (..)
Alla destra del Pantocratore vi è una Maternità venerata da ben tre devoti: due donne a destra e un uomo a sinistra della Vergine, vestiti secondo la moda angioina, con ampie vesti bordate di ermellino e verso loro Gesù Bambino, in piedi, si volge con braccia spalancate e vesta candida. La Vergine lo tiene amorevolmente, accompagnandone i gesti, rimanendo perfettamente immobile nella sua frontalità. Il volto è illeggibile, le vesti sono azzurre mentre il manto è porpora e tutta la scena è incorniciata da stilizzate edicolette gotiche.” (1)
Decorazione del transetto
Ala Nord: tracce di affreschi.
Nell’ala nord del transetto si conservano solo tracce di affreschi; molto particolare è il fregio floreale che divide una fascia con i gigli angioini. Su una delle semicolonne si delinea la figura di quello che è stato riconosciuto come San Nicola da Tolentino, con lungo manto su fondo porpora, aureola e mitria. Egli stringe nella mano sinistra una pergamena mentre, sulla seconda semicolonna, vi è rappresentato San Paolo calvo, con barba appuntita di color nocciola, una lunga spada che impugna saldamente con la mano destra ed una veste rossa con lungo mantello giallo.
Ala Sud: vari personaggi, un’architettura cinquecentesca
Il versante meridionale del transetto è invece particolarmente ricco di personaggi, tuttavia manca loro un vero e proprio nesso logico. Essi sembrano essere stati riprodotti essenzialmente per decorare spazi di risulta; le figure, infatti, non hanno ne’ senso narrativo né figurativo preciso.
“In alto, si intravede la figura di Santa Marina, l’Arcangelo Michele vestito con ricco abito bizantino di colore azzurro che trafigge, con lunga e sottile asta, il dragone, simbolo del Male.
Nella mano sinistra porta il globo terracqueo, simbolo di potere, le ali sono grandi e bianche, i capelli lunghi e ricadenti ai lati del volto.Gli affreschi di questi lato presentano, tradizionalmente, lo sfondo diviso in tre riquadri di colore differente. Si riconoscono, accanto a San Michele, i Santi Stefano e Lorenzo diaconi e, subito in alto a destra, il Martirio di San Lorenzo.
Quest’ultimo è stato riprodotto, con grande dovizia di particolari, nel momento culminante del suo martirio: supplizio voluto dall’imperatore romano d’Occidente Valentiniano (364-375 d.C.) nel IV secolo. Emerge subito, infatti, dal fondo vermiglio del riquadro, il suo corpo chiaro, disteso sulla graticola, mentre in alto il firmamento — così come riportano racconti leggendari – manifesta il suo dolore con una sorta di pianto figurato che darebbe vita alla pioggia di stelle cadenti.
Nell’affresco è interessante notare un tribuno romano vestito con anacronistico copricapo medievale e scettro.
I dipinti mostrano un’esecuzione piuttosto grossolana e rapida, l’unico affresco che manifesta una discreta espressione figurativa è la Crocifissione.
Essa, che manifesta un trecentismo arcaicizzato da mano locale, risulta, ad ogni modo, modesta rispetto alle altre crocifissioni presenti nella chiesa avendo scarso fervore patetico. La Vergine e San Giovanni si trovano ai piedi della croce.
Al lato, vi è la raffigurazione della Vergine che da dentro un’edicoletta gotica, con pinnacoli terminali, sembra fare un monito ai fedeli con la mano destra alzata, mentre nell’altra tiene un evangelario. Ella indossa manto azzurro e vesta rossa. (..)
Subito sotto, vi è una figura femminile che indossa una veste azzurra, fermata in vita da una cintura, con manto scuro che presenta internamente un motivo a quadroni.
Nella mano destra reca un rotolo mentre con la sinistra, nella quale si nota un anello con preziosa gemma, regge il mantello; sulla spalla destra e lungo la manica l’abito presenta decorazioni color oro. In basso, a sinistra, vi sono altre figure di Santi di cui una a cavallo con breve iscrizione in alto che ne permette l’identificazione con uno dei patroni della città di Brindisi, (teo)dorous.” (1)
“Sulla parete opposta, a sinistra rimane l’attacco di due registri di santi, quelli più in alto, con cartigli, sono suddivisi in pannelli da campiture rosse, gialle e blu e da semplici cornici mentre nella fascia inferiore le figure sono inserite entro archeggiature a profilo acuto, scandite da architetture che prolungano il pilastrino, giovandosi anche di un elementare scorcio che ricorda la soluzione adottata nella Madonna con il Bambino nella cripta della Buona Nuova a Massafra. Le condizioni conservative non permettono una piena valutazione del testo pittorico, riconducibile ai primi decenni del Trecento e ad una maniera che risente ancora della lezione di Rinaldo, del tutto irriconoscibile è invece il brano al margine destro del muro, oltre la struttura lignea moderna.” (5)
Statua di S. Maria bambina patrona delle puerpere, donata il 2 settembre1957 dal cardinale di Milano Mons. G.battista Montini all’arcivescovo della città Mons. Nicola Margiotta e poi conservata all’interno del Santuario di S. Maria del Casale dove tuttora viene custodita e venerata dai fedeli.
“Nella parte centrale dell’ala meridionale del transetto vi è riprodotta un’architettura cinquecentesca. Si tratta di una struttura con colonne lisce in facciata, capitelli di ordine corinzio poste su basamenti lievementi aggettanti; tra le colonne due nicchie sormontate da pannelli che dovevano contenere delle iscrizioni.
Nelle nicchie due statue: a sinistra Santa Caterina e a destra Santa Lucia. Santa Caterina indossa abiti regali di manifattura medievale ed ha lunghi capelli acconciati dietro la nuca. I tratti del volto tradiscono una certa ricerca naturalistica e lo sguardo è rivolto in alto verso sinistra. La mano destra è portata verso il petto mentre la sinistra regge la palmetta del martirio.
Santa Lucia ha un’espressione smarrita e sguardo leggermente rivolto a sinistra, i piedi sono nudi e l’abito molto sobrio. Ella stringe nella mano destra il calice dove, secondo l’iconografia tradizionale, sono riposti i suoi occhi, cavatigli durante le torture subìte ad opera dei tribuni romani, e nella mano sinistra la palma del martirio.” (1)
Decorazione della zona presbiteriale
Parete adiacente il transetto di Sud-Est: Martirio di Santa Caterina d’Alessandria.
Santa Caterina d’Alessandria. “Secondo la sua agiografia Caterina, santa e martire di Alessandria d’Egitto, era una giovane di nobili origini, molto colta, che venne convertita al cristianesimo da un eremìta che le indicò Cristo come unico sposo degno delle sue numerose virtù: particolare da cui prese forma la leggenda del suo matrimonio mistico con l’Altissimo.
Quando l’imperatore romano Massenzio (306 – 312) giunse nella città di Alessandria ordinò ai suoi sudditi di compiere sacrifici agli dèi pagani ma ella, rifiutandosi, divenne il baluardo di tutti quei cristiani che non vollero, concordemente, abiurare la propria fede.
Dopo aver ricevuto non poche pressioni psicologiche ed aver perorato la sua causa convertendo addirittura alti funzionari romani, Caterina venne punita dapprima con la flagellazione e la carcerazione, poi con la ruota dentata (che però si ruppe miracolosamente) finché, dopo essere riuscita a convertire anche l’imperatrice, fu insieme a quest’ultima condannata alla
recisione delle mammelle e alla successiva decapitazione.(..)
La Santa, insieme con gli episodi più significativi della sua vita, è posta
in due zone attigue della chiesa: una al di sopra e l’altra a fianco dell’arco che separa dal presbiterio il braccio destro del transetto. ll primo affresco presenta delle evidenti lacune nella zona centrale che, tuttavia, non prevedeva al centro la figura della Santa che in effetti compare, quasi per intero, alla sinistra dell’apice dell’arco sottostante, e ciò potrebbe far presagire
che al centro doveva esserci un’altra figura.(..)
L’affresco in alto riproduce Santa Caterina nelle vesti di regina, con corona dorata in testa e splendide vesti. La narrazione è molto estesa ed occupa una grossa porzione di spazio. La cornice delle scenette è a rombi con all’interno figure di santi evangelisti ed emblemi araldici. (..)
L’affresco posto nella parte inferiore riproduce nuovamente i momenti salienti della vita mistica della martire ed è posto accanto all’Annunciazione al quale va accostato anche per modi ed identità stilistiche che evidenziano una stessa mano esecutrice. La struttura narrativa è tipicamente bizantina: la Santa campeggia, grande, al centro, e gli episodi della sua vita tutt’attorno.
Santa Caterina si presenta, ancora una volta, in abito regale di colore rosso, bordato di ermellino, molto ricco per tessuto, ricami e preziose guarnizioni che la costringono a sollevare la veste dal suolo con la mano destra, mentre con la sinistra regge la ruota dentata, simbolo del suo martirio.
Indossa la classica corona d’oro sul capo ed ha un’acconciatura trecentesca con trecce ritorte ed annodate dietro il capo.
In basso vi sono, invece, una Maternità, Sant’Erasmo di Capua e la Maddalena, in tre riquardi differenti.
La Madonna in trono è poco caratterizzata espressivamente mentre il Bambino, benedicente, è molto ridotto nelle dimensioni e ragguaglia la figura dell’offerente che si insinua lateralmente al trono.
S. Erasmo, dal volto bruno e barbuto, è in posa ieratica ma dipinto con colori vivaci accostati tra loro in maniera gradevole.
La Maddalena sembra una falsacopia di Santa Caterina in quanto a postura, eleganza ed impatto visivo, con lunghi capelli bruni che ricadono sul seno, tiene nella mano destra la croce astile mentre nella sinistra l’ampolla degli aromi. La sua è un’iconografia formale, tipica del XIV secolo, perche’ successivamente, e anche da artisti di fama nazionale, le vicende legate alla condotta dissoluta antecedenti alla sua conversione, crearono i presupposti per una rappresentazione di tipo sensuale.
Tutte le figure hanno caratteri fisiognomici conformi, di stampo bizantineggiante, che denunciano la mano di un unico artista. Leit motiv cromatico è l’uso del colore rosso terroso.” (1)
Parete adiacente il transetto Nord-Ovest
Adorazione della Maternità, San Nicola di Myra ( o di Bari).
“Si ritrova ancora, su questo lato della chiesa, una Maternità adorata da una coppia di giovani devoti, probabilmente gli stessi committenti dell’affresco, accompagnati da due santi intercessori. La scena si svolge all’interno di una ambientazione complessa fatta di edifici in stile gotico, compreso il ciborio sotto il quale siede la Vergine.
Il viso di Maria è corroso dal tempo ma mostra ugualmente un incarnato scuro, un ovale regolare con bocca e naso piccolo ma leggermente curvo, ed occhi verosimilmente piccoli, il manto è azzurro mentre la veste è chiara. Il neonato (..) è nudo, con ventre gonfio e con in mano un globo, simbolo di potere. La sua aureola, come quella della Madre, è lavorata a intarsio con raggi e cerchi che la decorano riccamente.
Maria, genuflessa, lo tiene tra le mani ma è evidente, proprio in questo punto, un errore anatomico che non tiene conto delle logiche dimensioni del braccio che dovrebbe cingere il neonato. (..)
La cornice ha motivo fitiforme con blasoni araldici nella parte inferiore.
Inferiormente vi è una seconda Maternità che, sfortunatamente, risulta quasi del tutto scomparsa. Ad una analisi puntuale, risulta molto interessante l’iscrizione del 1366: “Hoc op(us) fieri fecit DNS Guayrcierius pr(a)eceptor S(anc)ti Joannis Yerosolimitani A.D. MCCCLXVI”.
Si tratta di una traccia storica riguardante uno dei tanti ordini religiosi che, proprio a Brindisi, possedevano case d’accoglienza e che, come altri numerosi pellegrini in partenza o di ritorno dalla Palestina, pregavano davanti all’icona della Vergine. Il testo epigrafico testimonia, attraverso il volere di un precettore di nome Gaucerio, il passaggio dell’0rdine dei Gerosolimitani all’interno della chiesa.
Nel terzo registro, a partire dall’alto, vi è un San Nicola di Myra, vescovo di Bari, (..) nella variante più diffusa e cioè relativamente all’età senile con canizie, barba bianca, paramenti episcopali ma senza mitria, con pallio crociato, destra benedicente alla maniera greca e sinistra reggente un evangelario. La doppia cornice rossa e bianca e lo sfondo a diverse campiture di colore lo accosta ad analoghi dipinti rupestri presenti in moltissime cripte pugliesi.” (1)
Decorazione dell’arco trionfale
Parete sinistra: frammenti e Maternità
“Al presbitero dà accesso un grande arco trionfale dove si intravede in alto, sulla parte di muro adiacente a sinistra, quello che sembra un cavaliere, incorniciato da motivi pseudo architettonici in uno sfondo purpureo stellato, motivo ripreso in basso dagli scudi araldici.
Più in basso una Vergine seduta su trono cuspidato con in braccio Gesù Bambino e, ai lati del trono, le miniature di due altri personaggi, una donna e, probabilmente, un diacono. (..)
La cornice che lo circonda è a motivetti geometrici, il fondo è azzurro chiaro, come la tunica della Vergine, che indossa un manto porporino al di sotto del quale si intravedono le strette spalle e gli arti inferiori. Le braccia sono allargate così da abbracciare i due supplici ai lati ma senza il relativo trasporto emotivo che dovrebbbe essere sottolineato da una espressione facciale. (..)
Un preciso lavoro di intarsiatura si ripete nell’aureola di Gesù Bambino, il quale si rivolge verso il personaggio a sinistra del trono con atto di benedizione della mano destra, mentre con la sinistra accarezza il capo del supplice che protende le mani.” (1)
Parete destra: Natività – Crocifissione – Annunciazione
Natività – “Sul muro adiacente a destra dell’arcone gotico, si distingue una Crocifissione, al di sotto della quale si intravede traccia di una decorazione antecedente.
In tale frammento si riconosce una caverna, sul fianco di un monte, internamente addobbata con inusuale sfarzo, si riconosce la Vergine intenta a riposare su un prezioso clinè (dal greco: letto ndr) decorato in maniera fastosa. Presso l’ingresso vi è San Giuseppe, innovativamente senza nimbo, con ampio mantello, seduto con aria meditativa, poggiato sul suo bastone.
Nell’estremità destra in basso si intravedono le zampe di una cavalcatura: trattandosi di una scena tradizionale bizantina che ha per sfondo la grotta della natività con tutti i relativi personaggi, tali cavalcature potrebbero essere quelle dei Magi accompagnati dall ‘Angelo/guida. I toni prevalenti sono quelli del viola, del blu intervallati dal rosa e dal bianco.” (1)
Crocifissione – “La Crocifissione che si sovrappone all’affresco della natività, pur nella sua frammentata conservazione, mostra una delicatezza, bellezza e semplicità compositiva che sembra essere un’opera senese.
L’iconografia è classica ma la preziosità dell’esecuzione lo rende sicuramente tra gli affreschi più apprezzabili della chiesa. (..) Consuete sigle latine contrassegnano i protagonisti della scena.” (1)
Annunciazione – “Al di sopra delle due preziose scene della Natività e della Crocifissione vi è una Annunciazione, che pare allacciarsi per modalità stilistiche alle storie di Santa Caterina.
Una cornice rossa intervallata da intrecci fioriti e stemmi araldici della famiglia dei Gattula, racchiude i due personaggi (..). Spira qui, ma in totale in quasi tutte le pareti dell’edificio sacro, un’aura “cortese” imperniata su nobilissimi gesti codificati dall’aulica tradizione tardo-gotica amante delle descrizioni, al contempo delicate e fastose, dei cerimoniali sia religiosi che profani. Cromaticamente si distingue una certa ripetitività dovuta all’abuso del rosso intenso intervallate dal bianco e dall’azzurro luminoso.” (1)
Decorazione delle mura absidali
Fondo del coro
“L’abside, nella sua parte centrale, presenta un decorazione piuttosto frammentaria vincolata sia dallo spazio ristretto che dalla presenza della grande monofora.
In alto, il motivo riprodotto è quello molto diffuso nelle chiese medievali ispirato al Cristo Giudice. Egli, seduto su trono, con nimbo crucigero, mostra mani e piedi trafitti dai chiodi della croce mentre è adorato dalle Potestà che, come nei racconti di Ezechiele, sono avvolte da sette ali fiammeggianti. Notevole è la somiglianza con l’analoga raffigurazione di XIII-XIV secolo, riprodotta nel battistero di San Giovanni a Firenze. In basso due angeli dalle tuniche bianche e manti svoiazzanti, si genuflettono agitando i turiboli (incensieri ndr).” (1)
Scene superiori delle pareti dell’abside
Vari frammenti, Nozze di Cana, Scene di vita di Gioacchino ed Anna
“Nella centina settentrionale del coro, si è conservata la scena della Strage degli innocenti in cui si intravede Erode che dall’alto di un edificio ordina, con braccio teso, l’eccidio degli infanti. Colpisce l’efferatezza nella rappresentazione di un soldato nell’atto di colpire i corpicini ed accatastarli, privi di vita, uno sull’altro, mentre le madri e i padri si dibattono disperatamente: sembra quasi un presagio dei mostruosi misfatti che verranno a consumarsi, secoli dopo, nei campi di concentramento.” (1)
Più in basso, una delle figure meglio conservate è la Vergine, su sontuoso trono, che porge il Bambino all’adorazione di un devoto con armatura, forse il committente dell’opera (..).
Nel coro della parete meridionale vi sono invece alcune scene interessanti come le nozze di Cana, ed alcune scene del concepimento di Maria ispirato al Protovangelo di Giacomo.
Più nitido, a destra, è un affresco riproducente una scena gentilizia in cui un paladino con elmo conico e folkloristico, costume a bande traverse di color purpureo, dispiega il vessillo della casata Del Balzo, accanto a lui uno scudiero e due bellissime cavalcature bardate e sellate, tenute per le briglie.
Scene inferiori della parete Nord
Ciclo della Passione (Deposizione, Compianto sul Cristo morto, Pie donne al sepolcro)
“Il Ciclo dellla Passione è stato dipinto da un maestro che dimostra una tecnica più evoluta rispetto ai tanti altri affreschi presenti nella chiesa. Egli dimostra precisione nel disegno ed abilità nella stesura e sfumatura dei colori impostata su una maggiore varietà cromatica.” (1)
Deposizione – “Secondo quanto riferito dai quattro Evangelisti, Giuseppe d’Arimatea discepolo di Gesù, chiese a Pilato di poter prendere in custodia il corpo del Messìa e, dopo averlo deposto dalla Croce, avendolo avvolto in un lenzuolo, s’incaricò di seppellirlo.(..)
La scena si presenta come un drammatico assembramento di figure in una composizione sobria, priva di elementi aggiuntivi. I protagonisti sono disposti ad arco intorno al corpo esanime e livido di Gesù dai lunghi arti cadenti e smagriti. È l’abbraccio silenzioso della Madre il punto focale della rappresentazione, il vertice del dramma che si è ormai irrimediabilmente consumato. In maniera consona alle descrizioni evangeliche, Giuseppe d’Arimatea (uomo ricco, membro del sinedrio, indossa una veste lunga che sottolinea il suo status sociale) è stato raffigurato come colui che riceve il corpo di Gesù tra le braccia e lo depone fisicamente, mentre Nicodemo, che indossa una corta veste, estrae i chiodi dal corpo del Salvatore.” (1)
Compianto sul Cristo morto – “Rispetto alla scena precedente, l’inumazione del corpo di Cristo ha più i toni sentimentali della rassegnazione. L’attenzione si concentra nell’abbraccio estatco, nell’angolo sinistro della composizione, tra Madre e Figlio morto. Il corpo del Cristo rivela un buon modellato che riprende, soprattutto nel perizoma e nell’addome, fìgurazioni stilistiche bizantine. La scena si svolge, come vuole il Vangelo di Giovanni, in un luogo aperto.” (1)
Pie donne al sepolcro – “Quando le Pie donne (Maria di Magdala e Maria di Giacomo, con l’aggiunta di Salomè o Giovanna secondo alcuni evangelisti) si recano al Sepolcro come myrophores, cioè portatrici di aromi profumati, per ungere il corpo di Gesù, trovano il Sepolcro vuoto e sulla pietra che lo chiude scorgono un angelo luminoso (in Giovanni si parla di due angeli e lo stesso Messìa) che annuncia loro il miracolo della Resurrezione: si tratta di una formula indiretta per rappresentare la resurrezione di Cristo.
Nell’affresco riproducente tale episodio, è di particolare rilievo la diagonale formata dalla lastra tombale sollevata che divide la scena in due campi trasversalmente opposti: nell’angolo sinistro ci sono le Pie donne e l’Angelo della Resurrezione, nell’altro c’è un gruppo miniaturiale di guardie dormienti in abiti medievali che manifestano un profondo anacronismo storico.
Essi presentano anche dei difetti fisici come labbro leporino, naso grossolano, barba bianca, pose bizzarre che creano disordine nella scena. Al contrario, le Pie donne sono ieratiche, composte, con movenze leggiadre, i capelli lunghi fino al petto sottolineano lo slancio della figura. La prima Maria, con aria interrogativa, indica il Sepolcro vuoto come per chiedere spiegazioni riguardo l’assenza del defunto, mentre le altre due commentano l’accaduto presagendo già un evento straordinario. L’Angelo, spiegando il miracolo, indica a sua volta il catafalco vuoto, mentre le sue ali, grandi e scure, contrastano con l’abito bianco.” (1)
Scene inferiori della parete Sud
Consegna della missione apostolica, il Cenacolo, Scena di banchetto
Consegna della missione apostolica — “La scena, così come si presenta, sembrerebbe essere la consegna della missione apostolica da parte del risorto Gesù ai suoi fratelli terreni, rimasti in undici dopo l’allontanamento di Giuda. Il Messìa, posto dal pittore in basso a destra, è seduto e poggia una mano sulla spalla di Pietro futuro capo della chiesa cattolica. Tutti hanno tra le mani il rotolo sigillato, segno della missione ricevuta.
Anche qui, come negli affreschi seguenti, si notano imperfezioni anatomiche, come i piedi, dal disegno molto grossolano o gli attacchi delle mani. l panneggi tradiscono, in alcuni casi, la posa plastica su cui si adattano mentre i colori appaiono, ancora una volta, luminosissimi, argentei.” (1)
II Cenacolo — “L’iconografia dell’Ultima Cena è rappresentata solitamente mediante i due momenti che la caratterizzano: l’Annuncio del tradimento e/o la Comunione degli apostoli, entrambi narrati nei Vangeli sinottici mentre in Giovanni, che descrive il momento del tradimento, vi è solo un accenno indiretto alla cena eucaristica.
L’arte occidentale preferisce puntare l’attenzione sul momento drammatico dell’Annuncio del tradimento da parte di Cristo tra i commensali che siedono intorno ad un tavolo rettangolare, suddivisi in gruppi di sei, con la figura di Cristo al centro.
Giuda è in genere posto in disparte, in primo piano, in ombra o distinto dall’assenza dell’aureola, mentre Giovanni poggia il capo sul petto del Messìa poiché è il suo discepolo prediletto, in questo caso serrato in un abbraccio protettivo e amorevole.
ll momento riprodotto dal pittore è quello in cui Cristo, annunciando il tradimento, indica con la mano destra Giuda che si allunga sul tavolo per prendere un pesce. L’annunzio sembra non aver colpito ancora gli apostoli posti alla sinistra del Cristo che infatti continuano tranquillamente a pasteggiare, mentre solo tra gli apostoli alla sua destra l’inquietudine lascia a mezz’aria le mani che stringono i calici e il cibo.
l discepoli posti in alto a sinistra dell’osservatore sembrano irritati e colpiti dalle parole di Gesù, nonostante la loro bocca resti serrata in un ostinato ammutolimento.
La figura di Giuda è abbastanza insolita: imberbe, ha il volto più delicato e bello fra tutti i commensali ma si ravvisa subito nel suo sguardo una certa malizia.
La tavola è imbandita con pane, rafani, coltelli, piatti e calici di varia foggia tra cui spicca, al centro, la patena rotonda contenente i pesci, caratterizzata dall’assenza di senso prospettico, così come i lunghi scanni su cui poggiano i commensali.” (1)
Scena di banchetto – “L’affresco, purtroppo, risulta mancante della parte superiore con grave danno alla sua lettura.
La tavola, centro nevralgico della scena, risulta imbandita con stoviglie, vasellame, coppe, pani, cibi vari, che il pittore si cura di restituire con dovizia di particolari. Si noti, ad esempio, il tipo di tovaglia utilizzata molto simile a quelle ancora oggi prodotte nelle manifatture salentine.
Nella resa dei personaggi in primo piano si notano alcuni errori di prospettiva e sproporzioni visive rilevabili soprattutto in uno dei piedi dell’uomo con vassoio, palesemente ingigantito. L’uomo ha una lunga barba e folta capigliatura bianca, indossa un abito di color porpora riccamente decorato, con un mantello chiaro soprastante, guarda in alto a destra e reca tra le mani un vassoio con della carne di maiale.
La donna ha lo sguardo rivolto in alto a sinistra e regge tra le mani uno strofinaccio ed una brocca. Potrebbe trattarsi della cosiddetta Ospitalità di Sara e Abramo, in questo caso posti in primo piano, in atto di servire la SS. Trinità: purtroppo mancano elementi suffcienti per poterlo determinare con certezza.
I colori utilizzati in tutti e tre i pannelli sono straordinariamente vividi, soprattutto l’azzurro oltremare e il porpora, aggiungendo particolare luminosità alle scene che perciò risultano ancora più belle.” (1)
Nostro intervento facebook del 5 novembre 2022
La Natività – opera di Gian Pietro Zullo.
Nella chiesa di S. Maria del Casale è diventato finalmente possibile ammirare senza fronzoli e superfetazioni che ne limitavano la visibilità, il dipinto su tela “La Natività”, eseguito nel 1617 (o 1613 poichè appare poco leggibile) dal mesagnese Gian Pietro Zullo (1557-1619) che ha anche inserito anno e firma in basso, a sinistra del quadro.
La critica, anche la più recente, non è mai stata tenera e forse piuttosto ingenerosa nei confronti del pittore.
M. Stella Calò arriva a definire le sue opere “frutto di un farraginoso mestiere e insieme lo specchio del gusto di una particolare clientela di provincia”. Dello stesso tenore anche le critiche espresse dal Mortari.
Ci permettiamo, però, da profani, di esprimere anche la nostra opinione sul dipinto.
Guardiamo innanzitutto il contesto storico. Solo 142 anni prima c’era stato il massacro di Otranto, e, nel 1571, la quasi definitiva Battaglia di Lepanto con la vittoria delle flotte cristiane contro quelle dell’Impero Ottomano. Ma, la situazione rimaneva fluida, con le nostre coste sempre sotto la minaccia islamica.
Allora l’Autore, nell’opera, si sente di rivolgere un messaggio di pace per la riunificazione dei popoli sotto un unico redentore.
Quindi, nella nostra rappresentazione della Natività, inserisce nella parte centrale due persone con turbanti e abiti orientali affacciate ad una balaustra mentre, aldilà della scena che si svolge ai loro piedi, guardano il sole nascente che dirada le minacciose nubi nere all’orizzonte.
Qui il simbolismo è forte ed evidente; è la vittoria della Pace e la fine di tutte le guerre.
Zullo, però, non si limita a trasmettere il messaggio nella maniera tradizionale ma, probabilmente influenzato dalla pittura di “genere” del fiammingo Gaspar Hovic (1150-1627) che, in quello stesso periodo vive e lavora in Puglia, lo fa introducendo elementi che costituiscono una novità nel mondo dell’arte del Seicento in Puglia. Rammentiamo che, la “pittura di genere” già nel ‘500 nei Paesi nord-europei riproduceva scene della vita quotidiana e soggetti affini, ed ebbe in “Pieter Bruegel il vecchio” il suo maggior maestro.
A re, nobili, cavalieri ed ecclesiastici, Zullo sostituisce la gente del popolo e la festa della Natività diviene occasione per mostrare affastellate scene di vita: il bambino che gioca con gli uccelli, una vecchia che dipana un rotolo di stoffa lavorata, una donna con gli occhiali (cosa inaudita per l’epoca) aiuta a tenere il Bambin Gesù, donne che sorseggiano vino dai calici, una mezza anguria sul comò e un bambino nero che guarda.
Un ultimo particolare continua a sorprenderci: ai piedi del quadro due osservatrici, probabilmente due dame a giudicare dai pochi particolari a disposizione, una girata di spalle a guardare la scena e l’altra di fronte a noi, ad “osservare” l’osservatore quasi per volerne registrare le reazioni.
In conclusione un’opera senz’altro originale e interessante, forse anche bella secondo i gusti di ciascuno, in ogni caso da andare a vedere.
Nostro intervento facebook del 30 gennaio 2021
Era il 1924, e, nella chiesa di S. Maria del Casale, mentre veniva effettuato il trasferimento dalla parete a un più sontuoso altare barocco, l’affresco della Madonna Odigitria (*) ebbe la sventura di sbriciolarsi. Le aureole in argento, dell’immagine mariana, furono trasferite nel Museo Archeologico di Taranto da dove si persero le tracce.
Il 3 ottobre 2017, in una delle nuove sale espositive che si inauguravano nel castello svevo di Bari, alla presenza del Ministro Dario Franceschini, esattamente 93 anni dopo, ricomparivano “miracolosamente” le due preziose aureole, di cui, un pannello illustrativo, ricostruiva l’incredibile vicenda.
Sull’argomento, nel marzo 2018, venne organizzata dalla locale Associazione Amici dei Musei, una conferenza presso il Museo Archeologico “Francesco Ribezzo” di Brindisi, a cui partecipò anche Giovanni Boraccesi, uno dei massimi studiosi in Puglia di argenteria sacra che in merito così si esprimeva: “Le aureole brindisine, assieme ad altri perduti elementi anch’essi d’argento come il rotulum e le mani degli effigiati, costituivano una sorta di riza (**) soprammessa alla sacra immagine. Lavorate a sbalzo e a incisione, presentano una ricchezza e varietà di ornati fitomorfi, in particolare foglie e girali, che a suo tempo ebbi modo di confrontare con altri reperti dell’Italia settentrionale (..) L’aureola del Bambino, inoltre, si arricchisce di otto identici clipei (***) che racchiudono due pavoni affrontati all’Arbor Vitae, a loro volta circondati da un’iscrizione che solo ora, da una visione diretta del manufatto, si riesce meglio a leggere: A QVI FLOREM TENENT, evidentemente da interpretare come allusione al fiore di giglio di casa d’Angiò, dunque al suo probabile committente Filippo principe di Taranto. Entrambe le aureole si presentano oggi piuttosto malandate, ragion per cui se ne chiede un appropriato intervento di restauro.”
Sperando di essere smentiti pensiamo che se tra 91 anni i nostri figli avranno forse la possibilità di vedere le aureole restaurate, è quasi certo che ciò non avverrà a Brindisi. A noi non resta che consolarci con la copia su tela presente nella chiesa di S. Maria del Casale, in verità neanche troppo fedele all’originale.
Nelle foto che vi mostriamo, appartenenti alla Fototeca Federico Zeri donata all’Università di Bologna, si vede l’icona originale con alcuni particolari.
* La Madonna Odigitria, dal greco bizantino “Colei che conduce mostrando la direzione”, è un tipo di iconografia cristiana diffusa in particolare nell’arte bizantina e russa del periodo medioevale.L’iconografia è costituita dalla Madonna con in braccio il Bambino Gesù, seduto in atto benedicente, che tiene in mano una pergamena arrotolata e che la Vergine indica con la mano destra (da qui l’origine dell’epiteto).
** Sovrapposizione in metallo, di solito in argento, su un’immagine sacra detta icona
*** Scudo metallico dei soldati romani.
Un ringraziamento va agli amici Mario Carlucci e Alfonso De Benedittis che hanno collaborato con me nella ripresa delle immagini.
Prima pubblicazione 27 luglio 2013
Note:
(a) Cenobio – comunità di monaci riuniti sotto la medesima regola in un monastero – Wikip.
(b) I Frati Minori Riformati erano una delle maggiori famiglie francescane – Wikip.
(c) Toesca viene ricordato fra i più importanti medievisti del novecento. Wikip.
(d) Genericam., lo stesso che pilastro – Enc.Treccani online
(e) Il pròtiro è una parte del portale. È un termine architettonico derivato dal greco con cui si definisce un piccolo portico a cuspide posto a protezione e copertura dell’ingresso principale di una chiesa, (pre entrata). Wikip.
(f) Negli edifici di culto cristiani, corrisponde a un corpo architettonico che interseca perpendicolarmente all’altezza del presbiterio la navata centrale o tutte le navate. Wikip.
(g) Parte della chiesa riservata al clero officiante. Contiene l’altare se presente, o l’altare maggiore se ve ne è più d’uno. Wikip.
(h) rappresenta l’elemento superiore del sostegno verticale (colonna, lesena) degli ordini architettonici e la sua funzione decorativa è quella di mediare tra la superficie curva del fusto della colonna e quella rettilinea dell’architrave. Wikip.
Bibliografia e sitigrafia: “Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica o sitografica.”
(1) Silvia Palano – Santa Maria del Casale in Brindisi, ed. Neografica Latiano Luglio 2007;
(2) Maria Stella Calò – La chiesa di S. Maria del Casale presso Brindisi, ed. Arti Grafiche Schena Fasano di Puglia 24 giugno 1967;
(3) Vittoria Ribezzi Petrosillo – Guida di Brindisi a cura di M. Cazzato, ed. Finiguerra Arti Grafiche per conto di Congedo Editore – Galatina (Le) 1993;
(4) Pasquale Cammassa – Guida di Brindisi.Copia anastatica realizzata da Multimedia Srl;
(5) Gaetano Curzi – Santa Maria del Casale a Brindisi. Arte, politica e culto nel Salento angioino. Gangemi editore – Roma dic. 2013
Spitte Salentine – Blog di Massimo Negro.
L’interessante tema dei Tre Patriarchi – o meglio, del Seno di Abramo (Lc 16,22), cioè il Paradiso– non è molto diffuso in occidente. È invece piuttosto noto nell’arte orientale, in particolare nelle Chiese copta e greco-ortodossa. Una rappresentazione è nota, ad esempio, al Monte Sinai (vedi http://77.235.53.28/~englisht/archive/fullsize/c078903a3e520a07be33f46fa740dc36.jpg).
Un’altra, però, si trova nella chiesa abaziale crociata di San Geremia ad Abu Ghosh (Israele) (vedi http://c7.alamy.com/comp/BHF0EY/israel-jerusalem-mountains-frescos-at-the-crusader-church-in-abu-gosh-BHF0EY.jpg – http://c7.alamy.com/comp/E8JP5F/the-frescoes-were-painted-by-a-byzantin-artist-between-1150-and-1175-E8JP5F.jpg). Dipinto in stile bizantineggiante verso la metà del XII secolo, quest’ultimo affresco nel monastero benedettino di Abu Gosh, presenta notevoli contatti col soggetto di S. Maria del Casale. I contatti sembrano non solo iconografici, ma anche storici, naturalmente, per il medesimo contesto crociato.
Quello che maggiormente attira l’attenzione nell’affresco di Casale, però, è l’impaginazione dell’affresco del giudizio che ha inteso integrare la porta della chiesa come un vero e proprio soggetto iconografico. Essa prende il posto qui della porta del Paradiso. Incredibile! Confronta con: http://farm3.static.flickr.com/2609/3968535740_59138e7c56_b.jpg.
Complimenti per il sito e le eccellenti immagini
Stefano
Ti ringrazio per il gentile ma anche colto e approfondito commento che sarà mia cura diffondere tramite la pagina facebook agli “Amici di Brundarte”.
Francesco Guadalupi
Credo piuttosto che si affianchi perchè la porta del Paradiso nel nostro affresco c’è ed è quella, color oro, attraverso la quale Pietro, con passo deciso, sta introducendo l’uomo con la croce che dovrebbe essere il buon ladrone rappresentativo di tutti coloro che, pentiti, possono accedere al Paradiso
Eccezionale illustrazione del monumento ecclesiale tuttavia sorprende la scarsità di informazioni relative all’opera scultorea che custodisce la “Madonna Bambina”.
Forse perchè non ce ne sono o almeno io non le ho mai viste. Grazie per il complimento
Vogliate cortesemente contattarmi o indicare contatto per integrare le doviziose e preziose informazioni pubblicate, potendo documentare genesi e posa dell’opera in argomento.
Grazie.