L’ampliamento della Cattedrale di Brindisi
Nel clima di rinnovamento, seguito al Concilio di Trento, sul finire dell’anno 1582, si cominciò a demolire l’abside centrale della chiesa di Brindisi per creare un ampio vano dietro l’altare in cui sistemare il nuovo coro ligneo.
Per ingrandire la Chiesa fu necessario chiudere la via pubblica che congiungeva le attuali via Rubini e via delle Colonne.
“L’abside fu abbattuta fin dalle fondamenta. Il nuovo vano fu costruito. In sostituzione della via pubblica che si chiudeva occultando, all’esterno, anche le due altre absidi medievali, fu aperta quella via già detta di S. Francesco che fiancheggia un lato del palazzo Scolmafora, assommando, così, due delle più antiche isole della città in una sola. Il nuovo vano retrostante l’altare rimase vuoto per alcuni anni e solo nel 1594 in esso fu allogato il coro di legno di noce fatto costruire dall’Arcivescovo Andrea de Ajardi ( 1591-1595 ) (a).
Questo coro è il monumento che, se non giustifica la chiusura di una pubblica via e la demolizione di un’abside medievale, pone alcuni limiti al danno perchè, tra le opere di scultura lignea di Puglia, nel suo complesso, supera il comune livello artigianale.” (1)
“Il coro posto dietro l’altare fu detto “alla romana” perché riproduceva l’aspetto delle basiliche della Roma antica. Si distrussero così gli antichi stalli medievali e si allungarono varie chiese.” (1)
Il coro di Brindisi dall’anno 1594 ad oggi
“La storia del coro brindisino non sta ferma alla sua struttura cinquecentesca. Essa è intrecciata, come si è già visto, a quella delle riforme liturgiche verificatesi dopo il Concilio di Trento.
La datazione all’anno 1594, incontrovertibile perché ricavata dal millesimo intarsiato sopra lo stesso monumento, non è che un punto di partenza.
In questo inedito coro ligneo della cattedrale di Brindisi possono notarsi, infatti, le aggiunte, le varianti, le sostituzioni e le asportazioni operate e verificatesi nel tempo, dall’epoca appena successiva alla sua esecuzione a quella degli ultimi, recenti restauri.
Prima del 1604, dall’arcivescovo Giovanni de Pedrosa (1598-1604) fu fatto costruire il leggio. Dal 1633 al 1636 tutto il coro fu coperto con un soffitto di legno. Nella metà dello stesso secolo furono apportate le maggiori varianti alla parte frontale ove era la cattedra dell’arcivescovo, e furono schermati con due pannelli i primi scanni dei presbiteri.
Dal 1743 al 1750 furono apportate altre modifiche, tra le quali la riduzione di uno scanno per lato al piano dei presbiteri. Nel 1930 fu restaurato ed integrato in varie parti da Alberico Russo di Scorrano. Nel 1956 è stato ancora restaurato da Giuseppe Frascaro di Brindisi (b). Demolito l’altare trionfale del 1750, torna, ora, questo coro, nel primitivo quadro estetico e liturgico come fondale del presbiterio e corona alla cattedra centrale dell’arcivescovo.
La trasformazione dell’altare basilicale in altare trionfale, fu motivo determinante delle altre trasformazioni verificatesi sulla struttura intima del coro.
Come si è detto nel 1650 circa si resero necessari due pannelli che dovevano costituire le parti terminali del coro al piano degli scanni dei presbiteri, e gli appoggi per i nuovi gradini d’accesso agli stalli dei canonici.
In alto si posero, non compiuti, due altri pannelli longitudinali sopra i quali figurano in rilievo uccelli tra volute floreali. Questa sistemazione, sia per lo stile, sia per le sigle che si è avuta occasione di leggere sul cartiglio del pannello di destra, è opera dell’architetto e scultore Giuseppe Cino di Lecce “, una tra le prime e l’unica in legno finora conosciuta.
La sistemazione dell’altare secentesco variò quindi il primo valore globale del coro.
La cattedra, che era nel centro del fondale, fu trasformata in seggio corale con la costruzione di un inginocchiatoio antistante; le sedie degli assistenti, che avevano sul dorsale le immagini di due santi ciascuna, (..) furono sdoppiati.
Furono forse abbelliti gli stalli delle dignità capitolari aumentate intanto da tre a quattro, con l’aggiunta delle alette traforate.
Sulle fiancate furono aperte, con la distruzione di due scanni dei presbiteri, due altre gradinate per l’accesso agli stalli dei canonici. Altre aggiunte si ebbero nella parte conclusiva delle fiancate.
In alto, gli spazi che erano tra gli elementi delle cimase, distanziati all’origine, furono occupati da altri motivi barocchi, costituiti da volatili e delfini, in cui impera il grottesco.
Nella parte terminale delle stesse fiancate, furono aggiunte, come alette agli ultimi due stalli, riservati al vicario del vescovo ed al canonico forestiero, due colonne scanalate con capitelli pseudo corinzi che trovano corrispondenza stilistica solo nella decorazione dell’inginocchiatoio che sta innanzi alla cattedra arcivescovile.
Sui dorsali di questi due stalli sono attaccate le immagini dei principi degli apostoli Pietro e Paolo, intagliate con un più libero movimento di panneggio che non quello espresso nelle figure degli altri santi che decorano la parte frontale del coro.
La distinzione tra le parti originali compiute nel 1594 e quelle aggiunte e variate intorno alla metà del secolo XVII, è determinata, oltre che dalla differenza stilistica, caratterizzata per le ultime da motivi floreali a spesso rilievo e da altri appena graffiti con tecnica che potrebbe essere comparata con quella xilografica e pirografica, anche dal colore di legno: più chiaro quello delle parti cinquecentesche, più oscuro quello delle più recenti.” (1)
Il carattere architettonico del coro di Brindisi
“Gli stalli più importanti sono conclusi ad arco con lunette di fondo decorate a conchiglia, eccezion fatta per quella che è sopra la cattedra dell’arcivescovo ove invece sta, in rilievo, la Vergine tra i
santi Giovanni Battista ed Evangelista.
Il fastigio è anch’esso in accordo stilistico con la struttura sottostante. Esso si presenta secondo il tipico schema rinascimentale con un timpano spezzato. Nel mezzo di questo timpano si erge una statuetta lignea di S. Michele Arcangelo che trafigge il demonio.
Ai lati, sopra gli stalli delle dignità capitolari, agli stemmi in rilievo dell’arcivescovo de Ajardi si contrappongono due volute barocche. Nella fascia di trabeazione, con lettere capitali intrecciate, stanno alcuni motti invitatori.
Sui dorsali di tutti gli stalli di questa parte frontale del coro stanno le formelle rettangolari con figure intagliate di undici santi di cui la Chiesa brindisina conserva le reliquie, e dei quali vi sono anche i nomi scritti ad intarsio nella parte superiore di ogni riquadro. (..)
I raffronti stilistici possono andare anche riferiti ai particolari. (..) Le cariatidi ed i telamoni che separano le alzate degli stalli dei canonici sono simili alle lesene figurate che cesurano verticalmente gli scomparti della facciata coeva della chiesa di S. Domenico in Nardò. (c)
Le formelle con le immagini dei santi che stanno sui dorsali della cattedra e degli stalli frontali del coro ligneo brindisino, appartengono indubbiamente al secolo XVI, ossia all’originale impostazione del coro ed anche nelle due immagini degli apostoli che stanno nel coro di Brindisi, certamente scolpite da Giuseppe Cino tra il 1659 ed il 1671, ossia mentre governava la chiesa di Brindisi l’arcivescovo d’Estrada (come dianzi detto) vi è la riprova per riferire alla fine del secolo XVI le altre sculture figurative dello stesso monumento.” (1)
La scultura figurativa di tradizione medievale nel coro di Brindisi
“Al secolo XVI sono da attribuire la Vergine tra i santi Giovanni Battista ed Evangelista che sta nella lunetta sopra la cattedra del prelato, come pure le due statue cariatidi della Giustizia e della Carità che stanno ai lati della stessa cattedra.
Al medesimo secolo appartengono S. Girolamo penitente nel deserto, che fu riadattato sul fronte dell’inginocchiatoio innanzi alla cattedra nel XVII secolo, e le quattro figure degli Evangelisti, (..).
Le due rappresentazioni della Giustizia e della Carità, intagliate a tutto tondo, anch’esse derivate da schemi già altrove elaborati, sembrano indicare le necessarie virtù per un buon governo.
Il S. Girolamo che sta sul fronte dell’inginocchiatoio posticcio faceva forse parte del leggio che si sa costruito prima del 1604.
Egli è rappresentato nel deserto, secondo uno schema iconografico caro agli intagliatori nordici del periodo prerinascimentale, ma non estraneo alla cultura dei figurativi italiani e napoletani.
L’immagine di S. Andrea, il pescatore di Galilea, è espressa secondo uno schema che, se ha pure precedenti antichi in Italia, sembra maturato oltre le Alpi con la croce a X alta quanto la figura del santo.
I santi Leucio e Pelino protovescovi di Brindisi, come Martino di Tours e Nicola di Mira, sono impostati frontalmente in un’austera e solenne staticità che sa di mistica medievale.
Per i primi due santi, l’iconografia locale, mai universalizzata, trova gli ascendenti in un arco di tempo che va dal secolo XIII, in cui ambedue figurano a sbalzo sopra una lastra d’argento dell’Arca reliquiario di S. Teodoro in Brindisi, ai nostri giorni. Per gli altri santi la tradizione è più vasta e diffusa (per saperne di più clicca QUI).
Le altre immagini risultano anch’esse eseguite nel secolo XVI sia per il valore formale che per le ragioni storiche sopra espresse.
I santi Ciriaco, Marina, Lucia sembrano derivati da esempi antichi qui introdotti con cartoni di repertorio artigianale e fors’anche con stampe devozionali.
Determinanti, per queste derivazioni, sono i due riccioli biforcuti che cadono sopra la fronte di S. Lucia e di S. Marina. Essi ricordano un costume qui documentato nell’iconografia di santi dipinti nelle grotte eremitiche medievali.
S. Cristoforo è rappresentato come gigante non ancora oppresso dal peso del Bambino Gesù che, seduto sul suo omero, gli chiede di essere trasportato all’altra sponda del fiume.
Di notevole vi è la daga romana con l’impugnatura a testa d’aquila che pare accusare una certa sensibilità locale ai valori del passato, quasi in senso umanistico.”
Brindisi del ‘500 nei pannelli con le immagini dei SS. Giorgio e Teodoro
Un discorso particolare meritano le due formelle in cui sono scolpite le immagini dei Santi Giorgio e Teodoro.
S. Giorgio, nelle vesti di cavaliere romano, in sella ad un cavallo quasi bucefalo, con rozzo collo e folta criniera, trafigge il drago sotto gli occhi della leggendaria donna inginocchiata ed orante a
braccia aperte. Fin qui la scena è assai simile a quella scolpita in un pannello del Louvre. (..)
La parte superiore della formella presenta lo scorcio di una città murata che pare un florilegio monumentale della Brindisi fine ’500.
Possono riconoscersi Porta Mesagne, la chiesa di S. Benedetto con il retrostante campanile a torre, la chiesa di S. Paolo con il portale gotico, la Cattedrale con il campanile a guglie e l’oratorio di S. Teodoro.
Nella formella, ove è rappresentato S. Teodoro nelle vesti di cavaliere spagnolo e nell’atto di trafiggere il demonio antropomorfo, vi è la compiacente descrizione di particolari d’ambiente come la forma della cavalcatura e del capestro del cavallo, il gonnellino plissato, la foggia degli stivali e dell’elmo del cavaliere.
La verità locale e la capacità creativa dell’artista sono però rese in una sublimazione che eleva il santo, da milite appiedato a cavaliere vittorioso, seguendo una tradizione che è espressa per la prima volta nel secolo XIII sopra una lastra d’argento della citata Arca reliquiario. (..)
È da notare, in proposito, che nella parte superiore del pannello vi è, oltre un gruppo d’alberi, il mare con una nave a vela spiegata, e, più vicino, due torri che pare possano corrispondere a quelle che erano là dove le tranquille acque del porto si toccavano con le turbinose dell’Adriatico. Elemento, anche questo, di iconografia locale che rende possibile la datazione del pannello alla fine del 1500, epoca in cui erano ancora in piedi, o almeno leggibili, le due torri delle catenelle.
La sintesi espressa così dall’artista è quasi una trasfigurazione della realtà, possibile, in tema di ricerca, solo ad un cittadino di Brindisi o che dell’ambiente brindisino avesse avuto occasione di
assimilare sia le tradizioni che le latenti aspirazioni.
L’autoritratto dell’artista che costruì il coro cinquecentesco di Brindisi
Precisata l’età in cui furono intagliata le formelle con le immagini dei santi, ossia della parte più importante di questo monumento ligneo brindisino, resta da precisare la personalità dell’anonimo intagliatore.
Egli offre notevoli elementi di contraddizione. In alcuni casi si attiene a schemi iconografici del passato, come nella rappresentazione dei santi vescovi e delle vergini Lucia e Marina, in altri ostenta
una propria autonomia creativa.
Dimostra d’essere libero dalle contingenze e dal luogo in cui visse, superando i limiti veristici in una tesi d’idealizzazione. In questo senso depongono, in modo particolare, i due pannelli in cui sono rappresentati S. Giorgio e S. Teodoro.
In essi, come si è visto, vi sono dettagli di vita locale, scorci di monumenti della città però così bene inseriti in un contesto generale che la fusione ne risulta completa.
Le stesse decorazioni dei soprastalli presbiteriali accusano,(..) una preparazione anche teorica, aggiornata, come quella di alcuni scultori leccesi della stessa età, non disgiunta da volontà e capacita di inventare.
La più valida conferma, per considerare nell’artista i meriti di architetto e di scultore, e nell’uomo una propria visione filosofica della vita, può essere data dall’esame del suo autoritratto, eseguito in un rettangolo orizzontale alle spalle della cattedra dell’arcivescovo. In esso egli si è rappresentato in costume di liberto, scalzo, coperto di una corta tunica, con una mano sopra l’impugnatura di uno scudiscio e l’altra al cappello dalle larghe falde che pare calcarsi in testa. (..)
In esso vi è una ricerca veristica. Il naso ed il collo sono tozzi, gli occhi piccoli così come si riscontra solo nel S. Teodoro che, vestito con i costumi di tipo spagnolo, può anch’esso credersi eseguito con preciso riferimento a qualche episodio reale.
Quanto sia Stato influenzato questo artista dagli scultori operanti allora nella regione, o quanto mai abbia influenzato quest’opera sua brindisina la scultura lignea della stessa regione, non è facile
stabilire, anche perché gran parte delle opere eseguite in legno sul finire del secolo XVI e nella prima metà del XVII sono andate distrutte.
“Le strutture decorative del coro della cattedrale di Brindisi, come i poggioli, trovano riscontro in quelli dei cori della chiesa cattedrale e di San Domenico, in Nardò.
Il coro della chiesa cattedrale di Nardò, fatto eseguire, nello stesso tempo in cui fu eseguito il brindisino, dal vescovo Fabio Fornari che era di famiglia brindisina, merita un particolare discorso circa le comparazioni stilistiche. Probabilmente fu eseguito dallo stesso artista che eseguì quello di Brindisi. Ciò risulta dalla similarità che è nelle decorazioni antropomorfe e zoomorfe dei poggioli degli scanni per i presbiteri sia dell’uno che dell’altro coro. I pannelli terminali per gli accessi ai vani laterali presentano delle particolarità d’impostazione che fanno pensare, anche per questo coro, ad un più tardo intervento del Cino.
I cori lignei costruiti in Puglia nella seconda metà del XVI e prima metà del XVII secolo, costituiscono un’espressione d’arte che collega, con certa sufficienza, la medievale alla moderna barocca. La prima, come la seconda, giunte qui con certo evidente ritardo. L’importanza che queste opere lignee assumono nel contesto dell’arte italiana non è quindi trascurabile.” (1) (..)
“Di derivazione spagnola si potrebbero considerare certe decorazioni zoomorfe presenti nel coro di Brindisi ed in quello della cattedrale di Nardò, in esse si potrebbe riscontrare, seguendo l’intuizione che il Pevsner ha avuto nell’esaminare l’architettura barocca della Spagna e dell’America Latina, l’influenza di quell’arte decorativa e religiosa che i primi colonizzatori dell’America del Sud avrebbero derivato dal patrimonio dei popoli indigeni.” (..)
“Si legge, attraverso queste composizioni, l’eclettismo degli artisti e degli artigiani locali, talvolta però ridotti all’uso dei cartoni (d), ripetizione accademica dotta ma raggelata, tal’altra alle stravaganze antitetiche dell’invenzione.
Con questo non si esclude genialità e pensiero agli artisti che operano, qui ed altrove, sul legno in quel tempo già definito ”oscuro e criticamente immacolato dell’arte figurativa in Terra d’Otranto”.” (1)
Se ne propone qui, una folta selezione.
Un ringraziamento all’amico Mario Carlucci per la consueta collaborazione
Note
(a) Andrea de Ayardi spagnolo della Biscaglia, dottore in S. Teologia, e parroco della chiesa di S. Croce in villa Manta presso Madrid, fu nominato a questa sede dal Re Cattolico ai 30 di marzo 1591. Giunse egli in questa residenza in tempo, in cui una orribile carestia tormentava crudelmente il popolo. Ma egli caritatevole al pari che generoso, accorse al sollievo degli infelici che se ne morivano per la fame, in un modo veramente maraviglioso, sino a vendere o a dare in pegno la propria suppellettile; ond’è che meritamente si acquistò il glorioso titolo di Padre de’ poveri. Ciò non ostante però questo benefico e vigilantissimo Pastore a nulla mancò di quanto potè occorrere alla sua chiesa. Egli nel 1594 formò nel nuovo coro, fatto costruire dal suo predecessore, i grandiosi sedili, o sieno stalli, tutti di legno di noce, elegantemente lavorati, con diverse speciose figure, e con varie imagini di Santi ne’ stalli principali, ed in fronte le di lui insegne, come si osserva a’ giorni nostri. (..) – A. De Leo, Dell’antichissima città di Brindisi e suo celebre porto. Ristampa anastatica. pp. 106-107
(b) Massimo Lopez (alias Max Martini), nipote per parte di madre di Giuseppe Frascaro (Mestru Peppu), uno dei restauratori del coro del nostro duomo, ci ha mandato questa foto che volentieri pubblichiamo con la segreta speranza, come dice Max, che da qualche parte lo raggiungerà e ne sarà contento, con la seguente descrizione “Giuseppe era una persona apparentemente burbera ma buona e schiva, spesso restio anche a farsi pagare i suoi lavori” – da parte nostra diciamo Grazie Mestru Peppu
(c) cariatide (Wikipedia approfondimento) elemento architettonico che rappresenta una figura di donna generalmente ben eretta e impettita, scolpita nell’atto di sostenere sul capo architravi, logge, balconi, mensole, cornicioni, ecc. e avente una effettiva funzione portante in luogo di colonne e paraste o decorativa in luogo di lesene; detta anche canefora (l’equivalente maschile è l’atlante o il telamone), conobbe vasta diffusione in epoca greco-ellenistica e romana, per continuare ad essere utilizzata nell’arte romanica, rinascimentale, barocca e nel neoclassicismo
(d) Il cartone in campo artistico è un modello, uno studio preparatorio per la realizzazione di un dipinto. Solitamente il cartone si realizza in rapporto di scala 1:1 e pertanto delle stesse dimensioni con le quali si realizzerà il dipinto.
Bibliografia e sitigrafia: “Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica o sitografica.”
(1) Rosario Jurlaro, Il coro della Cattedrale di Brindisi. Ed. a cura del Lyons Club di Brindisi. Arti Grafiche N. Schena – Fasano (Br) 1969
Ma questo non è un bloi, è un’enciclopedìa ! sapientamente illustrata…)