Oggetti e attrezzi antichi e del nostro passato. Per non dimenticare!

 

11197723853_a68a8617ed_zDa una idea di Mario Carlucci

Abbiamo pensato di raccogliere in questa pagina una serie di foto di oggetti non poi così datati, ma ormai obsoleti e superati dal progresso per rendere loro omaggio e, soprattutto, perchè costituiscono un patrimonio di cui non si deve perdere traccia in quanto rappresentano la nostra memoria, la nostra storia. Negli scatti oggetti d’epoca,  tutti segnati dal tempo, ma ancora presenti nella memoria dei nostri nonni. Ovviamente non si tratta di oggetti d’arte, nel senso stretto della parola, ma le immagini, con la loro semplicità, riescono a restituire quel fascino nostalgico e vintage che sanno regalare le vecchie cose.

L’articolo è in continuo aggiornamento ed è approfondito ai seguenti link

Museo delle arti e Tradizioni di Puglia  – Latiano  prima parte

Museo delle arti e tradizioni di Puglia – Latiano seconda parte

La Monaca o lu Monucu – attrezzo che conteneva lu scarfaliettu, un contenitore di rame a forma di padella (che si intravede al centro in basso), con la brace e serviva a tenere sollevate lenzuola e coperte perchè non si bruciassero. Il nome probabilmente è dovuto alla forma simile ad una tonaca che assumevano le coperte quando questo oggetto veniva posto nel letto.

Questo nella foto, conservato presso il museo Ribezzi Petrosillo di Latiano, ha due resistenze che furono sostituite al tegame coi carboni quando fu disponibile per tutti la corrente elettrica.

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– presso museo Ribezzi Petrosillo di Latiano

La brasciera – oggetto in rame che conteneva la brace. Qui è inserito in un apposito cerchio in legno su cui si appoggiavano i piedi per scaldarsi. La brace veniva utilizzata anche per arrostire il pane o altro. Vi si preparavano anche i lampascioni che venivano posi nella brace della carbonella senza nessuna pulitura preliminare perchè gli strati esterni si sfogliavano dopo pochi minuti. Dopo la cottura venivano spellati agevolmente e il lampascione era lindo e pronto per essere schiacciato nell’olio di oliva e mangiato con pane a volte fatto in casa.

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Lu cantru – vaso da notte utilizzato in mancanza di servizi igienici, in genere per le evacuazioni solide.

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Lu rinali n’tra la colonnetta – vaso da notte conservato in un mobiletto che fungeva da comodino e veniva utilizzato in mancanza di servizi igienici, in genere per le evacuazioni liquide.

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La quatara (o la minzana) – un orcio a due braccia utilizzato per prendere l’acqua dalla fontana

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Museo delle Arti e Tradizioni di Puglia di Latiano

Lu quaturu (o lu cofunu) –  oggetto in creta o in rame nel quale si lavavano i panni. Metodo del lavaggio: innanzitutto si metteva il tappo al foro sottostante e dentro si sistemava la biancheria già lavata a mano nella “pila” sul ” lavaturu” (asse li legno con la superfice a scalini). Riempito il recipiente, si copriva il tutto con un panno di tela pesante sul quale si cospargeva uno strato di cenere e qualche rametto di alloro. Si versava poi dentro acqua fatta bollire nel “quatarieddu”(un pentolone di rame rossa). I panni restavano in ammollo in quest’acqua per circa 4-5 ore e poi si ripeteva l’operazione per 3-4 volte. Naturalmente ogni volta prima di aggiungere l’altra acqua si faceva scorrere attraverso il foro sottostante l’acqua precedentemente versata e che era diventata liscivia. Questa veniva usata poi come detersivo per la pulizia della casa ed anche per lavare i capelli che risultavano brillanti e setosi. Dopo qualche giorno dal termine delle operazioni di lavaggio si tiravano fuori i panni per asciugarli e la casa veniva invasa da un profumo molto delicato, sicuramente dovuto all’alloro nelle cenere. La giornata del bucato, che di solito si svolgeva negli ortali, era una vera e propria festa e nei tempi morti che le procedure del bucato comportavano, si impastava la farina per focacce al pomodoro, puddiche alla brindisina, parmigiane varie, secondo la stagione, e si infornava. I profumi di gusto e di pulito si diffondevano per tutta la strada. Le nostre mamme, le nostre zie, le nostre nonne, si stancavano ma sempre con il sorriso sulla bocca; impareggiabile la tecnica per strizzare l’acqua dalle lenzuola! Quanta energia e quanti reumatismi, poi, con gli anni; mentre i piccoli giocavamo sul terrazzo, spensierati e felici in attesa di mangiare.

Quando lu cofunu si lesionava si chiamava lu consalimmi o lu stagnìnu ca lu rrìpizzàva”!

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La lemba – recipiente in terracotta utilizzato non solo per lavare o come coadiuvante del cofano o quataru, ma veniva usato anche in cucina. Nelle famiglie numerose le donne lo usavano anche per impastare (per esempio vi si preparava l’impasto delle pettole la vigilia dell’Immacolata). Un nostro lettore ci ha raccontato che la madre tirava fuori le sue due lembe in occasione di due ricorrenze speciali: la prima significava adoperarsi tutti per fare la salsa, la seconda era l’arrivo delle feste natalizie. In una, mia mamma riponeva tutto ciò che era salato tipo “li cacchitièddi cu lu pepi, quiddi cu lu finucchièddi, li cacchitièddi all’olio, ecc. ecc.”, mentre nell’altra c’erano “mustazzuèli, bocconòtti cu la mustarda, cu la marmillata di marangi o ciliege, rigorosamente preparate in casa, biscuttini pì ssuppàri ntra lu marsala, ecc. ecc.”

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La lemba della foto sotto risale agli anni cinquanta e presenta una riparazione eseguita nel 1959. Fino agli inizi degli anni ’70 questa lemma riusciva a contenere l’acqua senza perderne una goccia. Come vedete poi è stata destinata a contenere una felce che si riproduce di anno in anno.
L’amico che ce l’ha fornita ricorda molto bene quando fu riparata, e “lu conzalimmi, ssittatu nterra vicinu allu pisulu ti casa mia”, (il riparatore, chiamato “lu conzalimmi”, concia brocche, seduto per terra vicino al gradino di casa mia), mentre lui ancora bambino guardava ogni movimento che faceva, attratto dal trapano che non aveva mai visto prima. “Lu conzalimmi”, prima fece i fori a destra e a sinistra della linea di rottura, passò tra i fori del filo di ferro, dalla parte esterna annodò il filo passato da foro a foro, quando fini di annodare tutti i fili creando una stupenda cicatrice. “La lemma”, doveva contenere acqua, quindi doveva essere impermeabile come lo era prima, per fare questo “lu conzalimmi”, utilizzava un impasto di cenere e calce bianca con cui sigillare la fessura ricucita.
La “lemma” è oggi  sostituita da vaschette più leggere e colorate, realizzate in plastica.

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foto di Carmelo Colelli
 Lu mmbili (o lu mummulu) – oggetto di uso contadino. Veniva riempito di acqua e messo nel pozzo a rinfrescarsi per poi essere portato in campagna in quanto  manteneva l’acqua sempre fresca. Risultava perciò molto utile quando si lavorava nei campi per circa dodici ore al giorno e si aveva l’esigenza di bere e rinfrescarsi.
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La capasa – vaso in terracotta utilizzato per contenere le provviste. Vi si conservavano, a seconda delle dimensioni, fichi secchi, legumi, olive alla consa, lupini, peperoni allu caricu, frise ed altre provviste invernali.

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Lu capasoni – grande vaso di terracotta di forma panciuta per contenere il vino. Non mancava in nessuna casa e poteva arrivare a contenere, negli esemplari più grandi, fino a 250 litri.

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Lu vasettucontenitore in terracotta utilizzato per conservare melanzane o peperoni sottolio o, in alternativa, per i fichi secchi. Ci piace descriverlo con uno scritto fattoci pervenire da Carmelo Colelli

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L’atru ggiurnu stava ‘ntra l’ortale ti casa mia, stava sulu sulu, totta ‘nna vota mi sintii chiamari:

“Carmè! Carmè!”

Uardai atturnu atturnu, no veddi anama viva, mancu sobbra all’astichi ti costi stava nisciunu, ntra l’atri ortali ti costi, mancu si sintia niscunu, io la voci però l’era sintuta.

Contunuai a fari cuddu ca sta facia.

Toppu nu picca mi sintii chiamari n’atra vota.

“Carmè! Carmè!”

Uardai bbuenu bbuenu e capii ca la voci vinia ti lu Vasettu, quddu giallu, ppuggiatu sobbra alla vocca ti nu capasoni, no putia essere veru ca lu vasettu sta parlava, mi ‘nvicinai chianu chianu, quando stava propri ti fronti, iddu mi ticiu:

“Carmè, ta fattu crandi, iu mi rricordu ti tei, mi rricordu quandu ieri piccinnu, quandu sciucavi qua nnanzi, quandu ‘ntra st’ortali staunu tanti fiuri ti tanti culuri, quandu cu llu vantili neru e lu fioccu azzurro, scivi alla scola.”

Mi simbrava ca mi sta sunnava, ma non era ccussini, iu stava bellu e ddiscitatu, era lu Vasettu ca sta parlava, continuau e mi ticiu:

“Moni agghiu rimastu, qua ‘nnanzi allu soli, sobbra a stu capasoni, sulu e bbandunatu.

Ti ‘stati, quandu faci tantui cautu, mi sembra ca m’agghia squagghiari, duranti lu ‘nviernu, sembra ca aggia catiri ‘nterra e ma agghia spriculari a milli pizzetti.

Moni no servu chiù a nienti, avi tanti anni ca stau qua fori, ti quandu rrivau la Riggina.”

Si firmau, comu cu pigghia fiatu, poi continuau:

“La Riggina era bella, leggera, culurata ti tanti culuri, fatta ti tutti li formi ca sirviunu ‘ntra li casi, quandu catia ‘nterra no si scasciava, comu succitia a unu ti nui.

Sta Riggina si chiamava: “Plastaca”, ticunu ca la fannu ti lu pitrogliu, a nui inveci ‘ndi faciunu cu lla creta rossa, quedda ca si trova ‘ntra li campagni, ti Grottagli, sotta Taruntu.

Prima cu rriva la Riggina, quandu tuni ieri piccinnu, chiui ti cinquant’anni aggretu, iu non era sulu, iu tiniva li frati mia chiù garndi e quiddi chiù piccinni, tinia puru li cuggini mia, erunu comu a mei pero loru non erunu gialli, erunu bianchi, nu bbiancu nu picca sporcu.

Ntra ddo mei, nonnata e mmammata l’ustati mintiunu pipaluri e marangiani sottoglio o sottacitu, ntra ddo li cuggini mia mintiunu li fichi, quiddi bianchi tuci tuci e li fichi cchucciati cu lla mendula intra.

La matina, quandu ieri a sciri alla scola, nonnata si ‘nvicinava a unu ti li cuggini mia, pigghiava tre quattru fichi e ti li mintia ‘mpota e tuni fucivi tuttu cuntientu ti lu rricalu.

La sera, quandu ierava a mangiari, mammata si ‘nvicinava a mei cu nnu piattu ti creta smaltata, bellu e culuratu, puru iddu ti Grottagli e, lu anchia ti pipaluri e marangiani.”

Si firmau, mi uardau e mi ticiu:

“Carmè! Fammi ‘nnà fotografia e ci pueti mmostrala a tutti l’amici tua.”

St’urtama frasi mi simbrau na prighiera.

Comu nci putia tiri ti noni, la fotografia si l’era propiu mmiritata!

Lu tummulu, lu quartuddu e lu stuppieddu – antiche unità di misura per le olive. Queste erano diverse per le olive e per l’olio infatti per le olive e variavano da paese a paese. Un amico ci riferisce: “Lu stuppeddhru  era pari a circa 10 Kg. di olive e lu tumulu a circa 33 Kg. mentre la vascata corrispondeva a sei tumuli, cioè circa 200 kg. di olive”, ma le testimonianze ci riferiscono anche quantità diverse.

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La mattra –  mobile composto da una spianatoia di legno per impastare pane, pasta, friselle e da un vano per conservare gli attrezzi, la farina e riporre la pasta mentre lievitava.

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Lu sutazzu – si utilizzava per setacciare la farina separandola dai frammenti di paglia (skagghioli) che poteva contenere quando usciva dal mulino

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La piattera – scaffale pensile bombato e a giorno utilizzato per riporvi piatti e vasellame

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Vecchia oliera 

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La pignata – recipiente in terracotta utilizzato per cucinare. Una volta i legumi si cucinavano solo ed unicamente nella pignata vicino al caminetto e a fianco c’era sempre lu pignatieddu pieno di acqua calda pronta per essere aggiunta nella pignata quando quella dei legumi evaporava

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Da ricordare l’antico detto salentino “Li uai di la pignata li sapi la cucchiara” che sottolinea il fatto che solo dal di dentro si può conoscere la verità dei fatti.

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Lu stuempu – oggetto in pietra dura e abbastanza pesante utilizzato per pestare il grano ed altri cereali,  il sale grosso e lo zucchero. Poteva anche essere usato per sminuzzare le mandorle. Il foro interno era cilindrico con fondo concavo.  Il pestello era in legno di faggio o di noce.

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Nelle masserie faceva coppia con vasche sempre in pietra usate per abbeverare gli animali (pecore, capre e mucche)

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esterno

 

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interno

 

Lu vacili – recipiente per liquidi, largo, poco profondo, per uso domestico

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Tostacaffè (o tostaorzo) – si tratta di un cilindro metallico con una apertura e chiusura sul bordo superiore. Vi si immettevamo i chicchi di caffè verde, cioè non ancora tostato, avendo cura di riempirlo a metà per un miglio risultato, e poi sul fuoco lo si faceva roteare con la manovella finchè i chicchi si tostavano. Occorreva una particolare diligenza perchè i chicchi dovevano tostarsi al punto giusto e nel mentre si spandeva per casa un profumo intensissimo, puoi immaginare, tanto che l’operazione la si faceva in terrazza per non inondare la casa dell’odore del caffè. A tostatura avvenuta si svuotava il cilindro e il caffè era pronto per la polverizzazione nel macinacaffè che tutti adesso conosciamo e forse usiamo se compriamo in drogheria il caffè tostato in chicchi. Il caffè verde costava di meno del caffè tostato per la qual cosa quasi tutti avevano in casa il tostacaffè. 

Poteva essere utilizzato per tostare anche il più economico orzo.

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La staderaantica bilancia

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La bascula – bilancia utilizzata per pesare uva, olive, farina

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La scannedda – un vero e proprio porta enfant per riporvi i bambini fasciati mentre le madri erano occupate nelle faccende domestiche.

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La trozzula – attrezzo che serve per far scendere e salire con una corda il secchio da un pozzo.

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Lu rampinu – attrezzo che serviva a recuperare i secchi quando cadevano nei pozzi o nelle cisterne. In italiano è conosciuto anche col nome di lupe.

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Venivamo anche appesi al soffitto e utilizzati per appenderci salumi e formaggi.

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Lu vecchiu frantoiu –  frantoio in pietra che utilizzava per la frangitura delle olive le antiche ruote di pietra

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Lu torchiu (o la mammareddha) – attrezzo utilizzato per la premitura delle olive (separazione liquido/solido).
Una volta pronta la pasta di olive si procedeva alla fase dell’estrazione vera e propria, che portava alla separazione delle tre componenti della pasta, ossia sansa, acqua di vegetazione e olio. Esistono vari metodi per giungere al prodotto finito, ma a grandi linee possono essere ricondotti a due grandi gruppi, fondati sul carattere discontinuo o continuo dell’operazione. Al primo gruppo (che è il nostro caso) fa capo il più tradizionale dei sistemi, l’estrazione per pressione meccanica: la pasta veniva posta su dischi di fibra vegetale (i fiscoli) i quali venivano impilati su carrelli (pressa) e intervallati da dischi di acciaio per uniformare la pressione. In seguito il carrello caricato veniva posto sotto la pressa, dove la pressione, crescendo nell’arco di circa un’ora, faceva fuoriuscire la componente liquida oleosa (mosto oleoso, ovvero olio e acqua di vegetazione). La parte solida che dopo la spremitura resta aderente ai fiscoli è la sansa. Questa è un ottimo combustibile e contiene ancora dal 5 all’8% di olio, che potrà essere separato solo con l’impiego di particolari solventi, esano soprattutto, con procedimento analogo a quello utilizzato per gli oli di semi. L’olio veniva poi separato dall’acqua di vegetazione attraverso la differenza di peso specifico.

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Lu fisculu – disco di fibra vegetale utilizzato per separare l’olio dalla sansa. Si riempivano della pasta delle olive, precedentemente macinate nel frantoio a pietra, e poi si mettevano nel torchio per ottenere l’olio extra vergine, attraverso quella che viene definita spremitura a freddo. I maestri che realizzavano questi recipienti in canapa erano detti li fisculari.

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Queste foto mostrano uno spaccato dei vecchissimi trappiti e della spremitura delle olive. Ben visibili li fisculi:

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Lu mulinu a petra 

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Lu trapanaturu – rudimentale trapano a mano che si utilizzava per riparare e saldare vasi e capasuni. Serviva a praticare dei forellini nella terracotta da riparare, in questa maniera: la punta di ferro finale veniva poggiata sul coccio e tenuta ferma con la mano sinistra; quindi con la destra il conciabrocche, sempre tenendo ferma la punta metallica sul coccio da forare, con la mano destra sollevava ed abbassava la striscia di legno, con la conseguenza di avvolgere e svolgere ripetutamente il filo, che faceva ruotare velocemente il bastone ed il chiodo fissato all’estremità il quale forava lentamente il coccio; il movimento veniva facilitato e potenziato dal volano. Lu conzalimbi praticava due file di fori lungo entrambi i lembi dell’oggetto rotto, a due a due corrispondenti; poi faceva passare tra i due buchi corrispondenti un filo di ferro lungo una decina di centimetri, i cui capi avvolgeva strettamente e delicatamente su se stessi. Era quindi un attrezzo molto prezioso per quei tempi, in quanto nella civiltà contadina era praticamente sconosciuta la pratica dell’usa e getta e tutto veniva riparato. Nostri lettori ci raccontano che questo artigiano girava per le strade gridando: “Lu consalimbi, giustamu lu cofunu?”

Assieme all’attrezzo si tenevano le speciali graffette che di ponevano tra i due buchi di piccole dimensioni e la pasta bianco per sigillare.

Questo arnese viene da un tempo lontano: un tipo di trapano simile, un po’ più in piccolo, lo vediamo nelle rievocazioni storiche medievali
e serviva a fare decorazioni ad occhielli per dadi, suppellettili, ecc in osso o legno con un sistema del tutto simile.

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Alzavino o”mariuncieddu” (piccolo mariuolo) – attrezzo in rame utilizzato per prelevare il vino dalle botti. In pratica si controllava il mosto che stava per diventate vino. Venivano prelevati piccoli campioni dalle botti prima di vendere il vino ai probabili acquirenti grossisti.

Quello che appare nella foto fu regalato ad un nostro lettore, quando era ragazzo, dal proprietario dello stabilimento in cui lavorava quando iniziarono a realizzarli in plastica. 

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Pompa di altri tempi – questo attrezzo era utilizzato per spostare il vino da una vasca o cisterna ad altro contenitore

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La pagghiara latianese – Concludiamo questo articolo con questa splendida e rara foto della sig.ra Dimastrodonato di Latiano. Le pagghiare latianesi erano di due tipi, questa con il muretto a secco ad altezza di mt. 1,50 e quelle senza muretto a secco, completamente di paglia fino a terra. I bravissimi maestri che li costruivano venivano chiamati “Pagghialuri”

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Questo articolo è stato scritto utilizzando foto e commenti degli iscritti al gruppo Facebook Amici di Brundarte che ringraziamo per aver condiviso con noi i loro ricordi. 

PER APPROFONDIRE

Museo delle arti e Tradizioni di Puglia  – Latiano  prima parte

Museo delle arti e tradizioni di Puglia – Latiano seconda parte

I nomi dei vari oggetti e arnesi variano a secondo dei paesi della provincia. Li abbiamo riportati nel modo in cui ci è pervenuto, ma le variazioni possono essere molteplici. Molte delle foto utilizzate rivengono dai musei della civiltà contadina di Ruffano, Santa Maria a Cerrate e Latiano e dal Museo Ribezzi Petrosillo di Latiano.  

Da una poesia di Ennio Masiello

No mi ‘llicrinescu, no fazzu vilenu;
ci si pò scanzari, facimmindi a menu,
ca tanta, ti ‘mbili, ti lemba o ti brocca,
ogni acqua ca corri, a mari li tocca!

‘NTUNIETTA “LA PIPPARA” mia nonna (Aprile/ Maggio/Giugno 2003)

di Giuseppe Laforgia

Ci tornu andretu cu lu pinsieru
E vetu tutti li cristiani ti na vota,
Tra quiddi brindisini cchiù seri e rara
Ca nu giratu comu na rota,
mi ricordu di na cristiana priparata
e sempri ‘ndaffarata
ca di nomi facia “’NTUNIETTA”
e di soprannomi facia : “la PIPPARA”.

Alla violata tinia
Casa e putea,
tretu a nu purtoni
gruessu e marroni
la casa e la mercanzia
era sbarrata
cu nu pisanti varroni.

Ci si ricorda chiui
Ti li cosi antichi
Fatti ti creta e ti passioni?

….Ti la Pippara no putia fari a menu :

Ti la lemba pi la sarza alla quatara,

ti lu ‘mbili pi ‘mbeviri

allu fironi pi li sordi ,…quandu stavunu !

ti la pignata pi li favi,

alli crasti pi li chianti,

ti la quartara, allu quaturu..

ti la capasa, allu capasoni

e allu quartarieddu…..

piffinu alli rinnali

e lu cantru pi la notti

sotta allu liettu.

Ahh……
cennò vindia la Pippara…..!

Li caramelli.., li giuggili..,

li niculizzii luenghi e neri a bastuncinu,

o a rota, cu lu colaratu pallinu!…

La fracula ti zuccuru,
rossa comu lu fuecu!…

Ah, cenno’ vindia la Pippara !..

Lampe, lumini e stuppini,
pezzi, scopi e scupini…!

L’addori ti li porviri pi lavari
Si scunfundivunu
Cu lu profumu ti l’uva intra alli tini,
tirati pi la violata
ti li cavaddi cu li travini.
Ca ticivunu :……
Ca natr’ annu era passatu
Tra robbi ,creta e frattaglie

Eti ora ti turnare
A cattari a Grottaglie

Cu lu soli, l’acqua o cu lu vientu l la Pippara è trapassata ,
fiatandu, tuttu lu tiempu .
.
Ma iu ca lu pinsieru
di nipoti sbiatitu no pportu,

ad ANTONIU E ALL’AVVOCATU,

e a tutti ricordu, ca di tanti brindisini a tu parlatu,
e ti sta città travagliata,
ca puru politici e signuri
dicunu sbagliata,
vatu scurdatu ti na cristiana binedetta,
Brindisina onorata ,amata e rara
ca di nome facia ‘NTUNIETTA
ma tutti la chiamavunu “ PIPPARA.”
(Giuseppe Laforgia)

16 commenti

  1. Cercavo la vecchia cassa di legno dove si tenevano i semi es. il farro
    ma non la madia dove si impastata
    Grazie

    1. Nel Museo delle arti e tradizioni di Latiano la risposta a qualunque domanda perchè sono stati recensiti tutti gli oggetti che facevano parte dell’artigianato e della tradizione contadina. Questo è il link della prima parte, all’interno del nostro articolo c’è il collegamento alla seconda parte: http://wp.me/p8GemW-2Fm.
      Con la speranza di esserti stato utile cordialmente ti saluto.

  2. Sarei interessata a vedere foto di vecchie attrezzature in legno per lavandaie

    1. Ciao Franca, rispondendo alla tua richiesta, penso che potresti dare un’occhiata al Museo delle Arti e Tradizioni di Latiano, per trovare quello che cerchi. L’articolo si compone di due parti, questi i link: http://wp.me/p8GemW-2Fmhttp://wp.me/p8GemW-2Gq

  3. Buongiorno, stiamo organizzando un museo che riguarda gli oggetti del passato legati agli animali domestici, collari, trasportini, medagliette, ciotole, cucce, ma anche catene, oggetti da lavoro come campanacci per cani o gabbie per cani da caccia…
    tutto ciò che ha a che fare con animali ritenuti oggi domestici, allora domestici lo erano poco…
    Se doveste avere oggetti o notizie o immagini vi prego di scrivermi e contattarmi!
    Grazie mille
    Monica

    1. D’accordo.
      Buona giornata

  4. Notevoli problemi qui. Sono Sono molto soddisfatta contento to peer a guardare il vostro articolo
    postale. Grazie Grazie tanto e sto cerca avanti a tocco voi.

    Vuoi gentilmente me cadere un e-mail? Maramures Grazie,
    buona giornata!

    1. Purtroppo non riesco a capire qual è il problema

  5. Buongiorno. Cerco nomi antichi o tradizionali di attrezzature o oggetti che si usavano per la lavorazione del formaggio.
    Grazie

    1. Proverò a chiedere all’amico Mario Carlucci, nel frattempo perchè non provi a guardare sul nostro servizio Museo delle arti e tradizioni di Puglia a questo link http://wp.me/p8GemW-2Fm. Tieni presente che dopo questa prima parte ce n’è anche una seconda. Buona giornata

  6. Buon giorno, oggi ho scoperto una parola nuova in dialetto mantovano “STER” è un attrezzo che si usava negli anni 30/40 per pesare i cereali, qualcuno ha un immagine di questo attrezzo?

    1. L’amico Mario Carlucci mi dice: “In Italiano Staio o Stajo, simile ai nostri antichi attrezzi per misurare le olive.”

  7. .Grazie a voi. riscopro il vero utilizzo di alcuni oggetti non vivo più in campagna da anni sto ricercando cose che mi riportino le belle sensazioni

  8. Fatto molto bene, non c’è che dire !

    1. Grazie, molto gentile!

  9. nel elencato e raffigurato manca il tipico tegame di metallo un po schiacciato e smaltato bianco, abbordato di -blù- con i due manici laterali.

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