Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Maurizio Russo, collezionista salentino, sul pittore Cosimo Sponziello e la sua attività artistica.
L’itinerario artistico
Con queste poche righe cercherò di ricostruire l’attività pittorica di Cosimo Sponziello, dagli anni 50 all’ultima produzione, attraverso una variegata panoramica delle sue opere, nel tentativo di offrire un contributo per una migliore comprensione della sua evoluzione artistica.
Cosimo Sponziello ha dipinto le vedute del Salento con sentimento, tenacia e semplicità, restando sempre legato profondamente al linguaggio della natura. L’insistenza nel dipingere ripetutamente gli stessi luoghi non è dovuta certo ad una carenza di fantasia, ma ad una coscienza cromatica che non si accontenta dei risultati raggiunti e vuole sempre indagare, esplorare, approfondire.
Il Nostro ha rappresentato insieme ad un gruppo di pittori, che ruotavano attorno alla Patriottica di Milano, la difesa di una situazione artigianale nella pittura e nell’arte senza separarsi dalla tradizione impressionistica, rimanendo nel contempo distaccato dalla grande vicenda dell’arte negli ultimi 30 anni.
Figura fine, discreta, pizzetto da repubblicano storico con voce modulata, educatissimo, riguardoso, personaggio gentilmente deamicisiano come lo ha descritto il giornalista che lo intervistava in una mostra del 1969, Sponziello nasce a Tuglie il 27 settembre 1915, si trasferisce a Milano nel 1941 e si iscrive ai Corsi serali degli Artefici dell’Accademia di Brera studiando pittura con Gino Moro.
Ritorna a Tuglie e partecipa a quel moto di rinnovamento che caratterizzò il Salento tra gli anni 40 e i primi anni 50, promosso da un gruppo di scrittori, pittori e scultori legati come dice Antonio Lucio Giannone da “intensi sodalizi” che cercavano di riprendere il discorso con la cultura nazionale, interrotto bruscamente durante il fascismo. Fu uno dei protagonisti del periodo insieme a Nino della Notte, Aldo Calò, Paolo Suppressa, Luigi Gabrieli, Vittorio Fiore, Vittorio Bodini, Luciano della Rosa e Vittorio Pagano.
Studia pittura con Vincenzo Ciardo proprio nel momento in cui il maestro gaglianese effettua quella svolta che lo fa approdare al mondo di Bonnard oltre quello di Van Gogh e De Pisis. Ciardo non era pittore rivoluzionario, ma artista individuale che di volta in volta tenta di trasformare in un discorso personale le suggestioni esterne e per questo divenne subito un punto di riferimento per Sponziello il quale riprende la trama fatta di puro colore, colore caldo e una pennellata breve, rapida e quadrata che si sviluppa in una tessera di mosaico. ( TAV.1 -2)
Nel 1953 si trasferisce nella pulsante Milano. Insegna figura disegnata al Liceo Artistico di Monza e da questo momento incomincia a partecipare a quasi tutte le esposizioni nazionali (Maggio di Bari, Quadriennale di Roma 52-56, Premio Michetti, Premio Golfo della Spezia, Premio Suzzara, Premio Dalmine, Premio Marzotto, Biennale di Milano ecc.). Più tardi affermerà lui stesso, in una intervista, di aver partecipato a circa 300 esposizioni nel periodo compreso dai primi anni 50 alla metà degli anni 70.
In questo periodo, anche la critica nota le qualità del pittore: Bodini lo considera un paesaggista delicato con un esile filo di poesia, Oronzo Valentini lo riconferma discepolo di Ciardo, Alfredo Schettini afferma che rifà alla perfezione V.Ciardo, Marcello Venturoli dichiara che Sponziello abbastanza colpito dalla lezione di De Pisis volta però in un chiarismo meno intenso, Mario Portalupi sostiene che Sponziello è un sentimentale paesista genuino preoccupato di sposare in letizia la campagna lombarda col sole della natia rossastra terra salentina, Umberto Ronchi dichiara che non ha concesso nulla alla meridionalità, intesa come pittura grassa e violenta, e ancora Raffaele de Grada inquadra Sponziello nel clima del postimpressionismo lombardo, con un misto di istinto meridionale e con uno stile non del tutto dissimile da quello di V.Ciardo.
Alla fine degli anni 50 i tasselli ciardiani si traducono in una miriade di frammenti che svariano dal bianco al giallo ai verdi spenti; tacche di colore che interrompono la continuità delle campiture nelle quali il dipinto diventa lettura non sempre agevole.
Lago di Garda, (TAV. 3) Fiume Lombardo ( TAV. 5) e Salento Estivo (TAV. 4) lavori eseguiti negli anni 1961 – 1962. Ha ragione Borgese, critico d’arte e scrittore, che parla di movenze astrattiste, caratterizzate da verdi sottili e da notevoli trasparenze, troppo dissolte nelle forme.
C’è da chiedersi cosa sarebbe diventato Cosimo Sponziello se avesse continuato a dipingere in questa maniera! Perchè abbandona questo stile nel periodo in cui critici, scrittori ne esaltano le particolarità per ritornare al figurativo classico, dove invece da parte dei critici vi è una sospettosa riluttanza? Sarebbe interessante aver potuto chiedere tutto questo al pittore.
A conclusione dello studio da me condotto ho cercato di trovare una risposta. Di certo lo stile dell’artista venne influenzato dal pittore che Sponziello stimava molto, Carlo Carrà. Nella sua autobiografia Carrà affermava “l’artista che cambia la sua pittura per avere un consenso è un vinto anche nel suo trionfo” e continuava “tra la fine degli anni 50 numerosi colleghi artisti, molti dei quali con un luminoso passato figurativo si erano volti all’astrattismo. Questa scelta si configura come un sintomo epocale della scomparsa di quell’integrità del soggetto umano, cui è inerente la figuratività” Saranno queste le cause che spinsero il pittore a ritornare diciamo cosi sui suoi passi?
La sua tavolozza con il passare del tempo comincia a schiarirsi; la sua produzione abbandona l’intera molteplicità cromatica per far posto a una tavolozza ariosa, significative composizione accendono la fantasia dell’osservatore. E’ forse merito dei verdi tessuti con azzurri e grigi che danno la magia di una prospettiva sicura, una pittura fatta di delicatezze raffinate attraverso velature e trasparenze (TAV. 6) o come in Manarola (TAV. 7) una visione d’acqua dissolta in una trasparenza cromatica dove i grigi sono modulati sui verdi asciutti con una stesura a piccole campiture.
Ormai Cosimo Sponziello è un vivace narratore in chiave ormai chiarista con richiami sempre alla tessera musiva di V. Ciardo. Ha scelto la tacca di colore come mezzo stilistico e i suoi dipinti acquistano progressivamente maggiore luminosità e leggerezza raggiungendo una nitidezza di tonalità delicatamente atmosferiche con l’eliminazione del chiaroscuro. Nelle tavole 8 e 9 il paesaggio salentino è interpretato in maniera diversa rispetto alla produzione degli anni 50, ulivi arsi e contorti, la campagna bruciata dal sole dove il tempo sembra essersi fermato.
La tavolozza continua a schiarirsi ( TAV. 10–11) e i colori hanno un impasto madreperlaceo che fanno risultare i dipinti pieni di freschezza in cui si abbina come dice il prof. Massimo Guastella una scomposizione e una ricomposizione dei luoghi e delle cose.
I ritratti poi ( TAV. 12-13) hanno una delicatezza quasi idilliaca, i volti le labbra i capelli sono bagnati da una serenità e da una tenerezza diffusa su tutta la tela, nessun dramma nessuna tragedia tocca le figure rappresentate, figure risolte come di consueto a macchie che si frantumano con risultati suggestivi.
Con il ritorno nel suo paese natio negli anni ottanta, il pittore entra nel dimenticatoio dell’arte italiana, a differenza dei suoi colleghi quali Adriano Spilimbergo, Angelo Dal Bon, Francesco De Rocchi, Cristoforo De Amicis e Pio Semenghini che, grazie al lavoro della studiosa Elena Pontiggia e alle istituzioni lombarde, riuscirono ad uscire dall’oblio in cui erano stati confinati alla fine degli anni 70. Per questi la mostra “Persico e gli artisti” Milano 1997 segnò il via ad una serie di esposizioni in varie città del Nord creando tra i collezionisti italiani un rilevante interesse.
La mancata rivalutazione della “conoscenza pittorica” di Sponziello è da attribuirsi all’assenza di interesse da parte delle istituzioni locali e all’atteggiamento della critica d’arte. Frasi come “chiarismo salentino dai toni rarefatti e raffinati” oppure “splendido monocromatismo morandiano” hanno avuto solo un effetto di esaltazione comunicativa, senza rivalutare effettivamente la figura del pittore perchè nel meridione non c’è stato mai un movimento artistico che possa avvicinarsi al chiarismo.
Solo i contributi dei Professori L. Scorrano e A. L. Giannone hanno esaltato e delineato in modo veritiero la figura umana e artistica del pittore.
Sponziello morirà isolato il 7 marzo 2005 dopo aver vissuto gli ultimi tre anni della sua vita nel Villaggio Santa Rita.
Maurizio Russo
In questo periodo di quarantena ho potuto fare una ricerca alla quale pensavo da tanto ma che continuavo a
rimandare. Con grande piacere ho letto tutto l’articolo e,non essendo del campo, posso confermare quanto
detto relativamente alle sue qualità umane.Sono il figlio di una sua cugina da parte di madre ed ho 77 anni.
Di Cosimo ho potuto ammirare il suo modo di “isolarsi” quando dipingeva e la sua grande attenzione ad aspettare l’ora più adatta del giorno, per avere la luce più adatta per il paesaggio che voleva raffigurare.
L’ho visto realizzare le sue opere sia a pennello che a spatola.
Si è interessato anche di fotografia,nel periodo di permanenza a Monza (Mi),che ,con le sue capacità artistiche, realizzava delle istantanee che guardavi con stupore. Nelle foto che raffiguravano i visi di parenti
ed amici,sapeva fare sapienti ritocchi che, eliminando eventuali difetti,rendeva la foto perfetta senza alterare
l’espressione del ritratto.
Non so se è una capacità comune agli artisti in pittura,ma era anche capace di cogliere, in pochi istanti e con
tratti essenziali di matita,l’espressione caratteristica delle persone: un caricaturista eccezionale.
Dopo la morte della moglie ci siamo persi di vista,come si dice,impegni di famiglia, di un lavoro puramente
tecnico,ecc.; spero non abbia perduto il contatto con il fratello Mario e le 2 nipoti.
Quando guardo il ritratto ad olio su tela( 55 x 45 ) di mia nonna Giovannina ,penso sempre a lui.
Cordiali saluti.