Un manoscritto ritrovato (Ortensio De Leo A.D. 1766)

 

20151212_170236 (copia)Il manoscritto di Ortensio de Leo (A.D. 1766), regalato nel 2010  alla Biblioteca Pubblica Arcivescovile Annibale De Leo dall’allora arcivescovo di Brindisi-Ostuni Mons. Rocco Talucci, costituisce un documento particolarmente prezioso in quanto poche sono le fonti esistenti sul monastero di San Benedetto in Brindisi poichè tutta la sua ricca documentazione finì distrutta in vari incendi. Si tratta di una raccolta di manoscritti in forma di volume, costituita nel 1776, relativa appunto al Monastero. I documenti raccolti decorrono dall’anno 1097 fino alla data di compilazione.

Nella seconda metà del XVIII secolo, venne infatti fortunatamente  scelto Ortensio De Leo, noto giurista, rinomato e apprezzato storico e scrittore, zio di Annibale De Leo,  per ricopiare e raccogliere in questo testo tutte le donazioni che riguardavano il chiostro, ma anche lettere delle monache, cause, editti, decreti, provvisioni, brevi note fiscali. Un tesoro di informazioni che attraverso una  donazione sono giunte fino a noi e che è stato possibile quindi studiare.

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E’ ciò che ha fatto Katiuscia Di Rocco, Direttrice della Biblioteca De Leo, autrice di uno studio dal titolo “Il monastero benedettino di Brindisi alla luce di un manoscritto ritrovato”, che attraverso l’analisi dei documenti contenuti in questo manoscritto ha cercato di ricostruire i rapporti che il monastero aveva con l’esterno e con il tessuto sociale della nostra città.

Le religiose avevano l’ordine dai superiori di tenere libri di amministrazione e di comporre opere spirituali e storiche, proprio in un momento in cui l’eredità del Concilio di Trento segnava la marginalizzazione delle donne nella cultura. Nei monasteri solo le donne appartenenti a ceti sociali superiori potevano avere un’istruzione, anche se limitata, con possibilità di scrivere, anzi il saper leggere e scrivere era considerato un bene prezioso, come l’attitudine al canto e suonare l’organo.

Gli scritti di queste monache che sono arrivati sino a noi sono quindi libri di amministrazione, ma anche memoriali, annali, ricordanze, cronache redatte con lo scopo di trasmettere la memoria collettiva del monastero, affermarne i diritti e sottolinearne il prestigio, ma che d’altro canto, anche senza volerlo, inevitabilmente ci portano a  conoscere l’organizzazione cittadina e i rapporti con il territorio circostante. Ci sono poi le lettere che spesso intessevano intorno al monastero una fitta rete di relazioni sociali e frequentemente viaggiavano accompagnate da doni acquistati o prodotti nel monastero, come nel caso della corrispondenza delle religiose Violante di Toledo del monastero di Sant’Antonio in Napoli e di Albina Montenegro, benedettina di Brindisi.

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Proprio dalla documentazione del manoscritto di Ortensio De Leo si evincono anche i rapporti che il monastero aveva con le maggiori famiglie della città da cui molte delle monache provenivano, ma non solo con loro, perchè nel monastero si intesseva attentamente una fitta ragnatela di rapporti anche con altre famiglie brindisine; rapporti che venivano poi consolidati attraverso legami di patrilinaggio o matrimoniali che avevano riflessi diretti nell’amministrazione cittadina e all’interno delle istituzioni ecclesiastiche.

Gerarchie e funzioni dei monasteri rispecchiavano quelle presenti all’esterno: la società ecclesiastica si esemplificava su quella civile spesso anche con gli stessi problemi e rapporti tra i diversi ceti sociali infatti non era difficile trovare le monache divise in due o più fazioni o “partiti” che appoggiavano ora l’una ora l’altra famiglia.

Grande importanza per la gestione del potere all’interno della comunità  aveva la figura della badessa che doveva sovrintendere alle necessità della famiglia monastica, rispettando però le individualità e i ruoli specifici e provvedendo anche sedare i dissensi che laceravano il chiostro  mantenedo per quanto possibile un clima di pace e di concordia tra le consorelle.

P1410697Particolare attenzione veniva data alla gestione del patrimonio ed era proprio sul piano economico che venivano creati i vincoli tra il monastero e le più consolidate famiglie cittadine. Il chiostro per stabilizzare ed ampliare le proprietà era generalmente orientato alla concentrazione del possesso fondiario e all’attività creditizia, ma di certo avevano una voce importante anche il versamento delle doti monastiche (anche se tali doti erano sempre molto inferiore a quello che sarebbe stata la dote matrimoniale) che garantivano un costante movimento di capitali.

Tutto l’apparato che ruotava intorno alle scelte economiche del monastero era quindi estremamente importante e se la carica della badessa conferiva alla titolare prestigio e autorità, non privi di interesse erano anche gli altri uffici: la superiora, la vicaria, le discrete – con il compito di deliberare sulle faccende più importanti, approvare e firmare i conti – la cancelliera e la maestra delle novizie formavano il governo della casa religiosa. Seguivano la camerlinga, la sagrestana, la refettoriera, la portinaia, le ascoltatrici, le infermiere e la cuoca che dovevano cambiare di anno in anno. Nelle scelte economiche comunque era la badessa ad avere la maggiore autorità per cui la sua scelta era molto importante non solo per le autorità ecclesiastiche, ma anche per tutte quelle famiglie legate in qualche modo ai monasteri.

In particolare poi l’importanza economica del chiostro benedettino di Brindisi fu ulteriormente accresciuta  quando nel 1107 ottenne dall’arcivescovo Godino il potere decisionale su alcune chiese e terreni circostanti e da Goffredo conte di Conversano  e sua moglie Sichelgaita il feudo di Vallarano e Tuturano.


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Le religiose benedettine, che nel corso del XII secolo avevano già difeso con successo la propria autonomia contro ogni ingerenza dell’arcivescovo, videro confermare nel 1233, dal Papa Gregorio IX, la propria dipendenza esclusivamente dalla sede apostolica. Erano le religiose stesse a provvedere all’elezione della badessa.

Più volte nel tempo le benedettine furono pronte a ribellarsi e a rivolgersi direttamente alla Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari affinchè prendesse provvedimenti contro decreti arcivescovili che giudicavano troppo restrittivi e lesivi della loro autonomia, come il divieto di avvicinarsi alle grate, di avere animali o delle proprietà e contro le frequenti minacce di scomuniche, dimostrando sempre una forte consapevolezza  della propria identità e del potere di cui godevano non solo all’interno della comunità monastica, ma anche nella vita cittadina.

Appare evidente che la Chiesa cattolica in pratica garantiva alle donne nei monasteri uno spazio particolare, che da alcune fu vissuto con la consapevolezza di avere nei chiostri l’opportunità per ricoprire ruoli importanti che nella società non potevano ricoprire, e ciò si poteva intendere quasi  come una sorta di risarcimento o come una alternativa alla vita coniugale.

I più alti uffici monastici consentivano una visibilità nel mondo esterno non solo per le singole religiose che avevano l’opportunità di rapportarsi con i vescovi, i superiori degli ordini, la curia romana e le diverse istituzioni che gestivano il potere,  ma anche  per la loro famiglia di origine che ne traeva notorietà e ricchezza (per fare un esempio, potevano ottenere dal Monastero prestiti a tassi inferiori alla norma).

Alla fine della nostra analisi si può concludere dicendo che tra le mura di quell’antico chiostro alcune donne riuscirono ad emergere senza’altro più che sposandosi e conducendo una vita laica.

Dichiarazione di lecito acquisto

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FONTE

Katiuscia Di Rocco – Il monastero benedettino di Brindisi alla luce di un manoscritto ritrovato, estratto da Parola e Storia anno VII, n 1/2013

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