“Il Parco, progettato dall’architetto Luigi Vanvitelli (1700 – 1773) come naturale completamento della Reggia e realizzato dal figlio Carlo (1739 – 1821), che gli succedette dopo la morte nella direzione dei lavori, si sviluppa per circa 120 ettari su un terreno in leggero pendio”. (1)
“L’idea di Re Carlo di competere con Versailles consentì a Luigi Vanvitelli di pensare in grande: basti ricordare che per portare l’acqua alle fontane ed alla cascata, l’architetto – forte anche dell’esperienza maturata con l’Acquedotto del Vermicino – fece scavare “pozzi a profondità incredibili” (come cita in una sua opera Antonio Marotta), forare montagne, innalzare a 60 metri un possente viadotto lungo 528 metri, noto come “Ponti della Valle”, a somiglianza di quelli romani, realizzare, infine, i 41 chilometri dell’Acquedotto Carolino. L’impresa richiese ben sedici anni di lavoro, ma alla fine il Parco disponeva di quella massa d’acqua necessaria per vivificare la grande Cascata, le numerose Fontane, la Peschiera Grande.” (2)
La parte iniziale, uscendo dal Palazzo, fu realizzata su un preesistente giardino rinascimentale, facente parte dei possedimenti degli Acquaviva prima e dei Gaetani di Sermoneta dopo. L’architetto Luigi Vanvitelli l’aveva progettato come uno spazio a emiciclo, in analogia a quanto previsto davanti alla facciata principale. Il figlio Carlo vi sostituì un unico grande prato, che ancor di più richiama la piazza antistante la facciata principale della Reggia.”
Il Parco della Reggia di Caserta è l’unico, in Italia, a disporre di un servizio pubblico su gomma per consentire ai visitatori di percorrerne da un capo all’altro i suoi 120 ettari.
La Fontana Margherita è in un’aiuola circolare, circondata, in piano, da statue delle Muse mentre statue di schiavi recanti grossi canestri di frutti della terra e dei boschi abbelliscono le due rampe semiellittiche che portano alla peschiera con la Fontana dei Delfini.
La Peschiera è lunga quasi mezzo chilometro e termina con tre grossi e terribili delfini dalle cui bocche sgorga l’acqua che defluisce nella peschiera.
Fontana dei delfini – “La fontana è decorata da due delfini fiancheggianti un mostro marino dalla testa di delfino, dalle cui bocche spalancate fuoriescono i getti d’acqua ricadenti nella vasca rotonda. E’ il primo dei soggetti studiati dal Vanvitelli sui temi suggeriti dall’amico romano, l’umanista Porzio Lionardi. I delfini furono scolpiti da Gaetano Salomone, fra il 1776 ed il 1779. L’idea fu completamente progettata da Carlo Vanvitelli. Nel 1781, Ferdinando di Borbone vi diede una grande festa illuminando i viali, dal palazzo fino alla fontana.” (2)
“A seguire la Fontana di Eolo con la rappresentazione della reggia di Eolo con i venti. Il tema scelto è quello dei venti sprigionati da Eolo per fare allontanare Enea dall’Italia secondo il desiderio di Giunone. La serie di archi allude alla grotta con antri e scogliere, da cui sorgono i ventotto venti, raffigurati come statue alate che gettano acqua dalle bocche. Sulla balaustra sono gli schiavi incatenati, due a due (*). In cima alla grotta doveva essere posto il carro trainato dai pavoni su cui troneggiava Giunone fra le sue ninfe. Manca un altro scoglio, alle spalle di questo gruppo, con le statue raffiguranti i promontori siciliani del Peloro, Pachino e Lilibeo. L’unico elemento superstite del carro di Giunone sono i due pavoni, oggi nel Cortile delle Carrozze del Palazzo Reale di Napoli. Considerata la complessa architettura è possibile ipotizzare un diretto impegno progettuale di Luigi Vanvitelli. Le statue furono realizzate dagli scultori Brunelli, Salomone, Persico e Solari.” (2)
“Dalla Fontana di Eolo, seguendo la via d’acqua si arriva alla Fontana di Cerere con la statua della dea che sorregge la medaglia della Trinacria tra ninfe; ai piedi i draghi e, di lato, due sculture raffiguranti l’Anapo e l’Aretusa, due fiumi siciliani. Le sculture furono realizzate nel 1783 da Gaetano Salomone. In origine tra i gradini e i parapetti dei marciapiedi vi erano dei getti d’acqua che, a sorpresa, venivano alimentati per bagnare le persone che passavano, tanto che la fontana veniva anche denominata “Zampilliera”. ” (2)
“Segue, dopo una serie di dodici vasche che formano cascatelle, la Fontana di Venere e Adone che è la rievocazione del mito d’amore di Venere e Adone, raffigurati mentre la dea invita il suo amato alla prudenza; accanto alle due divinità fu raffigurato il cinghiale. Marte, che per gelosia, durante la caccia, squarcerà le belle membra di Adone. Le sculture furono ultimate intorno al 1780 da un gruppo di scultori “Reali” sotto la direzione di Gaetano Salomone.” (2)
“Ultima è la grande Fontana di Diana e Atteone. La realizzazione fu affidata a Paolo Persico, Brunelli e Pietro Solari e fu ultimata con l’inaugurazione del 7 giugno 1749. Nella vasca, sugli scogli, è Diana tra le ninfe, mentre sulla sinistra Atteone, quasi trasformato in cervo, viene assalito dai suoi stessi cani. Di nuovo ci troviamo di fronte alla rievocazione di un mito classico “la trasformazione di Atteone in cervo per vendetta di Diana”. Nella fontana ricade l’acqua della cascata che, in alto, dal Monte Briano, scaturisce da una grotta artificiale, una specie di “tempietto rustico”, progettato in un primo tempo come Belvedere.
Per realizzare tutto questo e per soddisfare le esigenze idriche della nuova città di Caserta e di Napoli, Luigi Vanvitelli progettò e realizzò tra il 1753 e il 1769, l’Acquedotto Carolino che convoglia le acque delle sorgenti del Fizzo, lungo un pendio di trentotto chilometri, con una complessa opera di architettura e di ingegneria idraulica.” (2)
Il Giardino Inglese
All’interno del parco fu realizzato da John Andrea Graefer un giardino voluto dalla regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, moglie di Ferdinando IV, secondo i dettami dell’epoca che videro prevalere il giardino detto “di paesaggio” o “all’inglese”, sottolineatura dell’origine britannica di spazi il più possibile fedeli alla natura (o almeno alla sua interpretazione secondo i canoni del Romanticismo).
La regina fu convinta da sir William Hamilton, inviato straordinario di sua maestà britannica presso il Regno delle Due Sicilie il quale, per individuare l’esperto progettista del giardino, si rivolse a sir Joseph Banks, noto per gli studi botanico-naturalisti e per aver partecipato con il capitano James Cook alla leggendaria spedizione dell’Endeavour. La scelta cadde su John Andrew Graefer, figura di spicco tra i botanici anglosassoni, allievo di Philip Miller. Graefer era noto nell’ambiente botanico internazionale anche per aver introdotto in Inghilterra numerose piante esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.
L’opera di John Andrea Graefer cominciò nel 1786 e consentì al giardino di formarsi, di anno in anno, con piante e sementi individuate a Capri, Maiori, Vietri, Salerno, Cava dei Tirreni, Pedemonte, Agnano, Solfatara, Gaeta. Nel 1789, mentre proseguiva il suo lavoro al Giardino Inglese, Graefer pubblicò in Inghilterra il Catalogo descrittivo di oltre millecento Specie e Varietà di Piante Erbacee e Perenni.
Il giardino è caratterizzato dall’apparente disordine “naturale” di piante (molte le essenze rare e, comunque, non autoctone), corsi d’acqua, laghetti, “rovine” secondo la moda nascente derivata dai recenti scavi pompeiani. Di spicco, il bagno di Venere, il Criptoportico, i ruderi del Tempio dorico.
Le fontane del parco sono alimentate dall’Acquedotto Carolino, che fu inaugurato nel 1762 da re Ferdinando IV. Quest’opera che attinge l’acqua a 41 km di distanza è, per la maggior parte, costruita in gallerie, che attraversano 6 rilievi, e 3 viadotti (molto noto quello denominato “I ponti della Valle” sito in Valle di Maddaloni, di 60 metri di altezza e 528 metri di lunghezza, ispirato agli acquedotti di epoca romana).
Il suo autore, John Andrea Graefer, lasciò la Reggia di Caserta il 23 dicembre 1798 imbarcandosi sulla nave dell’ammiraglio Horatio Nelson insieme alla famiglia reale in fuga dall’arrivo dei francesi. Il giardino fu curato negli anni successivi dai tre figli di Graefer che presero in fitto il giardino dal Direttorio francese di Napoli e lo curarono salvandolo dalla rovina. (3)
A questo link il servizio di Brundarte sulla Reggia di Caserta
Note
(*) Gli operai addetti alla fabbrica della Reggia arrivarono ad essere anche 3000, comprese le donne, che però avevano un salario nettamente inferiore a quello percepito dagli uomini. Le maestranze erano per lo più locali e napoletane, però non mancavano romani, milanesi e stranieri, tra cui numerosi turchi. C’era anche un folto gruppo di schiavi (maomettani) e di forzati provenienti dalla patrie galere, che alloggiavano nel villaggio di Ercole in un proprio quartiere quasi alle spalle della Castelluccia. Erano sorvegliati da un gruppo di soldati e da almeno uno sbirro. Non mancava l’aguzzino. Gli schiavi maomettani che si dichiaravano disposti a ricevere il battesimo, lo ricevevano dopo un anno di catecumenato e con esso la nazionalità napoletana. Dopo cambiavano alloggiamento, non potendo più stare con i maomettani. Se poi sposavano donne locali, diventavano uomini liberi e, al temine della giornata di lavoro, tornavano alle loro case.
(http://www.casertamusica.com/rubriche/speciale/Parco_della_Reggia_di_Caserta/Parco_della_Reggia_Caserta.asp)
Bibliografia e sitigrafia:
“Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica.”
- http://cir.campania.beniculturali.it/reggiadicaserta/percorsi/il-parco/il-parco
- http://www.casertaweb.com/parco-reggia-caserta.asp
- https://it.wikipedia.org/wiki/Reggia_di_Caserta#Parco