La Storia
San Leucio, oggi località di Caserta (posta a 3,5 km a nord ovest della città), prende il nome da una chiesetta longobarda situata sulla sommità dell’omonimo colle. Gli Acquaviva, principi di Caserta, alla metà del ‘500, vi costruirono un castello, adibito a casino di caccia e restaurato poco più tardi da Francesco Collecini, chiamato “Belvedere” per la vista panoramica sulle campagne, il Vesuvio e Capri.
“Nel 1750, i possedimenti degli Acquaviva passarono ai Borbone di Napoli, e il feudo divenne un romitorio per i reali. Stanco del caos e degli intrighi della corte reale casertana, nel 1773 Ferdinando IV volle costruirsi un ritiro solitario.
Il romitorio comprensivo di una vigna e di un boschetto, era frequentato dal re per brevi periodi. Il 17 dicembre 1778, tuttavia, accadde un fatto che determinò il destino della colonia. Il primogenito del re ed erede al trono, Tito Livio, morì in un incidente di caccia. Il re, scosso dall’evento, decise di erigere un ospizio per i poveri della provincia presso il quale assegnò un opificio che sarebbe servito a tenerli occupati e all’uopo fece giungere sul posto delle imprese dal nord Italia tra le quali la Brunetti di Torino. La colonia crebbe rapidamente così che si decise di costruire ulteriori edifizi per migliorarne le funzionalità tra i quali una parrocchia, degli alloggi per gli educatori e dei padiglioni per i macchinari. L’organizzazione era affidata a un Direttore generale affiancato da un Direttore tecnico che monitorava la condizione degli impianti. L’istruzione tecnica degli operai era affidata al Direttore dei Mestieri ciascuno per ogni genere.” (1)
“Le commesse di seta provenivano da tutta l’Europa e infatti, ancor oggi le produzioni di San Leucio si possono ritrovare in Vaticano, al Quirinale, nello Studio Ovale della Casa Bianca: le bandiere di quest’ultima e quelle di Buckingham Palace sono fatte con tale materiale.
Il re Carlo di Borbone, consigliato dal ministro Bernardo Tanucci, pensò di inviare i giovani in Francia ad apprendere l’arte della tessitura, per poi lavorare negli stabilimenti reali. Licenziato Tanucci nel 1776, gli subentrò Domenico Caracciolo che diede grande impulso alla colonia. Fu così costituita nel 1778, su progetto dell’architetto Francesco Collecini, una comunità nota come Real Colonia di San Leucio, basata su norme proprie. Alle maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici di cui usufruivano gli operai delle seterie.
Statuto di S. Leucio
Ai lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all’interno della colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l’istruzione gratuita potendo beneficiare, difatti, della prima scuola dell’obbligo d’Italia che iniziava fin da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l’economia domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi.
I figli erano ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d’Europa. Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell’epoca, per far sì che durassero nel tempo (abitate tuttora) e fin dall’inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici.
Per contrarre matrimonio gli uomini e le donne, compiuti rispettivamente almeno 20 e 16 anni, dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al merito” concesso dai Direttori dei Mestieri. Nella loro scelta erano liberi e la conferma avveniva il giorno di Pentecoste con una celebrazione particolare: a ogni coppia era assegnato un mazzo di rose, bianche per gli uomini e rosa per le donne, fuori la chiesa li aspettavano gli anziani del villaggio, di fronte ai quali le coppie si scambiavano i mazzi di fiori come promessa di matrimonio.
Ciascuno era libero di lasciare la colonia quando voleva, ma, data la natura produttiva del luogo, si cercava di inibire tali eventualità, ad es. facendo divieto di ritorno in colonia oppure riducendo al minimo le liquidazioni.
La produttività era garantita da un bonus in danaro che gli operai ricevevano in base al livello di perizia che avevano raggiunto. La proprietà privata era tutelata, ma erano abolite le doti e i testamenti. I beni del marito deceduto passavano alla vedova e da questa al “Monte degli orfani”, cioè la cassa comune gestita da un prelato che serviva al mantenimento dei meno fortunati.
Le questioni personali erano giudicate dall’Assise degli Anziani, cd. seniores, che avevano raggiunto i massimi livelli di benemerenza ed erano di nomina elettiva.
I seniores monitoravano anche la qualità igienica delle abitazioni e potevano deliberare sanzioni disciplinari nonché espulsioni dalla colonia.
Per contrastare la concorrenza straniera, i leuciani si aprirono al mercato dell’abbigliamento con la produzione di maglie, calze, broccati e velluti. Così, seguendo la moda francese, si passò dai pekins ai tulle, dai chines ai reps. La fortuna delle produzioni leuciane è ampiamente documentata fino alla prima metà dell’800 quando l’impianto ebbe l’esclusiva sullo straordinario tessuto “fil di vetro” scoperto da Gio. U. Ruforf.
Il re Ferdinando IV di Borbone progettò di allargare la colonia anche per le nuove esigenze industriali dovute all’introduzione della “trattura” della seta e della manifattura dei veli, quindi per costruirvi una nuova città, da chiamare Ferdinandopoli, concepita su una pianta completamente circolare con un sistema stradale radiale e una piazza al centro per farne anche una sede reale.
Non vi riuscì, ma nei quartieri annessi al Belvedere mise in atto un codice di leggi sociali particolarmente avanzate, ispirate all’insegnamento di Gaetano Filangieri e trasformate in leggi da Bernardo Tanucci.
Si trattò di un esperimento sociale, nell’età dei lumi, di assoluta avanguardia nel mondo, un modello di giustizia e di equità sociale raro nelle nazioni del XVIII secolo e non più ripetuto così genuinamente nemmeno nelle successive rivoluzioni francese e marxista.
Ferdinando IV preferiva San Leucio in modo particolare e vi organizzava spesso battute di caccia e feste condivise con la stessa popolazione della colonia.
Il sovrano firmò nel 1789 un’opera esemplare che conteneva i principi fondanti della nuova comunità di San Leucio: Origine della popolazione di San Leucio e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa, di Ferdinando IV Re delle Sicilie conosciuti più comunemente come gli Statuti di San Leucio. Tale codice, voluto dalla consorte Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, fu scritto dal massone Planelli su ispirazione di Mario Pagano e di altri illuministi e fu pubblicato dalla Stamperia Reale del Regno di Napoli in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e ventidue paragrafi, rispecchia le aspirazioni del dispotismo illuminato dell’epoca ad interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed economica e pone grande attenzione al ruolo della donna.
Diverse opportunità erano offerte anche agli invalidi del lavoro che potevano rimanere in loco dopo l’infortunio; per questi fu progettato un ospizio apposito, la “Casa degli infermi”, che però non fu possibile portare a compimento a causa della discesa di Napoleone Buonaparte in Italia e della nascita della Repubblica Partenopea nel 1799. Pertanto, gli invalidi continuarono a sopravvivere grazie a delle donazioni spontanee dei lavoratori diplomati al merito, raccolti in un’apposita cassa dai seniores. Gli operai addetti alla coltivazione dei campi, invece, potevano vendere una parte del raccolto al mercato in base ai prezzi stabiliti dal sovrano.
In seguito alla Restaurazione il progetto della neo-città fu accantonato, anche se si continuarono ad ampliare industrie ed edifici, tra cui il Palazzo del Belvedere. Nel 1834 i Borbone decisero di costituire una società insieme a dei privati, tale fu la configurazione organizzativa fino all’Unità d’Italia. Nel 1862, nonostante lo sviluppo della produzione e il perfezionamento del nuovo tessuto “Jacquard”, i Savoia ne decisero la chiusura, riaprendola poi appena quattro anni dopo, ma concessa ancora in locazione ad imprese private.
Nel 1866 la Colonia di San Leucio venne elevata a comune amministrativo con il nome di San Leucio, fino alla sua definitiva aggregazione nel 1928 al comune di Caserta. (1)
Il Portale d’Ingresso
“Il portale, risalente circa al XVII secolo, costituiva l’accesso alla proprietà feudale degli Acquaviva, principi di Caserta. Riutilizzato nel secolo successivo quando, per volere di Ferdinando IV di Borbone, fu fondata la Real Colonia di San Leucio situata alle pendici sud della collina, fu restaurato dall’architetto Francesco Collecini, incaricato anche della ristrutturazione e dell’abbellimento del complesso. Sulla sommità del portale, infine, fu collocato un gruppo scultoreo con, al centro, lo stemma borbonico.
L’arco è formato da un solo fornice, sormontato da un’architrave finemente lavorato con modanature piane e curve, riprese anche nel peduccio dell’imposta; Le due alte paraste che chiudono la parte superiore a tutto sesto e i rinfianchi sono decorati con lo stesso motivo. La specchiatura sovrastante è liscia e si completa con una serie di modanature ritmate fortemente aggettanti, che terminano con un gruppo scultoreo: due leoni posti simmetricamente con lo stemma reale al centro, attribuiti allo scultore Angelo Brunelli già operante nel Belvedere e in altri siti reali.
La struttura architettonica del portale, di notevoli dimensioni (m. 8,90 di larghezza e m. 12,70 c.a. di altezza), è chiusa da un artistico cancello in ferro battuto a due ante che permette l’accesso al Real Sito.” (2)
In cima al pendio si incontra l’effige di un Santo molto caro ai brindisini e alla comunità di S. Leucio a cui dà il nome e di cui è Santo protettore.
Il Santo Patrono Leucio
“L’11 di gennaio, il giorno precedente il compleanno del Re Ferdinando IV, già si celebrava la festa del nostro Santo Protettore; più propriamente, si ricordava il giorno della sua morte.
Le notizie sulla vita del Santo sono poche,contraddittorie e non agevolmente reperibili. Quelle più esaustive, anche se tra storia e leggenda, le troviamo nella Vita di Santo Leucio scritta da Pietro D’Onofri, prete dell’Oratorio di Napoli, e da lui dedicata a Ferdinando IV di Borbone per uso degli abitatori di San Leucio.
Euprescio, così si chiamava San Leucio, visse verso la fine del II secolo dopo Cristo in Alessandria d’Egitto sotto l’impero di Teodosio. A dieci anni perse la madre e si ritirò, con il padre, nel monastero del Beato Ermete, dove crebbe istruito ed amato dai confratelli.
Un giorno, durante la celebrazione della Beata Assunta, il padre ebbe una visione del Signore che gli preannunciò il destino del figlio: con il nome di Leucio sarebbe diventato vescovo di Brindisi per combattere l’idolatria e stabilire la vera fede nella città.
Così Leucio, ordinato sacerdote, arciprete e, poi, arcivescovo di Alessandria, cominciò subito ad operare miracoli, a convertire e a battezzare. Lasciò Alessandria con i fedeli Eusebio e Dionisio e con altri 5 discepoli e sbarcò prima ad Otranto e poi a Brindisi dove compì il famoso miracolo della pioggia: perdurando la siccità da due anni, gli fu chiesto di far piovere e, avvenuto il miracolo, nacque la consuetudine di ricorrere a lui per avere la pioggia.
Iniziò la sua lunga opera di conversione presso i brindisini e gli altri popoli dell’Italia meridionale. Successivamente, fu colpito da pleurite e, prossimo alla morte, si fece sistemare a terra su della cenere e dei rottami di tegole (da qui l’usanza di salire sul monte San Leucio per prendere pezzi di tegole e di mattoni della chiesetta eretta in suo onore e applicarli ai malati).
Fu sepolto a Brindisi e, quando la città fu distrutta dalle guerre, i tranesi, devoti al Santo trafugarono la salma, la portarono nella loro città ed edificarono una basilica in suo onore. Poi, Trani cadde in mano ai Saraceni e fu allora che un conte di Benevento offrì danaro agli invasori per avere il sacro corpo. Più tardi, scongiurato il pericolo saraceno, i tranesi richiesero le spoglie ma ne ebbero solo la metà. Anche Brindisi riuscì ad averne una parte.” (2)
INNO DI S. LEUCIO
Alfin la bella aurora
Alfin sull’Orizonte
Già comparisce il dì:
Il dì felice in cui
Si dipartì da nui
Il Patriarca Leucio,
Che lieto al ciel salì.
Ei chiaro infin che visse
Per tanti merti, e tanti,
Oh quante grazie, oh quante
Rari prodigj oprò!
E a trionfare intento
Di cento errori e cento,
Coll’acque del battesimo
Le colpe altrui lavò.
Sacro Orator le leggi
Tutte spiegò di Cristo,
E splender poi fu visto
Per rara santità.
Imitator d’un Dio
Conforto agli egri offrio,
E richiamò cadaveri
In vita, e in libertà.
Esulta pur, gioisci,
Popol fastoso, e altero;
All’onor tuo primiero
Nuovo s’aggiunge onor;
Onor sublime, e raro,
Che in Leucio a te sì caro
O fortunata Brindisi,
Ritrovi il Protettor.
Nella città felice
Del Brindisin terreno
D’ogni virtù ripieno
Il Confessor fiorì.
E volò l’alma in cielo,
Lasciando il fragil velo
Alla diletta Brindisi
Quando l’Eroe mor
(http://www.sanleucionline.it/home.htm)
La fabbrica-reggia
Una doverosa constatazione: nel corso della visita si perviene alla contraddizione di una fabbrica che non si distingue dalla casa del re, né per il suo aspetto esterno nè per l’interno, poiché gli appartamenti del sovrano erano direttamente comunicanti con le officine della fabbrica. Quindi un luogo abitato da un Re e dai suoi operai.
Esterno
Un magnifico esempio di archeologia industriale
“A San Leucio, all’interno della fabbrica originaria del re Ferdinando, il Palazzo del Belvedere, ha oggi sede il “Museo della seta” (che ormai costituisce un prezioso esempio di archeologia industriale ndr) che conserva alcuni macchinari originali, ancora funzionanti, per la lavorazione della seta che mostrano tutte le fasi della produzione con gli antichi telai restaurati ed azionati da una ruota idraulica posta nei sotterranei del palazzo.” (1)
Periodo 1779 – 1789
“Parte della popolazione di San Leucio aveva iniziato spontaneamente a praticare la tessitura della seta: si trattava di una attività artigianale tradizionalmente diffusa nella regione ed eseguita a domicilio.
Dal 1778, invece, Ferdinando IV cerca attraverso una serie di esperimenti e tentativi di impiantare nella riserva reale una vera e propria manifattura serica a carattere industriale, preoccupandosi personalmente di introdurvi i più recenti ritrovati tecnici, moderni macchinari ed anche nuovi concetti nella lavorazione del prezioso materiale. L’interesse del sovrano non nasce casualmente con questo episodio, ma prende le mosse dalle considerazioni dei teorici illuministi che, nei loro propositi di riforma globale, avevano già da tempo individuato nello sviluppo delle attività legate alla seta, uno dei più efficaci mezzi per la rinascita economica del Mezzogiorno e nel protezionismo delle manifatture reali la condizione necessaria alla riuscita dell’impresa.
Vengono avviate così nel 1780 le scuole e le manifatture di San Leucio, del Carminello, della Purità, di San Giuseppe a Chiaia e di S. Egidio in Napoli, di Reggio e Villa San Giovanni in Calabria, seguite da quelle di Portici e del Real Albergo de’ Poveri nella capitale e da altre nei maggiori centri del regno.
Parallelamente si assiste alla graduale introduzione delle nuove macchine, come il “Mangano a ruota idraulica” e il “Filatoio ad acqua”, che dovevano portare al rivoluzionamento degli antichi metodi di lavorazione; alla sperimentazione di nuove tecniche ed alla formazione di maestranze specializzate. (..)
Queste attenzioni del sovrano possono nascondere il desiderio di una fuga dalle pesanti responsabilità dello stato e dell’ambiente della corte, ma riflettono anche la genuina intenzione di creare, in un sito privilegiato e con esclusivo merito personale, un centro produttivo all’avanguardia.
Per far fronte alle sopraggiunte esigenze di reperimento di nuovi spazi atti alla produzione tessile, all’abitazione e all’istruzione dei numerosi quadri, Ferdinando promuove a San Leucio una seconda serie di interventi; questi lavori, affidati all’architetto Collecini, comprendono una nuova ristrutturazione del Belvedere, la realizzazione della filanda (iniziata nel 1783), di un filatoio (iniziato nel 1787), e di altri opifici, e la costruzione dei due quartieri operai di San Carlo e San Ferdinando, i cui lavori, incominciati nel 1786, si protrarranno a lungo.
La prima fase di allestimento della fabbrica, che vede la trasformazione dell’antico Casino in “Edificio della Seta”, termina nel 1789. Diventa una sorta di centro direzionale, per le funzioni direttive, amministrative e rappresentative del centro, ospitando gli alloggi delle personalità e dei quadri dirigenti dell’azienda, oltre che gli appartamenti reali. Attorno alla corte interna vengono invece disposti tutti i locali tecnici, corrispondenti alle varie fasi del complesso ciclo della lavorazione della seta: la filanda e il filatoio trovano posto nel corpo di fabbrica settentrionale, dietro al quale viene successivamente costruita in aggiunta una seconda filanda. Nei sotterranei di quest’ala il sovrano fa disporre, nel 1787, un ingegnoso e avanguardistico sistema di ruote e leve che, utilizzando la forza motrice dell’acqua che arriva dall’acquedotto del Bosco, comunica il movimento agli aspi della trattura, ai valichi per la filatura, alle piante della torcitura, e all’incannatoio. In questo modo si realizza la meccanizzazione e l’industrializzazione di lavori, tradizionalmente eseguiti fino ad allora, sfruttando la sola energia dell’uomo. I fabbricati ad est e ad ovest del cortile contengono invece i locali per la tintura e la tessitura oltre che numerosi magazzini e depositi per i materiali.
Il naturale declivo della collina permette di non nascondere alla vista il Belvedere, ma di offrirne anzi una visuale che ne accentua l’effetto scenografico e la carica simbolica. Ciò è reso ancora più evidente dalla creazione della lunga scalinata e del piazzale che introducono all’edificio e che di fatto ne aumentano prospetticamente le dimensioni. Il fronte dell’antico castello baronale è poi inquadrato dall’arco del monumentale portale di accesso che segna l’entrata al villaggio manifatturiero. I nuclei per la residenza (quartiere San Carlo ad ovest e San Ferdinando ad est), rispetto al vialone centrale d’ingresso, sono costituiti da due lunghe file di case unifamiliari a schiera, che seguono l’andamento di un tracciato viario preesistente. (..) Ferdinando IV intende passare alla storia come un grande riformatore illuminista. A questo scopo, per esempio, viene mantenuto il più grande riserbo sull’identità del reale estensore della costituzione leuciana, il massone Antonio Planelli. Il testo risulta così scritto in prima persona dallo stesso re, anche se è storicamente appurato che egli ne fu soltanto l’iniziale ispiratore ed il parziale coautore.
In seguito il Codice, stampato segretamente nel 1789, viene tradotto in varie lingue con il dichiarato fine di costituire un efficace mezzo di propaganda personale del sovrano.” (2)
Periodo 1789-1799
“Avviene l’ampliamento della Filanda del Belvedere (1790-1796), la realizzazione di una Cuculliera per il deposito e la preparazione dei bozzoli in attesa di essere “tratti”, il completamento delle aree verdi e dei quartieri operai, e l’edificazione della Trattoria (1794-1798) al di fuori del recinto della colonia. La realizzazione della cuculliera fa di San Leucio una manifattura serica a ciclo completo, garantendo la compresenza in un medesimo complesso di edifici di tutte le fasi di lavorazione della seta dal trattamento della materia prima fino all’elaborazione del prodotto finale.
Verso la fine del decennio le iniziative assumono una maggiore consistenza in previsione della città di Ferdinandopoli: vengono avviati i lavori alla grande Filanda de’ cipressi (già prima del 1799) e dato inizio alla costruzione dei due corpi di fabbrica a nord est del Belvedere che saranno ultimati soltanto dopo il 1815. L’espansione progettata sarà bruscamente interrotta, già nella sua fase attuativa, dall’invasione delle truppe francesi nel 1799.” (2)
Il Bagno di Maria Carolina
Il Bagno di Maria Carolina nel Belvedere di San Leucio fu ricavato dalla trasformazione di ambienti di servizio posti a cerniera tra l’edificio principale e l’opificio. Esso rappresenta un gioiello di architettura e di decorazione settecentesca con la vasca ellittica e le pitture ad encausto attribuite a Jakob Philipp Hackert. Fu disegnato con forme di un antico bagno termale e ha una grande vasca ovale, in pietra di Mondragone, incassata nel pavimento. Acqua calda e fredda le venivano fornite da un ambiente sottostante, dotato di stufa.
Gli Encausti, terminati intorno al 1795, che ornano la sala della vasca, datano la costruzione degli ambienti anteriormente a quest’anno. Comunque la pianta del 1789 non mostra la loro esistenza.
Nel 1979, un campo di lavoro di giovani leuciani, riporta alla luce la vasca che risultava coperta da una pavimentazione sostenuta da volta alla siciliana rafforzata da un pilastro centrale.
Appartamenti reali
“La visita al Complesso Monumentale prevede anche il passaggio negli appartamenti storici, arredati con suppellettili provenienti dalla Reggia di Caserta (tra le stanze di notevole interesse è il Bagno di Carolina, con la vasca in marmo di Carrara) e ai Giardini all’italiana, costituiti da una serie di terrazzamenti con piante identiche a quelle sistemate dal Re sul finire del ‘700.” (1)
Stanza da lavoro della regina e consolles lavamano
Stanza che si affaccia sulla Cappella privata del re con inginocchiatoi
Stanza di compagnia del re
Giardini all’italiana
Il grande cortile interno
Bibliografia e sitigrafia:
“Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica.”
- Estratto da https://it.wikipedia.org/wiki/San_Leucio_(Caserta)
- http://www.sanleucionline.it/home.htm