Il console che voleva Brindisi al centro dei traffici con l’Oriente. Il suo sogno vedere Brindisi, “città antica più di Roma, risollevarsi sulle ceneri di un porto gemma di inestimabile valore”
E’ necessario rammentare in questi giorni il prezioso lavoro dell’ottobre 2001 dell’on. Carlo Scarascia Mugnozza (1920-2004) sul suo bisnonno paterno, Carlo Stefano Festa, Un torinese a Brindisi, le cui carte sono conservate nella biblioteca pubblica arcivescovile “A. De Leo”, parole sulle quali riflettere, frasi che sarebbero potute essere profetiche.
La politica estera italiana dal 1861 al 1870 aveva come obiettivo principale il completamento dell’unità nazionale con la conquista del Veneto e di Roma. Negli anni successivi, invece, ed in particolare al Congresso di Berlino del 1878, l’Italia sperimentò le conseguenze dell’isolamento e della politica delle “mani nette”, poiché non solo non ottenne nulla, ma si sentì grandemente danneggiata dalle concessioni all’Austria nei Balcani. Nonostante la reazione e i risentimenti di buona parte della classe colta che accusava il Cairoli, il Corti e il Mancini di micromania, ci fu chi come Stefano Iacini difese energicamente la politica del piede di casa, ritenendo che “una potenza che voglia adottare la tendenza a grandeggiare oltre quanto le spetta come criterio della propria condotta va incontro a disastri, se non è in grado di imporre con la forza, il suo volere a tutti gli altri”. Nel 1881 l’occupazione della Tunisia da parte della Francia che minacciava l’Italia nel suo stesso territorio aggravò la sensazione di isolamento e fece sentire la necessità di abbandonare la politica di raccoglimento, soprattutto alla luce di alcuni problemi di politica interna: arginare la spinta democratica nel momento stesso in cui si stava per concedere la riforma elettorale e assicurare con un’alleanza conservatrice i cosiddetti “uomini d’ordine”, i benpensanti.
Erano gli anni e il clima in cui visse Pasquale Turiello (1836-1902) che Federico Chabod individuò come “primo cosciente, sistematico imperialista italiano”, rappresentante del passaggio tra due fasi storiche e dello spegnersi senza rimpianto degli ideali del Risorgimento. La Rivoluzione francese non realizzò l’uguaglianza, ma liberando i capitali e rendendo alienabile la terra, produsse una nuova aristocrazia economica. Il sogno della coesistenza tra nazioni era venuto meno, il liberismo aveva ceduto al protezionismo, la democrazia si era risolta nell’imperialismo, le ipotesi di Darwin, che giustificavano la lotta per la sopravvivenza, erano divenute leggi della vita pubblica interna ed internazionale. Il Turiello denunciava la politica “rannicchiata e dimessa” dell’Italia, la classe dirigente “frolla” e la predicazione della pace “nell’ora dei lupi”. Il sistema parlamentare avvelenava il corpo politico, premiava l’incompetenza e non riusciva ad esprimere una politica estera “energica”. In termini estremamente più diplomatici, ma con davvero simili contenuti si esprimeva Carlo Stefano Festa (Carmagnola 1824-Brindisi 1895), nel 1868 console al Pireo e nel 1872 a Singapore: si chiedeva più dinamismo anche nella politica estera economica dell’Italia, e soprattutto una maggiore presenza di navi mercantili sulle rotte orientali.
Idee non del tutto estranee neppure a Nino Bixio che nel 1870 armò il grande battello “Maddaloni”, caricandolo di mercanzie pregiate del Sud d’Italia e partì con lo scopo di creare correnti di traffico commerciale verso Singapore. Il viaggio, però, non fu portato a termine a causa della prematura scomparsa a Batavia di Bixio colpito dal colera. Fu proprio il console Festa ad interessarsi allora della prosecuzione del progetto stilando una dettagliata relazione sulle possibilità di commercio del vino e del sale siciliano e del gesso italiano. Dalle letture delle particolareggiate descrizioni dei possibili e vantaggiosi progetti da attuarsi sulle rotte orientali risulta evidente la meticolosità del console Carlo Stefano che dalle descrizioni delle isole passava a fornire informazioni sulle attività commerciali e bancarie. Faceva così riferimento al noleggio delle navi italiane (1872); alla necessità della creazione di un’agenzia locale e di istituzioni di linee regolari di navigazione (1879); alla coltivazione del tabacco nell’isola di Sumatra (1880); all’acquisto di un’area nel porto di Singapore da mettere a disposizione di eventuali operatori italiani, che però non ebbe seguito (1879); ed, infine, alle preziose vesti orientali (il sarong, 1879). La finalità prima era quella di spingere gli italiani ad introdursi nel ricco mercato orientale approfittando della felice posizione dell’Italia rispetto al canale di Suez (1878) anche attraverso agevolazioni o sussidi che il governo avrebbe dovuto concedere agli intraprendenti mercanti. Egli supponeva di “Avanzare in Asia fondando sullo sviluppo degli scambi sul lavoro, sull’incremento delle proprietà materiali, rispettando il diritto stabilito, le religioni, i costumi, profittando degli errori dei precedenti Europei, e procurando di non turbare la pace” (12 agosto 1879).
In sostanza l’Italia non doveva contrapporsi alle altre nazioni, poiché come la Gran Bretagna e l’Olanda erano riuscite a stabilire negli anni degli scali commerciali sui quali l’economia nazionale faceva perno, così l’Italia doveva appoggiarsi su Venezia, Genova, Napoli e Brindisi che il console conobbe già nel 1868, quando cioè aveva avuto la destinazione al Pireo, decidendo così di acquistare, proprio nel 1871, la masseria Camarda e il palazzo in via Ferrante Fornari.
Tali quattro porti rappresentavano per il cavaliere Festa i punti cardinali “per distribuire equamente la grazia del potere centrale” (1879): Genova e Venezia sarebbero stati i due empori del continente, Napoli per l’Italia meridionale e centrale e Brindisi avrebbe rappresentato un importante punto nodale per i commerci con l’Albania, la Grecia, la Turchia e Costantinopoli, “sarebbe la resurrezione delle Puglie e della costa adriatica” (1879). Si trattava dello scalo più propizio per le transazioni oltre l’Eritreo, per cui, con un accalorato impeto per una mancanza assoluta di capitale e di energia, il console chiedeva allo Stato di gettare uno sguardo sulla città “che abbandonata a se stessa ha fatto miracoli per sollevarsene e per dar prova di meritar credito di molto valore, di molta vitalità produttiva”.
Carlo Stefano era convinto che le vie del commercio si sarebbero presto nuovamente spostate sul Mediterraneo, così era vitale per lo sviluppo dell’economia nazionale dotare di migliori infrastrutture e servizi una città come Brindisi che presto sarebbe stata chiamata a giocare un ruolo”profittevole alla causa nazionale”. Il console morì il 23 giugno 1895 dopo la concessione della Commenda della corona d’Italia e dello stemma con il motto “In adversis festior” da parte di Umberto I a ridosso della sanguinosa conquista italiana dell’Eritrea, tanto lontana dalle sue aspettative e senza riuscire a vedere Brindisi, “città antica più di Roma”, risollevarsi sulle ceneri di un porto “gemma di inestimabile valore”.
Katiuscia Di Rocco
Note
Le foto di Palazzo Festa in via Ferrante Fornari sono dell’amico Mario Carlucci che ringraziamo per la collaborazione.