I Domenicani
I conventi Domenicani erano veri e propri centri di diffusione delle dottrine religiose e di evangelizzazione, nonché di promozione delle attività artistiche.
Per far risaltare l’impostazione dottrinale dell’Ordine, particolare cura veniva riservata alla fondazione ed incremento del patrimonio librario delle biblioteche e degli archivi, cui venivano destinate cospicue parti delle rendite del convento.
Fra le molteplici attività dei Domenicani, era compresa la predicazione e la formazione dei predicatori mediante corsi teorici e pratici per le missioni al popolo, per le quali venivano scelti i frati più abili e sottoposti ad adeguata preparazione di carattere dottrinale, spirituale e liturgico.
Prepararsi adeguatamente per istruire il popolo, ascoltare le confessioni, investire in cultura, non prendere nulla dai fedeli, all’infuori del cibo, questa la regola dei Domenicani, divenuti una sorta di Ministero della Pubblica Istruzione della Chiesa, dalle cui file provenivano i dottori della Chiesa ed i giudici dei Tribunali Ecclesiastici.
Si distinsero inoltre nella fondazione di opere sociali fra le quali scuole per il popolo e per gli intellettuali; per questo fra la gente era diffuso un sentimento di stima e venerazione verso i Padri, tale da determinare frequenti donazioni e lasciti di beni privati .
A loro il merito della diffusione del culto della Madonna del Rosario, dopo la battaglia di Lepanto del 1571 ( La battaglia di Lepanto. La tela è contenuta nell’articolo S.Maria della Vittoria – S. Vito dei N.nni vedi link ) che segnò la vittoria della Chiesa sugli infedeli turchi, e della recita del rosario inteso come strumento di evangelizzazione intorno al mistero della salvezza.
La battaglia di Lepanto. La tela è contenuta nell’articolo S.Maria della Vittoria – S. Vito dei N.nni
Nel campo artistico i Domenicani si rivelarono grandi committenti di opere d’arte, spesso intransigenti proprio in conformità alla disciplina di rigore e scrupolo che ponevano nell’esercizio del loro ministero.
In provincia di Brindisi i Domenicani furono particolarmente presenti, attivi in ben sette Comuni con otto conventi.
Nella città di Brindisi erano presenti ben due conventi:
– Il primo fondato nel 1233 dal beato Nicola Paglia primo domenicano in Terra di Puglia, fu dedicato inizialmente a San Domenico, così come l’attigua chiesa romanica, arricchita da pregevolissimo rosone finemente scolpito, poi a Cristo Crocifisso. Successivamente destinato a Istituto scolastico. Attualmente è vuoto.
– Nel 1304 fu fondato il 2° convento Domenicano, ad opera di Carlo II d’Angiò dedicato a Santa Maria Maddalena e donato da questi ai PP. Predicatori dell’esistente convento di San Domenico.
Sorta sul luogo dell’attuale Municipio, la Chiesa venne demolita dopo la prima soppressione murattiana, mentre il corpo del Convento, nel 1816 fu alienato ai privati che lo possedettero fino al 1890, quando fu acquistato dal Comune per essere adibito a sede comunale.
Brindisi. Palazzo Schirmut, sede del Comune – ingresso.
Foto e didascalia presso Fototeca Briamo – Bibl. Arc. De Leo
A cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio anni ’60, il Convento seguì la sorte della Chiesa, demolito per far luogo all’attuale moderno Palazzo di Città.
Chiesa di S. Domenico a A San Vito
La chiesa
La fondazione del complesso monastico di S. Domenico in San Vito dei Normanni, composto da convento, chiostro e chiesa dedicata all’Annunziata, risale attorno al 1584, quando un tal Donato Cavaliere donò ai Padri Domenicani “un moggio di terreno con principiato edificio di una chiesa”.
Da una immagine del sec. XVIII, raffigurante l’agglomerato urbano di San Vito dei Normanni racchiuso entro la cerchia muraria, si rileva il complesso dei Domenicani posto isolato nella campagna.
Dalla fine del ‘600 il convento ospitava otto frati aumentati a quattordici nel 1772, discesi a undici nel 1808, l’anno precedente la soppressione del 1809, disposta da Gioacchino Murat, che come è noto colpì circa sessanta conventi pugliesi. Il convento fu incamerato dal Demanio, subendo una serie di vicissitudini, cambi d’uso e modificazioni, mentre la chiesa rimase di proprietà ecclesiastica, e nel 1916 stante l’incremento urbano di San Vito, che nel frattempo aveva raggiunto la zona del convento, fu elevata a parrocchia.
Esterno
La sobria e semplice facciata principale, sormontata da timpano interrotto che accoglie due rosoncini, si presenta inquadrata da lesene piatte inframmezzate a metà altezza da parasta orizzontale. Il portale riccamente scolpito risulta sovrastato da un finestrone rettangolare incorniciato.
Interno
L’impianto planimetrico della chiesa (mt 33.00×22.00) sviluppa il tipico schema a tre navi, la centrale maggiore e doppia delle laterali minori, anche in altezza, coperte da volte a crociere sostenute da arconi a tutto sesto, profonda abside con coro, senza transetto.
Le navate minori, confluiscono entrambe in cappelloni. Inizialmente la zona presbiterale risultava collegata al convento mediante un passaggio da tempo rimosso. Le navate sono inframmezzate da due robusti pilastri, collegati da arconi a tutto sesto sormontati da elegante cornicione aggettante da cui partono le archeggiature trasversali e le volte a crociere.
La zona presbiteriale è data da un profondo coro quadrangolare coperto da crociera che termina in un’absidiola o scarsella semicircolare ovale, con volta lunettata che conserva i decori ottocenteschi in finto marmo sulle pareti e dipinti a tempera sulle volte raffiguranti motivi floreali e naturalistici, voluti dal rev. Antonio Salamino nel 1898, quando furono eseguiti i lavori di abbellimento estetico della chiesa, prima di semplice fattura, rivestita soltanto di scialbi di latte di calce.
Le pareti del presbiterio accolgono quattro tondi ovali inquadrati da cornici, mentre l’abside un unico tondo ovale, entro i quali si collocano dipinti su tela. I lavori di abbellimento di fine ‘800, diedero luogo alla cancellazione dei segni tipici della chiesa monastica per assumere nuove e diverse connotazioni. I sei altari laterali di fattura barocca addossati ai muri perimetrali, inframmezzati da lesene, risalgono alla metà del settecento ed accolgono dipinti su tela di pregevole fattura.
Negli ultimi anni ’60, a seguito del Concilio Vaticano II, si è purtroppo rimosso e demolito l’altare maggiore insieme al coro ligneo coevo, dotato di ventitré stalli. Durante gli ultimi lavori di ricostruzione sono stati rinvenuti, sotto il livello pavimentale della navata sinistra vani scavati in roccia, destinati sino all’ottocento alla sepoltura, coperti da volta a botte, con accesso attraverso botole, coperte con grate ed opportunamente illuminate e lasciate a vista.
Navata centrale
Veduta dell’ampia zona presbiteriale
Volta dipinta a tempera con motivi floreali e naturalistici
Presbiterio
Serie di pilastri, collegati da arconi a tutto sesto sormontati da elegante cornicione
Lapide dedicata a Don A. Salamino
Veduta della controfacciata
2 Aprile 1984 – Il crollo
La storia più recente della chiesa la si rileva dagli atti d’archivio della Soprintendenza. A far data dal 1981, da diversi ingegneri ed architetti locali compulsati dal parroco rev. Giuseppe Moro, giungono segnalazioni di estese lesioni sui pilastri a destra dell’ingresso, sulle volte dell’aula centrale e sinistra ove erano associate infiltrazioni di acque meteoriche dalla copertura, particolarmente concentrate sul fianco adiacente il chiostro, dovute alla difficoltà di deflusso per la mancanza di manutenzione e canali di scolo, in parte otturati, causa di ristagno delle acque.
Dopo uno sconcertante carteggio tra enti vari dovuto a una palese sottovalutazione del caso e l’assenza di qualsiasi provvedimento d’urgenza, la notte precedente il 2 aprile 1984 crollarono le volte della navata laterale destra e centrale della chiesa. Il crollo delle due navate causò la chiusura per restauro che durò circa un decennio. Oggi, ricostruita grazie all’aiuto dei fedeli, è riaperta al culto ed è di nuovo possibile ammirarla.
Gli Altari
I sei altari esistenti nella chiesa di S. Domenico, collocati tre per lato, all’interno delle archeggiature cieche a tutto sesto, posti sulle pareti laterali delle navi minori, inframmezzati da lesene, realizzano manufatti artistici di pregevole fattura.
Realizzati nel sec. XVIII in pietra locale bianca, riprendono motivi rinvenienti dal repertorio artistico del barocco leccese e napoletano, quali elementi floreali, volti di putti, intrecci vegetali, scolpiti a bassorilievo; la superficie di alcuni altari presenta un doppio strato di verniciature ad olio; il primo color ocra, l’altro azzurro perla, dipinti a finto marmo.
Detti altari, diversi nelle forme ed aspetti, si presentano simmetrici sulle singole campate ed accolgono i primi ed i terzi una tela, quello centrale una nicchia con statue in cartapesta.
I primi altari, posti rispettivamente a sinistra e destra della prima campata, sono dedicati uno alla Vergine del Rosario, l’altro alla Sacra Famiglia.
Le maestose tele raffiguranti rispettivamente la Sacra Famiglia (cm 320×213), sull’altare a destra, e la Vergine del Rosario (cm 315×220) sono delimitate da un’apparecchiatura di cornicione mistilineo in stucco e pietra locale raffigurante cartigli e motivi floreali arricchiti da volute laterali, putti, ecc. sormontati da elegante baldacchino sorretto ed aperto da puttini angolari, che accolgono un ovale dipinto.
Gli altari intermedi, quello laterale sinistro, dedicato inizialmente a Santa Rosa quindi al Sacro Cuore e quello opposto, sull’ala destra, a San Vincenzo Ferrer, di gusto tardo barocco, sono caratterizzati da una mensa sorretta da mensole con foglie d’acanto il cui paliotto accoglie al centro bassorilievi, raffiguranti uno Santa Rosa, l’altro decori floreali. Le mense sono sovrastate da due ripiani per candelieri sui quali si imposta una trabeazione con colonne scanalate e posti su dadi riccamente adorni di bassorilievi raffiguranti motivi naturalistici e volti di putti.
Dette colonne scanalate, facenti parte di una trabeazione, presentano alla base tre livelli di palmette, sormontate da capitelli caratterizzati da volti di putti con foglie d’acanto e fiancheggiate da doppia coppia di figure femminili con ampi panneggi posti sia internamente che esternamente alla trabeazione; la stessa è delimitata da aggettante cornice sulla quale si impostano sull’altare del Sacro Cuore, figure di monaci domenicani; sull’altare di San Vincenzo, figure di monache domenicane, che delimitano un tondo inquadrato in una ricca cornice.
Tanto la statua di fattura otto-novecentesca del Sacro Cuore, opera del cartapestaio leccese Manzo, raffigurante un Cristo con tunica bianca e manto rosso, quanto la statua analoga di San Vincenzo, di più pregevole fattura settecentesca, verosimilmente coeva all’altare, in abito domenicano (saio bianco e manto nero), sono racchiuse entro nicchie inquadrate da cornici.
Al centro si colloca un tabernacolo, simile a quello dell’altare opposto, ovvero raffigurante una piccola trabeazione munita di doppie colonne (due per lato), arricchito da timpano sormontato da volute.
Gli altari simmetrici collocati nella terza campata, quello a sinistra detto di San Pietro, quello opposto a destra dedicato a San Domenico presentano macchine ornamentali di gusto tipicamente baroccheggiante, raffiguranti essenzialmente una trabeazione impostata su mensa basale sorretta da reggimensole con foglie d’acanto.
Il paliotto dell’altare di San Pietro reca le incisioni del nome di Gesù JHS, cui inizialmente era dedicato l’altare, mentre quello opposto, lo stemma dei domenicani composto da una stella in alto, da un cane avente nella bocca una fiaccola, fiancheggiato da una palma e da un giglio. L’altare di San Pietro si presenta più ricco di motivi decorativi, quali palmette e decori vegetali ad intreccio posti sulle colonne circolari recanti alla base un trittico di volti impostati su dadi finemente scolpiti con motivi naturalistici a bassorilievo, sormontati da elegante cornice recante al centro un trittico di volti di angeli e una corona. Sui lati si impostano due sculture di santi Domenicani fiancheggiati da piccole statue di angeli delimitanti una tela quadrangolare riccamente incorniciata.
L’altare dedicato a San Domenico risulta, se pur simile ai valori formali dell’opposto, privo comunque dei decori baroccheggianti e delle statue dei santi posti sul cornicione.
Dipinti
Tela raffigurante il Crocifisso con San Pietro Martire e San Tommaso D’Aquino.
Posta sul terzo altare a sinistra, misura cm 180×115; opera di un autore locale del 1700 inquadrata da cornice in pietra. Domina la scena il Cristo Crocifisso, con la testa reclinata leggermente sulla destra, da cui parte un raggio con la scritta: “bene scripsisti….” rovesciata.
A destra San Tommaso in ginocchio con gli abiti domenicani; a terra un libro aperto, un penna d’oca e un calamio.
A sinistra San Pietro Martire, anche lui con gli abiti domenicani, in ginocchio, con le mani sul petto e il capo spaccato da un grosso coltello.
La composizione delle tre figure segue ancora l’altro schema cinquecentesco a piramide, pur essendo dipinto nel ‘700.
Tela raffigurante la Sacra Famiglia
Dipinto su tela centinato (3,20×2,13 m) firmato da Giuseppe Piccigallo , come si legge in basso all’angolo sinistro, datato A.D. 1816, di influenza seicentesca con riferimento alla scuola del Carella.
L’iconografia mostra il bambino posto al centro, tenuto per mano dalla Vergine con veste chiara e manto scuro e da San Giuseppe, con veste celeste, manto scuro e con bastone fiorito; il tutto sormontato in alto dal Padre eterno seduto tra le nuvole, coronato da una schiera di angeli, e che tiene nella mano sinistra lo scettro. Sotto il Padre, tra le nuvole una colomba.
Tela raffigurante la Madonna del Rosario
Opera di pregevole fattura settecentesca dipinta da allievo del Carella, (315×220 cm) presenta secondo il Chionna, un’impostazione già giacquintesca. Raffigura la Vergine del Rosario, con abito rosa e manto azzurro, con il bambino in braccio nell’atto di porgere la corona a San Domenico inginocchiato a destra. L’immagine è contornata da una schiera di angeli, con uno che regge una corona di stelle, altri ai piedi della Vergine.
Ai piedi di S. Domenico, si nota un cane, con fiaccola in bocca, simbolo dell’ordine domenicano. Lungo i bordi della tela, in quindici piccoli ovali, sono raffigurati i misteri del Rosario: gaudiosi a destra, dolorosi a sinistra, gloriosi al centro.
Particolare inedito: il penultimo ovale a destra raffigurante la Flagellazione presenta un Cristo di cui si intravede una seconda testa, più reclinata in avanti.
Tela raffigurante L’Annunciazione
Dipinto in tela (cm 390×255), firmato da Domenico Carella e datato 1769, raffigura in primo piano la Vergine con veste rosa e manto azzurro, inginocchiata con un libro in mano, in atteggiamento di raccoglimento, alla quale un angelo, che tiene nella mano sinistra un giglio, esprime il messaggio divino, puntando il braccio destro verso l’alto.
Il tutto è decorato dalla figura del Padre eterno con lunga barba bianca, emergente dal cielo tra uno
stuolo di angeli, in atteggiamento benedicente. L’immagine della Vergine è racchiusa e delimitata da un doppio cerchio sorretto da putti, posti sul fianco destro ed è illuminata da un fascio di luce, che la pone in primo piano, risaltandone la figura.
Questo dipinto rassomiglia molto a quello esistente a Grumo Appula (BA) e firmato anch’esso da Domenico Carella. Sul retro della nostra tela si legge “Dom(ini)cus Carella J. 1769”
Tela raffigurante S. Domenico
Il dipinto raffigurante San Domenico, posto sopra l’omonimo altare, misura cm 110×90; probabilmente proviene da scuola locale con forti influssi del Carella; è databile alla fine del ‘700 e presenta il Santo in posizione ieratica, posto in primo piano a figura intera vestito con l’abito dell’Ordine, veste bianca e manto nero, e tiene nella mano destra il libro delle regole e nella sinistra un giglio bianco.
La testa del Santo è circondata da un’aureola. Sul fondo – lato sinistro – si nota un gruppo di figure femminili.
L’autore della tela era certamente molto addentro alle cose domenicane in quanto il dipinto è molto simile al San Domenico di Soriano (celebre monastero domenicano in provincia di Catanzaro) e ad un altro dipinto che si trova nella chiesa di San Domenico in Oria.
Nell’abside si trovano sei tele che hanno forma ovale e dimensioni più o meno uguali (cm 120×70) e provengono dalla scuola del Carella, databili alla fine del ‘700.
San Luca: il dipinto è di ottima fattura.
San Luca è l’evangelista insieme a San Matteo, dei vangeli dell’infanzia; è l’evangelista dell’Annunciazione (Luca 1,26-38): si spiega così la presenza della sua immagine a fianco dell’Annunziata. Il Santo è rappresentato a figura intera con tunica verde scuro e manto arancio e domina con la sua figura tutto il racconto pittorico; l’autore ha ritratto il nostro santo con un libro del vangelo aperto davanti. In basso a destra è raffigurato un bue, simbolo di San Luca: (il bue è un animale mansueto e San Luca è descritto come “scriba mansuetudinis Christi”: ecco l’accostamento al bue).
San Giovanni: presenta le stesse caratteristiche del quadro precedente.
Anche qui la figura principale occupa l’intero ovale ed è messa in primo piano, un manto rosso con pieghe morbide si aggrazia su di un abito verde, anch’esso con morbide pieghe cariche di movimento, mentre un angioletto regge il Vangelo. Tutta la scena è contornata da nubi chiare sul fondo scuro e pone in risalto la figura del santo che ha le sembianze di un giovinetto. L’Evangelista ha nella mano destra uno stilo mentre poggia la sinistra sul libro del vangelo. Sulla sinistra in basso, il simbolo dell’Evangelista Giovanni: un’aquila e più in alto un calice da cui fuoriesce un serpentello.
Santa Lucia: di fattura popolare è posta al centro dell’ovale essendo così protagonista di tutto il racconto pittorico.
La Santa si presenta con un volto aggraziato che guarda verso il cielo; e la sua testa è adornata da un diadema, le mani sono congiunte in segno di preghiera mentre un manto rosso con pieghe morbide avvolge l’abito blu della Santa. Un angelo regge alle spalle, su di un piatto, gli occhi di S. Lucia ma è messo in secondo piano dal pittore, quasi non volesse interrompere la sua scena idilliaca.
San Raffaele: L’Arcangelo è raffigurato in piedi sulla destra con Tobia inginocchiato sulle sponde di un fiume mentre pesca.
I colori sono vivaci; le figure sono prive di movimento; per quanto riguarda i colori dei panneggi prevale il rosso. Le due figure a tinte chiare, emergono dal fondo scuro determinato da paesaggi.
Battesimo di Cristo: le figure, poste in primo piano al centro dell’ovale, mostrano il Cristo stesso inginocchiato nell’acqua; in alto la colomba dello Spirito Santo, sotto di essa uno stuolo di Cherubini; San Giovanni Battista in piedi ricoperto da una pelle, battezza il Cristo versandogli l’acqua sul capo con una conchiglia.
San Sebastiano: dipinto che proviene probabilmente dalla scuola napoletana della fine del ‘600 con impronta riberiana, di pregevole fattura.
La figura del Santo, con lo sguardo rivolto verso il cielo ritratto a mezzo busto, emerge mediante un riflesso di luce dal chiaro scuro di impronta caravaggesca.
Altri tre piccoli dipinti su tavola decorano il Pulpito sito nel secondo pilastro a seconda di chi entra. Il manufatto ligneo settecentesco è stato eseguito probabilmente da un artigiano locale; si presenta molto lezioso, colorato a tempera in finto marmo e decorato con intagli. Il parapetto è impreziosito dai tre suddetti dipinti:
– il primo raffigura la Madonna che regge con una mano il Bambinello e con l’altra tiene una rosa e il Santo Rosario.
– il secondo dipinto raffigura il mezzo busto di San Domenico che indossa l’abito domenicano; in una mano tiene il giglio e con l’altra il libro delle regole,
– il terzo dipinto raffigura un Papa benedicente (Pio VIII?). Il Pontefice è raffigurato con il camauro in testa, mantelletta con colletto bianco, stola riccamente lavorata e mano destra benedicente.
Degne di nota sono anche alcune Statue esistenti in questa Chiesa: in linea di massima sono opere databili tra la fine del ‘700 e ‘800.
Sacra Famiglia
Tre statue composte da manichini in legno,vestiti con abiti di stoffa decorati. Molto probabilmente la statua del Bambino non è dello stesso autore delle altre due ed è anche di epoca successiva.
Madonna del Rosario
Trespolo dove solo il volto e le mani sono di legno scolpito; la Madonna ha sul capo una parrucca. Il Bambino che tiene nella mano sinistra è invece tutto di legno. Sia la Madonna come il Bambino sono vestiti con abiti ricamati in oro.
Addolorata
Anche questa statua è un trespolo, con la testa e le mani in legno. Vogliamo evidenziarla perchè ha un volto particolarmente espressivo, che manifesta tutto il suo dolore, ma un dolore dignitoso non disperato.
Altri beni di pregio artistico presenti nella chiesa
Il Convento
L’immobile, adiacente il fianco nord della chiesa su via Mazzini, allineato alla medesima facciata, si sviluppa su una superficie di 1700 mq articolati su due livelli.
L’accesso avviene da un portale adiacente al sacro edificio, che immette direttamente nel braccio del chiostro contiguo alla parete della chiesa, da cui si accede allo scalone che porta al piano superiore dove adesso ha sede la Biblioteca Comunale.
Il pozzo a vera settecentesca, unitamente all’ala attestata sul fianco nord, risultano demoliti negli anni ’50.
La facciata principale cinquecentesca, visibile sotto i vecchi intonaci, nel secolo scorso, durante i lavori di adattamento del convento, prima ad Ospedale, poi a scuola pubblica, infine ad alloggi per sfollati e poi a sede della polizia municipale, è stata rivestita da intonaco, con fasce bugnate al piano terreno, riproducente una successione di archeggiature cieche, inframezzate da finestre, al primo piano. La facciata sormontata da cornicione, presentava al centro un torrino con unico fornice sormontato da timpano, che accoglieva l’orologio comunale, rimosso successivamente, e ultimamente ricollocato al suo posto originario.
Sino al 1984 l’ex convento ha ospitato sfrattati, mentre successivamente è stato adibito a sede di uffici comunali.
Dal 1986 è stato interessato da una serie di interventi di ristrutturazione ed adeguamento funzionale.
Una “Mostra di icone” presumibilmente di epoca moderna si svolge nei locali attigui alla navata laterale destra.
Si ringrazia Mario Carlucci per la collaborazione.
Bibliografia e sitigrafia:
(1) Parrocchia di S. Domenico – Soprintendenza per i Beni AAAS della Puglia, R.P. – Ass. Cultura e Turismo. La chiesa di S. Domenico in San Vito dei N.nni tra storia e recupero, testi di G. Matichecchia con la collaborazione di Don Giuseppe Moro. M. Adda Editore – 2001