Nella ricorrenza dell’8 Settembre 1943, data in cui fu proclamato l’armistizio, vogliamo ricordare i fatti di quei giorni che coinvolsero in prima persona la nostra città per alcuni mesi capitale d’Italia dopo la fuga del re e del suo entourage da Roma, con uno scritto di Francesca Mandese che ripercorre e ci mostra come cambiò la vita degli abitanti di allora che, da un giorno all’altro vennero a trovarsi nelle abitazioni, nei locali, per strada, fianco a fianco con re e regine.
Le immagini che abbiamo scelto di mostrare sono quelle che costituivano lo scenario dei nostri soggetti, e servono a non dimenticare che cos’è la guerra con il suo tributo di morti e macerie, anche se tra tanto orrore, non mancava chi era preoccupato solo per la fuga del suo cagnolino, tanto da far affiggere un manifesto in cui prometteva una “mancia generosissima” a chi l’avesse ritrovato.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
I fuggiaschi che, subito dopo la dichiarazione dell’armistizio, si erano imbarcati da Ortona alla volta di Brindisi, giunsero alla meta alle 14.30 circa di venerdì 10 settembre 1943. Il regio incrociatore “Scipione l’africano” giunse per primo in esplorazione, subito seguito dalla corvetta “Baionetta” con il suo prezioso carico di reali e ministri in fuga dalla Capitale.
Poco prima delle tre del pomeriggio la corvetta diede fondo nel porto esterno di Brindisi e venne subito raggiunta dal motoscafo dell’ammiraglio Rubartelli, comandante la Piazza, che dal giorno precedente era in stato di attesa in seguito ad alcuni ordini ricevuti.
Dopo i primi momenti di stupore e agitazione si cominciò ad organizzare la sistemazione notturna dei numerosi ospiti. Fu subito servita una cena frugale, consumata nel più assoluto silenzio, mentre al primo piano della palazzina di Rubartelli furono preparate le stanze per i sovrani. I padroni di casa e il principe di Piemonte si sistemarono al pianterreno. De Courten rimase a bordo della «Baionetta»; Badoglio, insieme al generale Sandalli e al ministro della Real Casa duca d’Acquarone, prese posto nella casermetta dei sommergibili. «Lo Stato Maggiore Generale e quello dell’Esercito occuparono l’albergo Internazionale – sul porto della città – Gli ufficiali della Piazza di grado in grado, fino all’ultimo guardiamarina, si restrinsero e fecero posto ad altri» (1).
Puntoni, l’aiutante di campo del Re, organizzò un sommario servizio di sicurezza intorno al Castello dove alloggiava la famiglia reale con alcuni carabinieri racimolati alla meglio. Tra la stanchezza generale spiccò, a fare da contrasto, l’efficienza di Badoglio che, dalla tranquillità per lo scampato pericolo, sembrò aver acquisiti nuovo vigore e forza. Sin dall’indomani bisognava mettere in piedi un minimo di strutture e organizzazione.
La concitata partenza da Roma e la nave stipata fino all’inverosimile di persone avevano impedito ai viaggiatori di portare con loro sia pure un minimo bagaglio. Tutto ciò che gli rimaneva lo avevano indosso. Per affrontare le prime necessità Badoglio fece aprire un conto alla Banca d’Italia. Fu prelevato un milione di lire subito speso all’Unione Militare, fatta riaprire fuori orario per servire ospiti tanto bisognosi, per acquistare camicie, fazzoletti, biancheria e qualche giacca. Anche il negozio di biancheria “Anelli” fu pacificamente preso d’assalto dai nuovi arrivati che acquistarono tutto ciò che poteva servire. I primi problemi furono così risolti, tutto il resto venne rimandato al giorno dopo.
Durante i giorni successivi, «man mano che gli arrivi di dignitari e di personalità militari si infittivano, essi venivano ospitati da famiglie dell’aristocrazia in tutto il Salento. Ma la vera capitale mondana era destinata a divenire Lecce le cui case si aprirono a generali e uomini politici. Villa Reale e Materdomini, la casa in campagna dell’onorevole Grassi, noto esponente antifascista e già sottosegretario del governo Nitti, furono spesso sede di incontri conviviali. Quei poveri menù di guerra sembravano banchetti pantagruelici in confronto ai pasti consumati nelle mense militari. Anche casa Stampacchia divenne sede di conversazioni politiche e nel salotto dell’onorevole Assennato si giocavano preziose partite di poker. Per qualche mese il Salento divenne il centro della ‘triste bohème’ di uno Stato in disfatta»(2).
Di uno Stato che partendo da una matita e pochi fogli di carta cominciò a ricostruire un governo e un regno.
Parlare di Brindisi dopo l’8 settembre equivale a parlare di tutta l’Italia meridionale poiché le condizioni di vita dopo l’arrivo degli Alleati furono le medesime su tutto il territorio amministrato dal governo Badoglio e dall’A.M.G.O.T.
Riassumendo in una sola frase l’Italia, vinta e invasa, era allo sfacelo economico. Le industrie, le poche esistenti nel sud, si fermarono; i prodotti agricoli venivano requisiti; i prezzi aumentarono vertiginosamente mentre il potere d’acquisto di salari e stipendi crollava in maniera inversamente proporzionale. Fu, però, l’immissione delle «am-lire», la moneta d’occupazione, sul mercato che provocò l’aumento vertiginoso dell’inflazione per il cambio imposto che penalizzò fortemente l’economia locale. I soldati alleati pagavano con denaro praticamente privo di qualsiasi valore e la conseguenza fu l’aumento sconsiderato dei prezzi di tutti i beni. Per procurarsi il cibo gli italiani furono costretti a ricorrere al baratto. Badoglio non riuscì a far ritirare le «am-lire» dal mercato nemmeno dopo la firma dell’armistizio e la «promozione» dell’Italia a cobelligerante delle Nazioni Unite. Gli Alleati, intanto, continuarono a fornire derrate alimentari e aiuti in gran quantità alle popolazioni che loro stessi avevano ridotto alla fame e all’abbrutimento morale.
Nelle province pugliesi le manifestazioni di protesta e l’occupazione delle terre da parte dei contadini divennero sempre più frequenti e spesso la polizia sparò sui manifestanti. L’esasperazione e la tensione aumentarono facendo maturare la possibilità di far rinascere un’organizzazione sindacale.
Anche per chi viveva in città e povero non era, la vita non fu facile. «Il nostro palazzo fu requisito la prima volta dal podestà» ricorda la signora Giulia Savoia in Zaccaria, «è quello che si trova su corso Umberto, palazzo Caravaglio, ex-palazzo Savoia. Vi furono installate alcune aule scolastiche e la sede del partito monarchico mentre noi eravamo sfollati a Lecce. Quando mia madre si ammalò mi recai al ministero per chiedere che mi fosse restituita la casa. Ero la più grande dei figli e i miei fratelli erano tutti prigionieri all’estero. Ci fu concesso di tornare ma ci restituirono solo tre delle cinque stanze della nostra casa». Le altre stanze del palazzo Savoia in quei giorni erano occupate dal duca d’Acquarone e dal ministero della Real Casa.
Con l’arrivo delle truppe alleate le requisizioni aumentarono per far posto ai sempre più numerosi ufficiali anglo-americani. I comandi inglesi cominciarono con il requisire alberghi, ville, appartamenti di gerarchi e ricchi cittadini. Quando anche questi non bastarono più le requisizioni cominciarono a colpire anche i proprietari di appartamenti piccoli e modesti. Gli ordini repentini costringevano i proprietari ad abbandonare le case in sole due o tre ore, giusto il tempo necessario per racimolare qualche effetto personale. Tutto il resto rimaneva a disposizione degli ufficiali stranieri che prendevano il loro posto. Pianti e proteste degli «sfrattati» non servivano a niente.
Anche i rapporti tra soldati italiani e anglo-americani raggiungevano spesso punte d’intolleranza e molto spesso il contrasto tra l’atteggiamento di superiorità assunto dagli Alleati e la rabbia accumulata dagli umiliati italiani provocavano risse furibonde. La polizia militare anglo-americana interveniva severamente non risparmiando nessuno.
Fra tanti ricordi di miseria e testimonianze dolorose non mancano esempi di come la vita continuasse comunque su binari di una normalità solo fittizia. «Dall’8 settembre in poi», ricorda Ugo Di Giulio, gestore dell’allora cine-teatro “Mazari”, «il nostro cinema-teatro ospitò un gran numero di compagnie di riviste e di avanspettacolo. Il fatto si spiega: alla data dell’armistizio le compagnie che si trovavano al sud furono in pratica bloccate. Roma era occupata dai tedeschi e le altre piazze non potevano essere raggiunte perché risultavano distrutti strade e ponti. Una compagnia, per così dire fissa, era quella di Antonio Vetrani (stette da noi per sette mesi). Ospitammo compagnie come quelle di Nino Taranto, Macario, Wanda Osiris, Aldo Fabrizi, Rascel. E vennero anche dei giovani che poi hanno fatto strada: Gino Bramieri, Ugo Tognazzi…». Pochi mesi dopo l’armistizio il “Mazari” cominciò a proiettare films americani. Il primo, neanche a farlo apposta, fu “Il sergente York”, con Gary Cooper; un film sulla prima guerra mondiale con italiani e americani alleati.
La presenza del re e del governo in una piccola città di provincia suscitò grande interesse e curiosità ma per Vittorio Emanuele non fu difficile mantenere il riserbo sulla sua vita a Brindisi, visto che i suoi mesi da “esiliato” nel sud furono tranquilli e quasi del tutto privi di incontri e cerimonie ufficiali. Conservò la sua abitudine di passeggiare al mattino presto lungo i giardini del Castello Svevo dove si trovava la palazzina del suo ospite Rubartelli. Dopo la lettura dei giornali e della posta il suo compito era quello di ricevere Badoglio, i suoi generali e, sempre più spesso, con il passare del tempo, i membri della Missione Alleata. In città nessuno ricorda di aver mai visto Vittorio Emanuele, se si escludono i pochi personaggi da lui ricevuti.
La regina Elena, al contrario, fu vista in giro più spesso, soprattutto durante le sue visite per beneficenza. Con la sua abilità di ricamatrice e l’aiuto di una sarta del posto cercò di rendersi utile e di sgravare la signora Rubartelli dall’onere di dover ospitare ed accudire tanti ospiti giunti del tutto inattesi. Era solita anche costruire dei giocattoli per il figlio dell’ammiraglio Rubartelli o per i bambini poveri. Spesso si recava in visita all’orfanotrofio tenuto dalle suore di San Vincenzo, in piazza Duomo, e portava in dono grembiuli e biancheria acquistati a sue spese nel negozio di Anelli, lo stesso che rifornì i fuggiaschi al loro arrivo.
Vittorio Emanuele ed Umberto cercarono di dare un senso ed uno scopo a quelle giornate vuote e monotone e cominciarono a recarsi in visita ai superstiti reparti italiani dell’esercito. Lo spettacolo che si presentava loro era quello di gente sfiduciata, con le divise malmesse o incomplete, il tutto in una cornice di disordine e indisciplina.
Il 14 settembre da Venezia giunse a Brindisi il “Saturnia” con gli allievi dell’Accademia di Livorno. L’arrivo dei cadetti fu doppiamente festeggiato. Le abbondanti scorte alimentari trasportate dal “Saturnia” furono una vera “manna del cielo” e servirono a rifornire la mensa dei numerosi ospiti. Inoltre Vittorio Emanuele volle che fossero i cadetti a prestare servizio di guardia intorno alla palazzina dove alloggiava.
Anche per i funzionari e gli alti ufficiali “costretti” alla permanenza a Brindisi la vita nella piccola città non fu molto ricca di divertimenti. Dopo la chiusura della mensa presidenziale la mensa ufficiale continuò a funzionare nella casermetta dei sommergibili. I ministri e gli alti funzionari erano soliti frequentare il piccolo club sorto nella casa del proprietario del “Restaurant Moderno” che, dopo la requisizione inglese del suo albergo alloggiava nella sua casa gli ospiti italiani. Nel club si tenevano partite di poker e di dama oppure si discorreva per alleviare la noia delle lunghe serate.
Un altro punto di ritrovo per funzionari ed ufficiali fu la casa dell’onorevole Assennato che, pur appartenendo ad un partito di opposizione, non aveva problemi nel ricevere anche uomini politici del governo.
Questo lo scarno quadro della vita a Brindisi, le poche cose che i membri della corte e i funzionari del governo fecero durante la loro forzata permanenza in Puglia.
Poca gente ebbe occasione di incontrare il re di persona e i rari incontri si raccontano ancora oggi in un misto di orgoglio e di ironia. Chi veniva ammesso al colloquio con il sovrano doveva prima fare anticamera nel salone della palazzina e, dopo le mille raccomandazioni di Puntoni, aiutante di campo, su come comportarsi in presenza del re, introdotto nello studio di Vittorio Emanuele, una grande sala appositamente organizzata per quello scopo.
«In occasione del compleanno del re, era l’11 novembre», ricorda il dottor Giuseppe Bruno, allora direttore della Biblioteca Provinciale di Brindisi, «il commendatore Canario, presidente dell’Associazioni invalidi di guerra, ci informò che Vittorio Emanuele desiderava incontrarci. Come invalido della guerra ancora in corso e non della prima feci notare che non era il caso che partecipassi anch’io all’incontro, ma Canario insistette e vi andai. Prima di introdurci nello studio Puntoni ci raccomandò di non porre domande al re ma dopo i primi minuti di silenzio imbarazzato il professore Giacomo Rubini chiese a Vittorio Emanuele come si trovasse a Brindisi. Il Re prese a raccontare della fuga da Roma, del viaggio travagliato e dell’arrivo a Brindisi. Aggiunse anche che se Brindisi fosse stata occupata dai tedeschi la “Baionetta” avrebbe proseguito per Otranto o, addirittura, per la Sicilia. Questa affermazione mi lasciò perplesso, non era certo una dimostrazione di coraggio da parte del re.
Esaurito l’argomento, Rubini pose ancora una domanda, senz’altro indiscreta, e chiese al re che fine avesse fatto la sua collezione di monete. Vittorio Emanuele, visibilmente imbarazzato, rispose che forse i tedeschi l’avevano già fusa per recuperare l’oro. In seguito si seppe, invece, che i tedeschi l’avevano consegnata al direttore della Banca d’Italia a Roma».
Sicuramente più eccitante fu per Gheisha Parigino, allora giovane modista, alle prime armi, l’incontro con la regina Elena. «Avevo 26 anni, ricordo che era fine estate, quando la mia amica Mariolina Guadalupi mi condusse al Castello Svevo perché la Regina aveva bisogno di un cappello. Rosa Gallotti, la cameriera personale della Sovrana, mi annunciò e, davanti a me sempre più esterrefatta, Elena disegnò velocemente una cloche che confezionai con un cono di lapin nero. In seguito tornai spesso al Castello per cambiare le velette dei cappelli della regina e confezionai anche dei cappelli per la duchessa di Genova che si era mostrata entusiasta delle mie creazioni. Era Piero Masetti, l’autista e cameriere del re, che ogni volta veniva a prendermi per condurmi al Castello».
Una delle rare apparizioni pubbliche di Vittorio Emanuele e del principe Umberto a Brindisi fu in occasione della messa celebrata dall’arcivescovo De Filippis in un hangar dell’aeroporto militare di Brindisi. Era una celebrazione in onore della Madonna di Loreto, a dicembre, e durante l’omelia l’arcivescovo, oltre che per esprimere solidarietà per le vittime della guerra, ebbe parole di conforto per il sovrano in ansia per la sorte della figlia Mafalda, che fu uccisa solo pochi giorni dopo.
Indiretti furono, invece, i contatti che ebbe il senatore Antonio Penino con la famiglia reale. Titolare della farmacia che ancora oggi si trova su corso Umberto I, il senatore Perrino riceveva quasi quotidianamente il duca d’Acquarone il cui ministero della Real Casa era ubicato a pochi metri di distanza, nell’ex-palazzo Savoia, ora palazzo Caravaglio. «Il duca d’Acquarone era tra i consiglieri del re il più ascoltato. Frequentò quasi ogni giorno la mia farmacia, sia per acquistare medicinali per sè e per la famiglia reale, sia per scambiare qualche chiacchiera e per sorbire un bicchiere di china. Ricordo la sua ferma convinzione che la monarchia in Italia si sarebbe ripresa perché durante le visite di Umberto alle truppe il principe era sempre accolto con enorme entusiasmo e favore dalle popolazioni.
Acquarone mi raccontò anche della volontà di Umberto di voler rimanere a Roma per difendere la Capitale e di come egli stesso insieme a Vittorio Emanuele dovettero faticare non poco per convincere il principe a partire con il resto della famiglia reale alla volta di Brindisi».
Questi i ricordi di chi incontrò il re, la regina o qualche membro della corte. Per il resto la permanenza della famiglia reale a Brindisi, a parte il clamore e la curiosità suscitati al loro arrivo e subito dopo, passò quasi del tutto inosservata e l’interesse dei brindisini ben presto svanì ed ognuno tornò ad occuparsi dei problemi di sempre, della miseria e dei lutti che la guerra aveva portato con sè.
Secondo la testimonianza di Badoglio il vero fautore del trasferimento da Brindisi a Salerno fu il generale americano Joyce. Nel dicembre 1943, mentre Joyce alloggiava all’albergo Internazionale, sul porto di Brindisi, un bombardamento aereo tedesco fece saltare un deposito di munizioni poco distante. Joyce ne rimase talmente impaurito che prese l’abitudine di recarsi a dormire in un paese distante ben quattro ore di macchina da Brindisi. Per comodità, dunque, propose il trasferimento del governo a Salerno ma Badoglio rispose che avrebbe accettato solo a patto che la provincia salernitana fosse posta sotto l’amministrazione del governo italiano.
Le trattative tra Badoglio e gli Alleati andarono per le lunghe e solo due mesi dopo gli anglo-americani concessero al governo italiano la giurisdizione su tutti i territori a sud di Napoli, comprese Sicilia e Sardegna.
Il trasferimento del governo richiese quasi quattro giorni di tempo. «Si procede a due scaglioni, il primo dei quali parte il 3 febbraio e il secondo il cinque. Sono necessari dieci carri merci da Brindisi, uno da Taranto, due da Lecce, sedici da Bari. Centosessanta persone viaggeranno in terza classe, duecentodieci in prima e seconda: di esse 115 si sistemeranno (Dio sa come) a Salerno, 175 a Napoli»(3).
Il re con la sua corte lasciò Brindisi all’alba dell’11 febbraio 1944, quasi alla chetichella. Alcuni ministeri rimasero ancora per qualche tempo tra Lecce, Bari e Taranto, ma Brindisi e la Puglia uscivano ormai dalla scena. L’euforia della notorietà che aveva coinvolto un po’ tutti nel corso dei cinque mesi svanì con la partenza del re, dei generali ed alti ufficiali, dei funzionari e dei politici. Dalle ore zero dell’11 febbraio 1944 Salerno fu la nuova Capitale d’Italia (4). Mentre Badoglio, appena giunto a Salerno, salutava la folla festante da un balcone del palazzo del Municipio, poco lontano un gruppo di donne protestava per la mancanza di pane e di cibo.
Nostro intervento sulla pagina facebook del 21 maggio 2020
Banchina intestata alla regina Elena
Il 18 maggio di un anno fa, la banchina centrale del Seno di Ponente veniva intitolata alla regina Elena di Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III.
Per l’occasione fu deposta dal presidente dell’Autorità di sistema portuale una targa ricordo, sulla banchina di fronte all’Hotel Internazionale.
L’iniziativa inserita in un progetto più vasto portato avanti dall’on. D’Attis per il riconoscimento della nostra città tra le capitali d’Italia, aveva ricordato il trasferimento del re a Brindisi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e, in un certo senso voluto stabilire continuità con il precedente tratto di lungomare (inizio dalla Capitaneria di Porto) dedicato alla regina Margherita di Savoia, moglie di Umberto I e madre di Vittorio Emanuele III.
Nel nostro articolo: “Il re a Brindisi”, abbiamo appunto evidenziato la sua attività nei confronti dei bambini più sfortunati e, in particolar modo, degli orfanelli presso l’Istituto San Vincenzo in piazza Duomo, ai quali portava in dono giocattoli fatti da lei, grembiuli e biancheria.
Per ironia della sorte le nostre foto sono state scattate il 18 maggio 2020 – primo giorno in cui era consentito fotografare dopo il lockdown – ad un anno esatto di distanza dalla cerimonia di intitolazione. Queste immagini, tra alcuni anni, ci restituiranno anche il ricordo (speriamo divenuto lontano) di un Hotel Internazionale chiuso e completamente sbarrato a causa del covid19
Ringraziamenti:
- alla famiglia di Paolo Merola che ha messo a disposizione di Brundarte i suoi libri per la ricerca
- alla Biblioteca Arcivescovile A. De Leo- Brindisi per averci consentito la riproduzione e la pubblicazione di tutte le foto e i commenti delle stesse contenuti nel presente articolo appartenenti alla Fototeca Briamo
Note:
- A. Degli Espinosa, Il regno del sud, Firenze, 1955, p. 3
- “Quotidiano”, 8 settembre 1983, Inserto Speciale p. 2
- S. Bertoldi, Contro Sal, Milano 1984, p. 147
- Salerno capitale, a cura di M. Mazzetti – N. Oddati, Salerno 1984
Brindisi “Capitale”. La vita in città: ricordi e testimonianze, di Fracesca Mandese. Tratto dal libro Brindisi 1927-1943 da Capoluogo a Capitale, i progetti, le architetture. Min. per i Beni Culturali AS e Ordine degli architetti di Brindisi. Ed. Alfeo – Mostra documentaria 1994
Grazie per il bellissimo, puntuale, rigoroso articolo che ha riportato alla memoria i giorni trascorsi in quel drammatico periodo storico . Grazie. Elio Gnoni. Nella circostanza chiedo se è possibile venire in possesso del libro”Brindiisi 1927-1943 da Capoluogo a Capitale….” Ed.Alfeo, sostenendo ovviamente il relativo costo. Grazie.
Molte grazie per i complimenti; per quanto riguarda il reperimento del libro il problema è di difficile soluzione! Personalmente ho la fortuna di poter contare sulle personali “librerie di Brindisi” di alcuni amici, cui si è aggiunta ultimamente anche quella di Paolo Merola recentemente deceduto, la cui famiglia mi ha messo gentilmente a disposizione tutto il suo archivio di libri e giornali. Quando c’era il negozio “Culturando” i proprietari si impegnavano a trovare il materiale richiesto e generalmente quasi sempre ci riuscivano. Adesso, poichè all’Archivio di Stato non hanno più copie disponibili, potresti provare a chiedere alle librerie Piazzo o Feltrinelli di Brindisi che sono abbastanza attrezzate con materiale locale. Nella speranza di poter esserti stato utile ti mando i più cordiali saluti.
Utilissimo, grazie. Mi rivolgerò alla libreria Piazzo, un tempo (ahimè!) da me frequentatissima grazie anche alla fraterna amicizia di Cristina Piazzo. Cordialmte Elio Gnoni un brindisino fuori Brindisi.
[…] via Il Re a Brindisi — Brundarte […]
Salve! Articolo molto interessante! E foto molto belle! Potrei sapere in quale biblioteca è possibile reperite l’inserto Speciale del “Quotidiano” dell’8 settembre 1983 citato nelle note?
Grazie!
Grazie, però non ti posso accontentare perchè la documentazione dell’articolo, così come avevo scritto nelle note, me l’aveva fornita la famiglia del compianto Paolo Merola. Comunque chiedendolo alla sede del Quotidiano non credo che dovresti avere problemi ad ottenerlo.
Saluti.
A very interesting article.I am visiting Brindisi following the places my dad visited in Italy during 1943-44 with the British army. He was in the Signals. He spoke about Italy and the Italians with great fondness.
Many thanks for your compliments, we are happy to be able to help you with our articles to visit the city of Brindisi
hello after years I read your comment
I wanted to ask if you have pictures and documents of your father when he was in toast as a soldier
you can reply on my personal email which is the following lucaguadalupi0@gmail.com
Salve,
ho “scoperto” solo da pochi giorni la meraviglia di questo bellissimo sito storico/culturale della nostra città.
Sono veramente felice di poter conoscere la storia, la bellezza e le curiosità del nostro passato.
Mi piacerebbe tra l’altro conoscere la storia di una vecchia imponente caserma che osservo lungo la litoranea sud, nei pressi di torre Mattarelle, e della quale non riesco a reperire notizie.
grazie
Alessandro Gargiullo
Grazie per i complimenti Alessandro e vorrei poterti aiutare a rintracciare il nome della caserma di cui mi chiedi notizie ma ho qualche difficoltà, perchè Torre Mattarelle non è più visibile e non mi risulta che ci sia una caserma in quei luoghi. Se potessi mandare una foto e descrivere meglio il luogo dove la osservi posso provare a dirti di più. Buona serata.
Il testo riportato sul sito è un capitolo del mio libro “Brindisi Capitale a metà – Settembre 1943 – Febbraio 1944”, pubblicato nel 1994 e successivamente ripreso in parte nella pubblicazione citata. Il libro originale è, da qualche tempo, disponibile nelle librerie di Brindisi. Grazie, Francesca Mandese
Il testo riportato sul sito è un capitolo del mio libro “Brindisi Capitale a metà – Settembre 1943 – Febbraio 1944”, pubblicato nel 1994 e successivamente ripreso in parte nella pubblicazione citata. Il libro originale è, da qualche tempo, disponibile nelle librerie di Brindisi. Grazie, Francesca Mandese
Grazie Francesca per la precisazione. Non sapevo del tuo libro. L’articolo era un capitolo del libro Brindisi 1927-1943 da Capoluogo a Capitale, i progetti, le architetture. Min. per i Beni Culturali AS e Ordine degli architetti di Brindisi. Ed. Alfeo – Mostra documentaria 1994, e quindi ho potuto menzionare solo l’autore del testo. I miei complimenti perchè, almeno per me, ha rappresentato la parte più viva e interessante, dal punto di vista sociale, dell’intera vicenda.