A dieci anni dalla scomparsa di Beppe Patrono – una nota di Katiuscia Di Rocco

14459017_1070709829664131_1840880333_nUna nota pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 23 settembre 2016 curata da Katiuscia Di Rocco, direttrice della Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo”, istituzione che custodisce il fondo librario Beppe Patrono, che ricorda l’intellettuale brindisino a dieci anni dalla sua scomparsa.

Allo stesso Fondo Patrono appartengono le foto con cui corrediamo l’articolo.

A dieci anni dalla scomparsa di Beppe Patrono

“Lui veniva dal Sud ed al Sud intendeva dedicarsi a fascismo finito” così Luisa Adorno descrive Beppe Patrono nel suo romanzo, Le dorate stanze. Nasce a Brindisi il 25 agosto 1918 da Raffaele, segretario particolare a Roma dell’onorevole Chimienti, sottosegretario al Ministero della guerra, e da Francesca Guadalupi, figlia di un produttore e commerciante all’ingrosso di vino.

Frequenta il Ginnasio-Liceo “Marzolla” a Brindisi e i suoi amici sono Paolo Colonna, Gaetano De Vita, Ugo Guadalupi, tutti fortemente critici nei confronti della dittatura fascista.

E’ un lettore attento fin da adolescente e tra i suoi autori preferiti c’è Benedetto Croce. Prende la maturità nel 1938 e risulta primo agli esami di concorso per accedere alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ha come compagni Giorgio Piovano, Secondo Traversa, Vanni Mafera, Giulio Cervani, Mario Riani, Mario Casagrande, Armando Saitta, Carlo Azelio Ciampi, Antonio Russi, Alessandro Natta, Mario Baratto, Alfonso Irace, Giulio Corsetti e ha come docenti, fra gli altri, Luigi Russo, Giorgio Pasquali, Guido Calogero, Alfonso Omodeo.

14446371_1070710099664104_415567318_o

Gli anni che vanno dal 1934 al 1942 sono quelli più intensi per l’Università di Pisa, anni in cui gruppi giovanili antifascisti si costituiscono e tengono salda la loro organizzazione su un banco di prova degli anni più difficili. A capo di questo gruppo di oppositori di studenti e docenti, più o meno tollerati da Giovanni Gentile e dal regime, c’è Guido Calogero che nel Natale del 1938 consegna una lettera a Giuseppe Patrono con l’incarico di andare a trovare a Bari Tommaso Fiore e di mantenere i contatti con lui.

14424190_1070710482997399_1509391338_o

Solo due anni dopo Beppe perde la figura più importante della sua vita: il 19 febbraio 1940 il padre muore improvvisamente e pochi mesi dopo così scrive a sua madre:

“Quello che talvolta mi da un senso di smarrimento e d’incertezza, come di chi avrebbe bisogno d’una parola di incoraggiamento e di guida che sa che non può venire, è l’assenza di papà, che negli anni dava luce di consiglio e calore di appassionato interessamento. Mi lasciava sempre liberissimo di me stesso, e non è mai intervenuto nelle mie scelte e nelle mie decisioni con costrizioni di alcuna sorta: ma io sentivo sempre su di me il suo sguardo, la sua amorevole cura, l’appoggio, il tacito incitamento. Non so come dire. Ora ci sei tu, mamma. Ma, è un’altra cosa: tu mi sei tenerissima madre, ma quel che un figlio si aspetta e riceve da un padre, è insostituibile, come quello che riceve da un madre”.

Nel 1941 Giuseppe Patrono viene chiamato sotto le armi nel 1° reggimento dei Granatieri di Sardegna e viene trasferito a Roma. Interrompe quindi gli studi accademici a causa della guerra, e malgrado le sollecitazioni dei suoi professori, in primis Luigi Russo, non conseguirà mai più la laurea per gravi problemi di salute nei quali è incorso dopo la guerra e non come è stato più volte detto per dissidi insorti con alcuni docenti.

L’esperienza del servizio militare è per lui importantissima poiché gli conferma l’inadeguatezza di un apparato e di un sistema che è pari alla retorica e alla impreparazione del regime fascista. Nel 1943 così scrive alla madre:

“Nell’ultima lettera mi scrivi che ti sembro nervoso. Certamente la pressione che gli avvenimenti esercitano su gli individui è formidabile, ed è difficile mantenersi sereni. E tutti poi aspettano la fine. Quello che da un senso di angoscia è che i dolori e le sofferenze non sembrano ancora essere per qualcosa di definito e di chiaro, che debba sorgere per il vantaggio di tutti. Ma io ho fede che dal profondo della nazione scaturirà finalmente, maturandosi a poco a poco, la volontà ferma che tutti i dolori e tutte le sofferenze non siano stati invano. Guai ai popoli per i quali il dolore non è sprone alla feconda opera ma solo causa di sterile lamento”.

L’8 settembre del 1943 Beppe è ricoverato per una forte febbre nell’ospedale militare del Celio, uscendo da lì indossa la divisa di sottotenente dei Granatieri ed entra subito in clandestinità con il nome di “Pasquale Marrazza”, come testimonia la carta d’identità falsa fatta da Guido Bonnet a Roma nel settembre del 1943 e che con amore per la memoria è stata custodita e oggi donata, insieme agli altri documenti, alla Fondazione “G. Di Vagno” di Conversano.

I suoi rapporti a Roma sono strettissimi con Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, i Gallo, Vittorio Gabrieli, Ernesto Rossi e Pilo Albertelli che Beppe vede, come ultima persona, salire su un tram mentre lo saluta dicendogli “Addio Patrono” prima che questi fosse preso e poi fucilato dai nazisti nelle Fosse Ardeatine dopo i fatti di via Rasella. Proprio quella vicenda lo ha segnato profondamente: è sopravvissuto ed ha quindi un obbligo morale verso la vita, così scrive alla madre

“…ormai ci sentiamo legati per tutta la vita ad un lavoro politico ch’era già il nostro, ma che ha ricevuto ora una tragica consacrazione con la morte di tanti migliori di noi”.

Dopo l’aprile del 1945 rimane ancora qualche mese a Roma tra i cumuli di macerie: è necessario ricostruire l’Italia e Patrono crede e si prodiga come non mai affinché il 2 giugno del 1946 si voti a favore della Repubblica, tanto che successivamente si candida alla Costituente per il Partito d’Azione, mantenendo sempre strettissimi i rapporti con il gruppo di Molfetta: Tommaso Fiore col figlio Vittore, Antonio Gadaleta, Vincenzo Calace e Gaetano Salvemini.

Sono gli anni in cui partecipa anche attivamente al Movimento Federalista Europeo, collaborando a diverse riviste fra cui “il Mondo” di Pannunzio e successivamente “il Ponte” fondato da Piero Calamandrei.

14453891_1070711649663949_1929415518_o
Teatro Verdi – 19 dicembre 1954

Dopo lo scioglimento del Partito d’Azione, passa nelle fila del Partito Socialista Italiano dal quale viene espulso (Sezione di Brindisi), “per insanabili contrasti etici e metodologici”, così nel ’68 si presenta al Senato, come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano. E’ consigliere comunale per diverse legislature e noti sono i suoi comizi nelle piazze cittadine sui temi più forti di politica locale e nazionale.

Beppe Patrono si ritira a vita privata alla metà degli anni ’80 nauseato della realtà politica del micro e macro-mondo, ma continua tuttavia a mantenere i contatti con gli amici di sempre, fino a quando il 22 giugno del 2006 muore dopo una malattia degenerativa durata quasi dieci anni che nelle nebbie della memoria lo ha sollevato dal dover costantemente assistere ad una storia che non gli appartiene.

Per volere della vedova, prof. Maria Carmela Stridi, l’archivio di Beppe Patrono è stato concesso in comodato gratuito decennale alla Fondazione “G. Di Vagno” e la biblioteca, con un patrimonio di 30.000 libri, donata alla Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” nel dicembre 2014. Alla sua morte nessun partito politico ha affisso alcun manifesto e allora la vita di Giuseppe Patrono ripercorre un passo di Gaetano Salvemini:

“Ho osservato sempre che in quelle città meridionali, nelle cui scuole secondarie ho insegnato, magari cinquant’anni or sono, un uomo di vero valore intellettuale e morale, sono sempre rimasti alcuni discepoli, che non hanno finito con andare a giocare la sera a tressette nel circolo dei galantuomini, non hanno preso parte a nessun carnevale elettorale, sono venuti all’aperto, facendo il loro dovere di cittadini e … sono stati schiacciati”.

Beppe Patrono non è tra questi uomini poiché ha voluto condurre un’azione di educazione politica, ma è stato isolato non schiacciato. Crede fortemente nella sua battaglia, crede nel riscatto dalla miseria e dalla schiavitù come unico valore forgiato nella tragica consacrazione della morte di tanti. Per Giuseppe Patrono, per cui la memoria è un valore saldo, cancellare la storia è un delitto, un crimine sarebbe come scivolare nelle sabbie mobili e consolidare le leggende, lasciare andare la ragione e la vita verso l’ignoranza e il fanatismo delle dittature politiche, sociali e culturali.

Katiuscia Di Rocco

Foglietto ritrovato tra le pagine di un libro di Beppe Patrono. 

La frase è stata riportata sulla lapide per la Resistenza sita nella piazza di Cellino San Marco

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *