Un Poeta brindisino del tardo Cinquecento: Antonio Monetta

“Contemporaneo del Moricino fu Antonio Monetta, nato il 2 luglio 1559. Discendeva in linea paterna da una famiglia di nobiltà albanese, gli Aimonettis, mentre suo nonno materno era il letterato e umanista Antonio Gallo, il quale, viceré di Terra d’Otranto al tempo dell’invasione turca, aveva recitato, nel 1481, una celebre orazione funebre sul sepolcro degli ottocento martiri otrantini.
Studiò medicina a Napoli, dove ebbe come maestri Bernardino Longo, Giovanni Antonio Pisano e Cesare Scannapeo, assorbendo i variegati elementi del clima culturale partenopeo dell’ultimo scorcio del secolo.


Nel 1588 scrisse il Martirio di san Theodoro, una sacra rappresentazione in terza rima, che, per le sollecitazioni amorevoli dello zio Giovanni Leonardo Stefànio, egli dette alle stampe a Venezia, presso Domenico Nicolini, nel 1592.


Nel 1593, per i torchi dello stesso Nicolini, uscirono le Rime amorose, una raccolta di sonetti di genere petrarchesco, dedicate al cardinale Scipione Gonzaga. Si tratta di ottanta sonetti, seguiti ognuno da un compendioso commento in prosa, spesse volte prolisso, sempre sovraccarico di pesante erudizione. Vi dominava l’aristotelismo delle scuole, di cui la Napoli tardocinquecentesca era un centro importante.” (1)

“A ventidue anni si innamora di una misteriosa donna brindisina, che forse accelera il ritorno nella città natale: «[…] Dico dunque che ’l mio innamoramento fu alli diecinove di settembre del mille cinquecento ottantauno, quando che in prima, cioè la prima volta, colei, cioè la mia donna, alla quale io lagrimando aspiro, cioè penso con sommo desiderio, mi diede pena grande con ferirmi d’amoroso strale, e anco speranza di dovere in alcun tempo conseguire il desiderato fine» (Le Rime Amorose, cc. 132v-133r).” (2)

“D’una qualche importanza, ancora, sono le bizzarrie o, meglio, le trovate ritmiche escogitate in alcune poesie. Si tratta dei famosi versi isolettici o correlativi, dove a un verso formato di soli verbi è opposto l’altro di soli nomi, facendo in modo che a ciascun verbo corrisponda rispettivamente un nome. Valga, per tutti, l’esempio fornito dal sonetto XVII ai versi 1-3: Tien, punge, arde, apre, vince, e ’ntorno cinge, / Fren, chiodo, fuoco, stral, possanza e laccio, / mio cuor. «[…] Nel presente sonetto, dove a l’arte facendo corrispondere per ordine tutti i verbi del primo verso a tutti i nomi del secondo nel primo quaternario, dico che il freno tenga il mio cuore, il chiodo lo punga, il fuoco l’arda, lo strale l’apra, la possanza lo vinca, e il laccio lo cinga d’intorno » 14 (c. 58r).
Il perno principale intorno al quale ruotano le rime è un soggetto poetico abbastanza usuale nella letteratura italiana, al quale si sono ispirate intere generazioni di poeti e artisti: il tema dell’amore! Afferma, infatti, lo scrittore brindisino: «[…] Questo effetto meraviglioso, che produce Amore, si può scorgere chiaramente in molti scrittori, così antichi come moderni, i quali, invaghiti d’alcun vago e formoso soggetto, hanno poi indi presa occasione di dire e di mandar in luce alcune cose che, senza tal occasione, sarebbono rimaste occulte e rinchiuse in eterne tenebre. Di ciò ci fanno piena fede Orfeo, Alceo, Pindaro, Anacreonte, Virgilio, Ovidio, Catullo, Properzio, Tibullo, e altri che descrive il Petrarca nel suo quarto capitolo d’Amore, confermandoci il medesimo il dotto Bembo » (c. 285 r). E il Monetta si riferisce specialmente alla magnifica esperienza petrarchesca, seppure imitandola a volte solo fiaccamente e condendola qua e là di elucubrazioni e lambiccamenti tipici del suo secolo.” (2)

Rime Amorose e Discorsi – Sonetto Terzo

Stabil d’ogn’hor la terra altri rimira
Con meraviglia: un si stupisce in vista,
Che l’acqua non la cuopra: altri n’acquista
Stupor, mirando il ciel, come s’aggira.

Scorrendo i fiumi, il mar’uguale ammira
Altri; ed alcun meravigliando hà vista
Cometa, poter far misera, e trista
Signoril prole; ò concitarci à l’ira.

Attonito alcun torna, udendo, come
Ciascun Pianeta à un doppio corso attende,
Insieme, ove il Sol cade, ove risorge.

Ma à me fra tutte cose altra non rende
Stupor, che’l suo bel viso, e le sue chiome,
E’l ragionar, che la mia mente accorge.

Rime Amorose e Discorsi – Sonetto IV

Quando queste d’Amor, placide forme
Escon’in parte di mia mente: i miro
Da’uei begli occhi il cuor lasso assalir;
Dov’ella giunse, e mi chiamò per nome;

Così parmi veder gli occhi, e le chiome;
Che dolci frodi à l’afflitt’alma ordiro;
Si che gioia le parve ogni martiro;
Et hor lieta è nel pianto, io non sò come;

Poi mi rammento in che maniera il Sole
Mostrossi (il conobb’io) mesto; e divenne
Qual poca luce a’ suoi bei raggi unita;

Indi conchiudo al fin: ben mi convenne
Soffrir tal soma; e se s’affligge, e dole
L’alma; i ne godo, e mi sostengo in vita.

Le immagini sono state tratte dai libri “Monetta – Rime amorose” e “Cronaca dei Sindaci di Brindisi” di Cagnes e Scalese, ambedue presso la Biblioteca Arcivescovile A. De Leo che ringraziamo per la gentil concessione.

Bibliografia e sitigrafia:

Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica/sitigrafica.”

(1) Gianni Jacovelli, Medici letterati brindisini tra 1500 e 1600, in “Brundisii Res” XV (1983), pp. 33-48
(2) Angelo Romano, Un poeta brindisino del tardo Cinquecento: Antonio Monetta, in “Brundisii Res” X (1978), pp. 89-99

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