Le case della corte si affacciavano sulla Rua Maestra, quello che oggi chiameremmo il corso della Brindisi Medievale, che quasi divideva in due la vecchia città congiungendo la Porta Reale, sul porto, con Porta Mesagne.
Attualmente, i resti delle case della corte, sono compresi nell’edificio che è ad angolo fra le vie San Francesco e Filomeno Consiglio, oggi sede di abitazioni e attività commerciali; una di queste, il ristorante Penny, ci ha gentilmente concesso di poterne fotografare i locali.
Scrive Nicola Vacca nel suo libro Brindisi Ignorata:
“Edifici pubblici notevoli, i principali della città, affacciavano o erano adiacenti a questa ruga. Dalla parte del mare, dov’è oggi la Dogana e la Capitaneria del Porto, si elevava il grandioso palazzo del Duca d’Atene.
Non era costui uno dei figli di Carlo II d’Angiò, come afferma il Moricino seguito dall’Ascoli, ma Gualtieri VI di Brienne (*), l’ambizioso avventuriero che fu conte di Lecce e che subdolamente s’insignorì di Firenze dalla quale città fu nel 1343 clamorosamente scacciato perchè
Avaro traditore, e poi crudele,
lussurioso, ingiusto e spergiuro.
(Non ricordate il celebre quadro di Stefano Ussi in cui è melodrammaticamente dipinta questa cacciata a furia di popolo?).
Piero Gualtieri, Luglio 1343 la cacciata di Gualtieri di Brienne, duca d’Atene, in Portale Storia di Firenze, Luglio 2015, httpwww.storiadifirenze.orgtemadelmese=luglio-1343-la-cacciata-di-gualtieri-di-brienne-duca-datene
Scacciato da Firenze il Duca d’Atene tornò subito in Terra d’Otranto per salvare quel che restava dei suoi domini qui e in Grecia, e frequentava spesso Brindisi, città demaniale, dove peraltro era odiato dai cittadini per la malcelata ambizione d’insignorirsi della loro città.
Col falso pretesto di andare a confiscare i beni di Filippo della Ripa, contumace del re, il Duca d’Atene corse con 1500 fanti e 400 cavalli a Brindisi, e l’assaltò sperando d’impossessarsene. Ma tutto ciò fu vano perchè il re concedè la città al fratello Roberto che era amato dai brindisini.
Prima dell’accennato assalto, Gualtieri VI, come detto, fece costruire un superbo palazzo per sua abitazione nel luogo dove è oggi la Dogana, ch’era stato, al dir del Camassa, il sito dove, ai tempi della dominazione di Roma, sorgeva la casa di Pompeo.
Ecco come il Moricino descrive il palazzo:
Opera veramente magnifica e reale, con tutto ciò che oggi la minor parte di esso stia in piedi, si scorgono tuttavia nelle rovine degli altri membri del Palagio i bagni, che secondo l’usanza antica s’adoperavano in quella casa; la fabbrica è tutta variata di pietre mischie, l’una rossa e l’altra bianca chiamate dai paesani l’una carparo e l’altra serra d’aspro, distinte tutte in linee alternate tra loro, ch’una è tutta di pietre rosse e l’altra tutta di bianche, sono però tutte le pietre quadrate… si vede fino ad oggi su la porta principale di questo palazzo l’effigie del detto Duca d’Atene suo autore, scolpita nel sasso a cavallo.
Dopo gli angioini questo palazzo divenne la Casa della Corte, cioè la sede dove si trattavano gli affari dello Stato e vi avevano dimora i regi ministri e i giudici che soprintendevano al governo della città, vi si conservavano armi e munizioni e vi erano le carceri criminali e civili. “(**) (1)
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Le “case della corte” in 3 fotografie scattate negli anni ’60, appartenenti alla fototeca Briamo, custodite presso la Biblioteca Arcivescovile A. De Leo
Lo stesso isolato come si presenta oggi
Bibliografia e sitigrafia:
(1) Nicola Vacca, Brindisi Ignorata. Ristampa anastatica
Note:
(*) Gualtieri VI (1303-56), conte di Lecce e duca d’Atene, curò la realizzazione del palazzo brindisino. In città egli aveva l’incarico di regio rivenditore delle gabelle e qui, nel 1325, sposa Beatrice, figlia di Filippo principe di Taranto (1294-1331) e di Thamar di Romania. Da Brindisi, nel 1331, salpa per la Grecia a tutela dei suoi domini; nel 1353 per regio mandato ai danni di Filippo Ripa, viceammiraglio del regno e protagonista nella guerra civile che aveva desolato la città e visto la sconfitta dei Cavalerio, marcia su Brindisi con l’ausilio di 400 cavalli e 1500 fanti. I brindisini, tuttavia, su istigazione del Ripa, sospettando che Gualtieri volesse insignorirsi della città ed esercitar vendetta in nome dei Cavalerio, preferiscono rendersi a Roberto, principe di Taranto (1331- 63). (G. Carito, Brindisi Nuova Guida. Italgrafica 1994)
(**) La testimonianza è del 1674; nel 1777 Henry Swinburne (1752-1803) ne descrive ancora la struttura che nel maggio del 1778, designata quale cava “per il fabbrico delle casse del gran canale” ossia della foce del porto, viene per la gran parte demolita. Le attuali persistenze paiono databili al secolo quindicesimo. (G. Carito, Brindisi Nuova Guida. Italgrafica 1994)
Si ringrazia l’amico Mario Carlucci per la collaborazione e il titolare del ristorante Penny per avere consentito la visita dei locali