Situato nel cuore di Parigi, lungo la Senna, di fronte ai giardini delle Tuileries, il Museo è posto all’interno della vecchia stazione ferroviaria, diventata sede dell’esposizione universale nel 1900. Tale edificio rappresenta, in qualche modo, la prima “opera” delle collezioni del museo d’Orsay nelle cui sale è esposta l’arte dei decenni compresi tra il 1848 ed il 1914.
La trasformazione della stazione in museo fu realizzata dagli architetti dello studio ACT-Architecture, MM. Bardon, Colboc e Philippon. Il loro progetto, selezionato tra le sei proposte pervenute nel 1979, ha profondamente rispettato l’architettura di Victor Laloux adattandola in funzione della nuova destinazione dell’edificio, valorizzando la grande navata, adibita come asse principale del percorso, e trasformando la pensilina in entrata principale.
Il percorso del museo si snoda su tre livelli principali: al piano terra, le sale sono distribuite da una parte all’altra del corridoio centrale. Al livello intermedio, le terrazze dominano il corridoio e introducono alle sale espositive. Il livello superiore è sistemato sopra l’atrio che ospita il binario e che si protrae nella parte più elevata dell’albergo sulla rue de Bellechasse.
A partire da questi tre principali livelli in cui sono esposte le opere, è possibile accedere ai vari spazi museali: il pavillon amont, i passaggi a vetri del grande timpano occidentale della stazione, il ristorante del museo (allestito in quella che un tempo era la sala da pranzo dell’albergo), il Café des Hauteurs, la libreria e l’auditorium.
Van Gogh al Museo d’Orsay di Parigi
Il Museo d’Orsay a Parigi che, è giusto ricordarlo, accoglie oltre 3 milioni di visitatori ogni anno, possiede la più grande collezione di opere d’arte dell’impressionismo (circa 440 tele) e del post-impressionismo al mondo, tra cui molti dei capolavori più conosciuti e importanti realizzati tra il 1848 e il 1914. Importante è la sezione del museo dedicata a Van Gogh al quale spesso il museo riserva mostre dedicate. Di seguito una breve ricostruzione della vita di questo artista e una carrellata di sue tele che Brundarte ha potuto fotografare durante la visita al Museo nel giugno 2017
La vita di Vincent Van Gogh
Vincent Van Gogh (1853-1890), pittore olandese, rappresenta il prototipo più emblematico di artista maledetto: geniale, folle, una vita vissuta tra malessere psichico e alcool, l’affetto di suo fratello Theo, l’amicizia burrascosa con Gauguin, la vocazione religiosa, i viaggi e il suo amore ossessivo per la pittura. Uno dei più grandi artisti di sempre, che in vita non ha conosciuto il successo, non riuscendo a vendere neanche una delle 864 tele che ha dipinto. Oggi il suo Ritratto del dottor Gachet – solo per fare un esempio – vale più di 100 milioni di dollari.
Figlio di un pastore protestante, mentre ancora vive a Zundert, Vincent esegue i suoi primi disegni. Inizia invece le scuole a Zevenbergen. Impara il Francese, l’Inglese, il Tedesco e per la prima volta inizia a dipingere. Terminati gli studi, svolse diversi lavori fino a quando nel 1879 decise per la vocazione teologica. Divenne predicatore, vivendo in poverissimi villaggi di minatori dove prese profondamente a cuore le sorti di questi lavoratori, anche in occasione di scioperi, da essere considerato dalle gerarchie ecclesiastiche socialmente pericoloso e quindi licenziato. Crebbe allora quella crisi interiore che lo portò a vivere una vita sempre più tormentata e difficile, intervallando momenti di serena euforia ad attacchi di panico e di terribile violenza, aggravati dall’abuso di alcool.
Vincent Van Gogh– Autoritratto, 1889, olio su tela
Fu in questo tormentato periodo (era il 1880 e Van Gogh aveva solo 27 anni) che iniziò a dipingere dedicandosi a rappresentare quasi esclusivamente poveri minatori e tessitori. Più tardi nel corso dell’anno, grazie al sostegno economico di suo fratello Theo, direttore di una galleria d’arte, intraprende studi formali di anatomia e prospettiva all’Accademia di Bruxelles.
Sempre molto intenso rimane il legame con il fratello, come testimoniato dalle oltre 600 lettere che Vincent gli inviò nel corso degli anni, ed è per raggiungere lui che nel 1886 Vincent si trasferisce a Parigi, dove Theo si era recato per lavoro. Durante il soggiorno parigino l’artista scopre la pittura impressionista e approfondisce l’interesse per l’arte e le stampe giapponesi. Conosce molti pittori tra cui Toulouse Lautrec e Paul Gauguin che apprezza particolarmente. Tenta anche di intraprendere una qualche formazione artistica alla Ecole des Beaux-Arts, ma respinge molti dei principi che gli vengono insegnati. Desiderando continuare con qualche tipo di educazione artistica formale, sottopone qualcuno dei suoi lavori all’Accademia di Anversa, dove viene posto in una classe per principianti. Vincent non si trova a suo agio all’Accademia e la abbandona quasi subito.
L’esperienza parigina dura due anni, fino al 1888 quando Vincent si trasferisce ad Arles, nel sud della Francia, per vivere con il pittore Gauguin. All’inizio, il cattivo tempo invernale gli impedisce di lavorare, ma una volta arrivata la primavera inizia a dipingere i paesaggi in fiore della Provenza. Si trasferisce infine nella “Casa Gialla”, una dimora presa in affitto sperando di stabilirvi una comunità di artisti. E’ il momento in cui riesce a dipingere alcune delle sue opere migliori ma anche il momento delle violente tensioni con Gauguin. Il loro rapporto infatti non fu facile (si racconta che un giorno Van Gogh inseguì Gauguin in strada con un rasoio minacciando di aggredirlo) e degenerò del tutto quando una sera, ubriaco, Vincent scagliò un bicchiere contro l’amico. Quel giorno Gaugain decise di lasciare Arles. La sua partenza procurò una nuova crisi a Van Gogh che, in preda alle allucinazioni, si tagliò il lobo di un orecchio. Iniziarono i suoi ricoveri in ospedale, sempre più in bilico tra depressione e brevi momenti di lucidità e felicità.
Intanto, mentre lo stato di salute mentale di Vincent continua a peggiorare, la sua opera inizia a ricevere i primi riconoscimenti presso la comunità artistica. I suoi dipinti Notte stellata sul Rodano e Iris vengono esposti al Salon des Indépendants in settembre, e in novembre viene invitato ad esibire sei dei suoi lavori da Octave Maus, segretario del gruppo di artisti Belgi “Les XX”. Scrive al fratello Theo:
Più divento dissipato, malato, vaso rotto, più io divento artista, creatore… con quanta minor fatica si sarebbe potuto vivere la vita, invece di fare dell’arte.
Dopo una serie di terribili alti e bassi, sia fisici che mentali, e dopo aver prodotto con incredibile talento ed energia una serie incredibile di capolavori, il 27 luglio del 1890 Vincent si spara un colpo di pistola in un campo nei pressi di Auverse, morendo dopo due giorni a soli 37 anni. Il funerale ha luogo il giorno dopo, e la sua bara viene ricoperta di dozzine dei tanto amati girasoli.
Attraverso la bellezza e i colori delle sue opere ripercorriamo insieme la tormentata vita di questo da noi amatissimo autore.
Fritillaires, corona imperiale in un vaso di rame
Le fritillarie sono piante a bulbo che, come i tulipani fioriscono a primavera. Questo consente di stabilire con certezza in quale periodo dell’anno Van Gogh ha dipinto il quadro. La specie che l’artista raffigura è la fritillaria imperiale, che viene coltivata nei giardini francesi ed olandesi alla fine del XIX secolo. Ogni bulbo di questo fiore a stelo lungo, di colore rosso-arancio, produce da tre a dieci fiori. Per comporre questo mazzo, Vincent ha utilizzato uno o due bulbi i cui fiori recisi sono sistemati dentro un vaso di rame.
Nell’opera sono presenti alcune caratteristiche della pittura neoimpressionista, il cui maggiore esponente era Paul Signac, con cui l’artista olandese strinse amicizia durante il suo soggiorno a Parigi: lo sfondo del quadro, così come il vaso di rame in cui sono contenuti i fiori sono rappresentati attraverso l’utilizzo di puntini vicini tra loro; inoltre è evidente una contrapposizione di colori complementari quali l’azzurro e l’arancione.
Durante il periodo di realizzazione dell’opera il pittore corteggiava Agostina Segatori, un’italiana che gestiva il caffè Tambourin situato sul boulevard de Clichy. Si pensa che sia stata proprio la donna ad ispirarlo nelle sue rappresentazioni di nature morte con fiori “che durano per sempre”. Il caffè, grazie agli innumerevoli soggetti floreali dipinti da Van Gogh, con cui Agostina tappezzava i muri, divenne successivamente un vero e proprio “giardino artificiale”.
Vincent Van Gogh – Fritillaires, corona imperiale in un vaso di rame, 1887, olio su tela
L’Italiana
La donna raffigurata in questa tela è certamente Agostina Segatori (1843-1910), in passato modella di Corot, Gérôme e Manet e con la quale Van Gogh sembra aver intrattenuto una breve relazione amorosa qualche mese prima di eseguire questo ritratto. Nel corso del suo soggiorno parigino tra marzo del 1886 e febbraio del 1888, Van Gogh si accosta alle teorie scientifiche dei colori messe a punto dai neoimpressionisti. Il pittore, che era anche un grande estimatore delle stampe giapponesi, ci consegna una sintesi del tutto personale di questi due stili.
Molti elementi richiamano le stampe giapponesi: il bordo asimmetrico, la stilizzazione del personaggio in un ritratto privo di ombra e di prospettiva ed infine lo sfondo monocromatico. Tuttavia, alla raffinatezza dell’estetica orientale, Van Gogh sostituisce una lavorazione energica, che restituisce un’impressione di potenza quasi primitiva.
La sua modella è raffigurata tramite tratteggi nervosi che si incastrano e si separano. I colori sono violenti, espressivi e mostrano in Van Gogh un precursore del fauvismo. Il viso di Agostina Segatori, dove predominano il rosso e il verde, illustra il progetto formulato dal pittore un anno dopo ad Arles: “essere capace di esprimere le terribili passioni dell’umanità per mezzo del rosso e del verde”.
Vincent Van Gogh – L’Italiana, 1887, olio su tela
Il Restaurant de la Sirène ad Asnières
Durante il suo soggiorno parigino, tra il marzo del 1886 e il febbraio del 1888, Van Gogh abita assieme al fratello Théo nella zona settentrionale della città. A differenza di altri impressionisti che, in estate, potevano permettersi la spesa, anche modica, di un viaggio in campagna, Van Gogh, per scelta o per necessità, ricerca perlopiù luoghi vicini alla zona dove abita. Questo è proprio il caso di Asnières, città che sorge sulle rive dalla Senna. In questo luogo, l’artista dipinge e disegna molte vedute di ponti oppure, come in questo specifico caso, il ristorante de la Sirène.
Stile e soggetto hanno avuto precedenti impressionisti ma il quadro del maestro olandese, tuttavia, se ne distacca leggermente. L’opera riflette più l’aspetto esterno di tali edifici piuttosto che i festeggiamenti all’insegna dell’allegria di cui essi erano la cornice. Gli impressionisti, Renoir in primo luogo, hanno spesso rappresentato ristoranti privilegiando, tuttavia, l’ambiente interno.
In Restaurant de la Sirène ad Asnières, Van Gogh moltiplica le pennellate di bianco facendo completamente ricorso a tutta la varietà della sua tavolozza. Il pittore Emile Bernard alludeva senza dubbio ad una raffigurazione del ristorante de la Sirène quando riferisce a Vollard che la produzione parigina di Van Gogh comprende “deliziosi ristoranti con tendoni di vari colori e con oleandri”. Se questa tela può essere inclusa tra le pitture di Van Gogh più vicine all’impressionismo, i numerosi tratteggi paralleli lasciano presagire uno stile più personale che presto raggiungerà la sua compiutezza.
Vincent van Gogh (1853-1890) – Il Restaurant de la Sirène ad Asnières, 1887, Olio su tela
Ritratto di Eugene Boch – Il Poeta
Verso la metà di giugno del 1888, Van Gogh conosce il pittore belga Eugène Boch (1855-1941) che, in quel periodo, sta trascorrendo alcune settimane in un paese vicino ad Arles. Intorno all’8 luglio, Vincent cita il nome di Boch in una lettera indirizzata al fratello Théo: “È un giovane di bell’aspetto, viso affilato, occhi verdi con un non so che di signorile”.
L’ 11 agosto, Van Gogh ha un’idea:
“Mi piacerebbe fare il ritratto di un amico artista che sogna grandi sogni, che lavora come cinguetta un usignolo, perché questa è la sua natura. Quest’uomo sarà biondo di capelli. Vorrei che nel quadro trasparisse la mia ammirazione, l’amore che nutro nei suoi confronti. Lo dipingerò, dunque, come appare, il più fedelmente possibile […]. Alle sue spalle, invece di dipingere la banale parete del misero appartamento, raffigurerò l’infinito, farò uno sfondo semplice del blu più ricco, più intenso che riuscirò ad ottenere e, grazie a questa semplice combinazione, la testa bionda che riluce su questo sfondo blu acceso, avrà un effetto misterioso come la stella nell’azzurro profondo”.
Due settimane dopo, Boch posa per Van Gogh.
“Ebbene, grazie a lui, ho finalmente un primo schizzo di quel dipinto che ho lungamente sognato, il Poeta. Egli ha posato per me. Il suo viso affilato con gli occhi verdi spicca nel mio ritratto su un cielo stellato di un intenso blu oltremare. Ha indosso una giacca gialla, una camicia di tela, una cravatta variopinta”.
Van Gogh, benché consideri questa tela un semplice “schizzo”, fa incorniciare il ritratto che intitola il Poeta. Sappiamo che per un periodo di tempo, l’opera è appesa alla parete della sua camera da letto della Casa gialla. Difatti, il ritratto di Eugène Bloch appare nella prima versione di La Camera da letto (Amsterdam, museo Van Gogh).
Vincent van Gogh – Eugène Boch, 1888, olio su tela
La stanza di Van Gogh ad Arles
Sul tema della sua stanza da letto, Van Gogh realizza tre pitture quasi identiche. La prima, conservata al museo Van Gogh di Amsterdam, viene eseguita nell’ottobre del 1888 ma, durante un ricovero ospedaliero del pittore ad Arles, viene danneggiata a seguito di un’inondazione. Dopo circa un anno, l’artista inizia a realizzare due copie dello stesso quadro: una, delle stesse dimensioni del primo dipinto, è attualmente conservata presso l’Art Institute di Chicago; l’altra, quella del museo d’Orsay, che l’artista realizza per la sua famiglia in Olanda, è di un formato più piccolo.
In una lettera indirizzata al fratello Théo, Vincent spiega i motivi che lo hanno spinto a dipingere una simile opera: l’artista vuole esprimere la tranquillità e far risaltare la semplicità della sua camera da letto per mezzo di un simbolismo cromatico. Per questo motivo, Van Gogh descrive:
“le pareti di un lilla chiaro, il pavimento di un rosso spezzato e pallido, le sedie e il letto color giallo cromo, i cuscini e il lenzuolo verde limone chiarissimo, la coperta rosso sangue, la toeletta arancione, il catino azzurro, la finestra verde”,
per poi affermare:
“Avevo voluto esprimere un riposo assoluto per mezzo di tutti questi diversi toni”.
L’artista, attraverso queste diverse tonalità fa esplicito riferimento al Giappone, ai suoi crépon e alle sue stampe. Il pittore olandese giustifica così la sua scelta:
“I Giapponesi hanno vissuto in interni molto semplici e alcuni grandi artisti hanno vissuto in questo paese”. Anche se, agli occhi dei Giapponesi, una camera arredata con tavoli e mobili non appare assolutamente semplice, per Vincent si tratta di “una camera da letto vuota con un letto di legno e due sedie”. L’artista, tuttavia, raggiunge una certa sobrietà tramite una composizione costituita quasi unicamente da linee dritte e da una combinazione rigorosa di superfici colorate che sopperiscono all’instabilità della prospettiva.
Vincent van Gogh – La stanza di Van Gogh ad Arles, 1889, Olio su tela
La notte stellata sul Rodano
Sin dal suo arrivo ad Arles, l’8 febbraio 1888, la rappresentazione degli “effetti di notte” diventa una preoccupazione costante per Van Gogh. Nell’aprile del 1888, l’artista scrive al fratello Théo:
“Mi occorre una notte stellata con dei cipressi o, forse, sopra un campo di grano maturo”. A giugno, così confida al pittore Emile Bernard: “Quando mai riuscirò a dipingere un Cielo stellato, un quadro che, da sempre, occupa i miei pensieri “
e a settembre, in una lettera alla sorella, torna sull’argomento:
“Spesso, ho l’impressione che la notte sia più ricca di colori se paragonata al giorno”.
In quello stesso mese di settembre, van Gogh realizza finalmente questo progetto diventato per lui irrinunciabile.
In un primo tempo dipinge un angolo di cielo notturno nella terrazza di un caffè sulla piazza centrale ad Arles (Otterlo, Rijksmuseum Kröller-Muller). Quindi, questa veduta del Rodano in cui l’artista riproduce in modo esemplare i colori che percepisce nell’oscurità. La tonalità dominante è il blu in varie sfumature: di Prussia, oltremare o cobalto. Le luci della città brillano di un arancio intenso e si riflettono nell’acqua. Le stelle risplendono come pietre preziose.
A distanza di qualche mese, subito dopo il suo internamento nell’ospedale psichiatrico, Van Gogh dipinge un’altra versione dello stesso soggetto: Il Cielo stellato (New York, MoMA), in cui si esprime in tutta la sua virulenza la sua personalità disturbata. Gli alberi assumono le stesse fattezze delle fiamme mentre il cielo e le stelle volteggiano in una visione cosmica. Nel dipinto La notte stellata, custodito presso il museo d’Orsay, la presenza di una coppia di innamorati sulla parte bassa della tela accresce l’atmosfera di grande serenità dell’opera.
Vincent van Gogh – La notte stellata, 1888, olio su tela
La sala da ballo ad Arles
Il 23 ottobre 1888, Paul Gauguin raggiunge Vincent van Gogh ad Arles. I due uomini sognano di fondare insieme una “bottega del mezzogiorno” nella Francia meridionale. Tuttavia, l’entusiasmo iniziale svanisce rapidamente. La presenza invadente si scontra con l’indomita indipendenza di Gauguin. Tuttavia, verso la metà di dicembre, i due artisti tornano a lavorare assieme grazie ad un breve momento di tregua nel loro rapporto.
Le due grandi opere create durante questi pochi giorni di ritrovata collaborazione sono Le Arlesiane (Mistral) (Chicago, The Art Institute) per Gauguin, e La sala da ballo ad Arles per Van Gogh. Il soggetto raffigurato in questa tela sembra una serata di festa alle Folies-Arlésiennes, una sala da ballo lungo il boulevard des Lices. L’influsso di Gauguin è chiaramente visibile poiché Van Gogh in questa tela si attiene scrupolosamente ai principi del sintetismo e del cloissonisme elaborati dal suo compagno a Pont-Aven. Il riferimento all’arte giapponese è altresì riconoscibile, in particolare nel rilevamento inconsueto della linea dell’orizzonte o anche in questo primo piano curioso e decorativo in cui dominano le curve e le controcurve delle acconciature.
La moltitudine dei personaggi, le differenze nel loro abbigliamento e il loro aggrovigliarsi strettamente rendono con grande abilità il senso di affollamento e di saturazione. Il ritratto di Madame Roulin, a destra, l’unica a rivolgere lo sguardo verso lo spettatore, sembra altresì esprimere un terrore claustrofobico. Del resto, anche nelle Arlesiane di Gauguin, due personaggi femminili esprimono un sentimento di inquietudine e di angoscia.
Per sottrarsi a questa ansia latente, i due uomini si recano il 16 o 17 dicembre a Montpellier per visitare il museo Fabre. La discussione che si innesca mette più che mai in evidenza le loro divergenze estetiche. Al termine di questa giornata, la separazione si rivela ineluttabile, Gauguin si accinge a partire.
Vincent van Gogh – La sala da ballo ad Arles, 1888, olio su tela
L’Arlesiana
Madame Ginoux, l’arlesiana protagonista di questa tela, gestiva il Café de la Gare di Arles e fu spesso in contatto con gli artisti, in particolar modo con Gauguin e Van Gogh. Il primo l’ha anche raffigurata mentre il secondo, che alloggiò presso di lei al suo arrivo ad Arles, le starà vicino durante tutto il suo soggiorno. Madame Ginoux che soffriva anche lei di “crisi nervose”, si prende cura di Van Gogh quando l’artista, nel dicembre 1888, subì un ricovero ospedaliero.
Nel suo scambio epistolare con il fratello Theo, l’artista evocando più volte la bellezza delle donne che indossano il costume regionale, così scrive:
“finalmente ho un’Arlesiana, una figura dipinta velocemente in un’ora, su uno sfondo giallo pallido, il viso grigio, l’abbigliamento dalle tinte scure, un nero intenso e un blu di prussia vero e proprio. È appoggiata ad un tavolo verde ed è seduta su una sedia di legno color arancio”.
La ricerca di personaggi popolari e l’ossessione del ritratto si coniugano in questa tela. Sebbene di dimensioni rilevanti, questo quadro ha richiesto soltanto un’ora di lavoro, la rapidità della pennellata contrasta con l’indugio meditativo. Senza celare i difetti fisici che l’artista tende addirittura ad evidenziare per mettere maggiormente in risalto la profonda umanità del modello e tutto ciò che esso ha di unico, il pittore isola questa figura di vivace icona provenzale su uno sfondo di un giallo quasi violento.
Vincent Van Gogh – L’Arlesiana, 1888, olio su tela
La carovana degli zingari
Sempre del 1888 anche questo olio su tela che rappresenta il colorato bivacco di zingari vicino Arles. Nell’opera di Vincent una fila di carrozzoni costituisce come una parete sospesa sul prato fiorito, quasi a segnare il limite dell’accampamento. Intorno al fuoco dove si cucina vecchi, adulti, bambini, donne, cavalli, galline, cani ed altro ancora animano la vita del piccolo insediamento.
Van Gogh – La carovana degli zingari vicino ad Arles, 1888, olio su tella
La Chiesa di Auvers-sur-Oise
Dopo aver soggiornato nel sud della Francia, ad Arles, ed essere stato ricoverato presso l’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy de Provence, Vincent van Gogh si stabilisce a Auvers-sur-Oise, un paese nelle vicinanze di Parigi. Il fratello Théo, preoccupato per la salute dell’artista, ha spinto van Gogh a incontrare il dottor Gachet, pittore anch’egli, che accetta di occuparsi di lui. Nel corso dei due mesi che separano il suo arrivo a Auvers il 21 maggio 1890 e la sua morte, avvenuta il 29 luglio di quello stesso anno, l’artista realizza una settantina di tele, ovvero più di una al giorno, e molti disegni. Questo quadro è il solo che Vincent van Gogh abbia dedicato alla chiesa di Auvers. Questo edificio sacro, costruito nel XIII secolo nel primo stile gotico, con ai lati due cappelle romane, diventa, sotto il pennello dell’artista, un tipico monumento in stile fiammeggiante che sembra essere lì per crollare sotto il peso di una pressione esercitata dal suolo e dalle due stradine che lo stringono da una parte e dall’altra. Se mettessimo questo quadro a confronto con le Cattedrali di Claude Monet, dipinte poco tempo dopo, potremmo facilmente prendere atto della differenza nel metodo seguito da van Gogh e quello degli impressionisti. Al contrario di Monet, van Gogh non cerca di raffigurare l’impressione dei giochi della luce sul monumento. Anche se la chiesa è riconoscibile, la tela non propone allo spettatore un’immagine fedele della realtà quanto una forma di “espressione” di quest’ultima.
Vincent van Gogh – La Chiesa di Auvers-sur-Oise, 1890, olio su tela
Vaso con rose
Vaso con fiori, rose anemoni, ecc. è un dipinto che Van Gogh ha realizzato con tecnica ad olio su tela nel giugno del 1890 (periodo di Auvers),
Due bambini
Si tratta di un dipinto realizzato da Van Gogh con tecnica ad olio su tela nel giugno del 1890 (periodo di Auvers).
Vincent van Gogh – Due bambini, 1890, olio su tela
Il dottor Paul Gachet
Figura inseparabile dell’ultimo periodo della vita di Vincent ad Auvers, il dottor Gachet era dotato di una personalità originale. Medico omeopata, si occupava anche di chiromanzia tuttavia, la sua vera passione, lo spingeva ad interessarsi anche al mondo delle arti. Del resto, Gauchet era lui stesso un buon incisore e intratteneva rapporti con un gran numero di artisti, trai quali Manet, Monet, Renoir e Cézanne.
Fu dunque naturale per Van Gogh, subito dopo essere stato dimesso dall’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy-de-Provence, recarsi dal dottor Guichet, su consiglio di suo fratello Théo. Specializzato in psichiatria, il medico fece del proprio meglio per aiutare Vincent a sconfiggere le proprie angosce offrendogli un conforto materiale in grado di favorire distensione e serenità.
Il ritratto del dottore rientra in questa fase creativa particolarmente intensa. Modello privilegiato, Gachet è caratterizzato da un atteggiamento malinconico, che riflette “l’espressione sconsolata dei nostri tempi”, come scriverà Van Gogh. Il solo elemento di speranza in questo ritratto severo dalle tonalità fredde, il fiore di digitale che, per le sue virtù curative, assicura un pò di conforto e di serenità.
Malgrado la sua abnegazione ed il suo attaccamento nei confronti dell’artista, il dottor Gachet non potrà fare nulla per impedire il gesto irreparabile di Van Gogh che, di lì a poco, si sarebbe tolto la vita.
Vincent van Gogh – Il dottor Paul Gachet, 1890, Olio su tela
Nel giardino del Dottor Paul Gachet
Il giardino del dottor Gachet ad Auvers appartiene alla serie di quadri che hanno per soggetto i giardini e fiori, temi sempre cari al pittore olandese, che fin da quando era piccolo in Olanda con suo padre, aveva imparato ad apprezzare ed amare. Viene descritto dal pittore anche in una lettera al fratello Theo, in cui racconta che il posto era sempre pieno di gatti e che il giardino era composto da una terrazza che buttava direttamente lo sguardo sulla valle dell’Oise, ed era presente anche un tavolo arancione su cui il dottore stesso lavorava.
Vincent van Gogh – Nel giardino del Dottor Paul Gachet, 1890, olio su tela
Casolari con tetto di paglia a Cordeville
Questo quadro è stato dipinto durante il periodo creativo più intenso e frenetico della carriera dell’artista, alcune settimane prima della sua tragica fine. Van Gogh ha lasciato la Provenza nel maggio del 1890, dopo essersi sottoposto volontariamente a trattamenti medici presso l’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy. L’artista si è stabilito a Auvers-sur-Oise, a Nord di Parigi. Il 10 giugno, il pittore scrive al fratello Théo che sta lavorando a “due studi di case nella vegetazione”. Corot, Daubigny, Pissarro o Cézanne hanno già evocato il quieto fascino di Auvers. Van Gogh, invece, lo trasformerà in una terra vulcanica in cui le case appaiono storte per effetto di un sisma.
Il pittore sottopone questo paesaggio ad una vera e propria trasmutazione scatenata da forze psichiche. Le tranquille case dai tetti di paglia che si possono ancora osservare in vecchie fotografie, sembrano come sollevate da una certa potente forza tellurica che dilata i volumi. Il disegno scapigliato, vorticoso, fa ondulare il tetto, avvolge a spirale i rami degli alberi, trasforma le nubi in arabeschi. Inoltre, la materia pittorica è lavorata ad impasto grasso, scavata nel suo spessore da veri e propri solchi.
Di certo, non è l’artista che, come i romantici, prova inquietudine al cospetto di questo paesaggio maestoso. Al contrario, è proprio lui che sconvolge e dà vita e vigore ad ogni singola catapecchia e ad ogni singolo cipresso. Come nel Cielo stellato del 1889 (New York, MoMA), tutti gli elementi del paesaggio si fondono nel deformarsi dei loro contorni conferendo così, all’intera veduta un aspetto fantastico.
Vincent van Gogh – Casolari con tetto di paglia a Cordeville, 1890, olio su tela
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Sei bravo e complimenti per quello che fai
Grazie Sergio