Victoria & Albert Museum di Londra – Abiti in mostra nella Fashion Gallery

Fondato nel 1852, il Victoria & Albert Museum è uno dei più grandi musei di Arte e Design al mondo, uno dei luoghi più affascinanti di tutta Londra. Inaugurato con il nome di South Kensington Museum, fu ribattezzato nel 1899 in onore della regina Victoria e di suo marito Albert. La collezione presente all’interno del museo è definita come la più grande e significativa del mondo nelle arti figurative e nel design, un miscuglio eclettico di opere, che raggiunge ben oltre i quattro milioni di manufatti esposti con reperti appartenenti a diverse civiltà del mondo.

Il museo vanta anche un’incredibile collezione di abiti e accessori di moda esposti nella Fashion Gallery, la più grande e completa collezione di abbigliamento di tutto il mondo, allestita in una grande sala circolare vicino ai disegni preparatori per la Cappella Sistina di Raffaello.  Percorriamo insieme, tramite le foto di Brundarte, un viaggio nel tempo e nel costume  attraverso quattro secoli di storia della moda, dal 1750 ai nostri giorni.

Entrando in Galleria il nostro percorso attraverso queste meravigliose creazioni inizia dal 18° secolo. In quella epoca la moda di Corte fu caratterizzata dall’uso stravagante ed esclusivo della seta. Gli stilisti e i tessitori inglesi, producevano seta di alta qualità con delicati disegni floreali.

Sotto un esempio di abito in seta avorio riccamente ricamato prodotto negli anni 1755-1760 che ben illustra lo stile dell’epoca, indossato dalle dame a corte in Inghilterra. Il modello è conosciuto come “mantua” termine diventato poi sinonimo dell’abito di corte stesso. Il mantua era comunemente indossato su corpetti ed era abbinato a sottogonne coordinate. Le maniche arrivavano al gomito e la sopraveste era tirata indietro sui fianchi per esporre la gonna. Le bambole servivano da piccole modelle vestite dagli stilisti per diffondere e pubblicizzare le ultime novità. Lontano dalla London-Society, a casa e a lavoro, gli uomini e le donne prediligevano invece  abiti più pratici, solitamente in lana, lino e cotone.

V&A – Abito inglese di corte, 1755-1760

Qualche decennio dopo gli abiti di corte divennero più stretti, come per questo magnifico modello in seta azzurra , accompagnato da preziosi accessori.

L’alto stile di vita ispirato dai vestiti classici, rimase popolare per tutta la prima parte del 19° secolo. Gli abiti delle grandi occasioni incorporavano pietre e ricami in oro, enfatizzando i corpetti e gli orli delle gonne. Normalmente gli uomini indossavano giacche di lana su misura ed un panno accuratamente legato al collo, ma spesso gli eventi di Corte richiedevano spade e parrucche.

 

Il periodo tra il 1830 e il 1840 fu segnato da grandi cambiamenti. Nel 1833 l’Impero Britannico abolì la schiavitù. L’industria tessile subì un importante cambiamento, iniziarono a diminuire i costi del lavoro ed aumentò la produttività. Gli abiti diventarono voluminosi con maniche a effetto palloncino, riempite da piume, bustini per una perfetta silhouette e ampie gonne lunghe.


Le riviste di moda giocarono un ruolo importante nello scenario del Fashion. Difatti, circolavano sempre più informazioni riguardanti gli ultimi trend parigini e londinesi, tanto da far concepire una nuova immagine della donna ideale che pian piano stava mutando.

 

Nel 19° secolo la moda potè beneficiare di una tecnologia più avanzata. L’invenzione della crinolina, una sorta di gabbia in legno utilizzata come sottoveste dalle donne, contribuì ad ampliare il volume degli abiti. Sebbene ridicolizzata dalla stampa, la crinolina divenne molto popolare e largamente utilizzata. Le ricerche e gli sviluppi nell’industria chimica portarono poi alla scoperta di nuovi coloranti artificiali. Le donne cominciarono così ad indossare abiti dai colori brillanti, ma l’anilina contenuta in questi prodotti poteva essere dannosa per la salute e il British Medical Journal mise in guardia sui pericoli dell’arsenico contenuto nel color magenta.

I visitatori inglesi dell’International Exhibitions tenuta a Londra nel 1851 e nel 1862 poterono constatare l’alta qualità dei tessuti francesi e l’inconfondibile stile dei loro modelli. I Francesi invece giudicavano gli abiti delle donne inglesi di cattivo gusto e troppo carichi di inutili orpelli. Iniziò in questo contesto la fortuna degli stilisti francesi presso la corte inglese. Questo meraviglioso modello per esempio è stato disegnato tra il 1873 e il 1875  da Monsieur Vignon, uno stilista francese molto ricercato le cui clienti includevano l’Imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III di Francia. La didascalia ci racconta che l’orlo dell’abito, a causa dell’imponente crinolina, era lungo oltre 5 metri. Non parla invece del peso, ma è presumibile dovesse essere decisamente alto.

I vestiti erano un investimento e per questo dovevano scomporsi per adeguarsi a diverse occasioni. Pezzi etra, come si vede in questo caso, potevano essere attaccati sul retro della gonna per la sera o gli avvenimenti importanti.

 

Questo invece un prezioso abito da sposa indossato a Sheffield nel 1851 da Eliza Sneath per il suo matrimonio con Joseph Candlin. Il velo è stato prodotto a Brussels, mentre la spilla in corallo (1840 – 1860) è italiana.

Nella metà dell’Ottocento,mentre gli abiti da donna diventavano sempre più elaborati, quelli maschili si orientavano sulla semplicità e su colori prevalentemente scuri. Un gentleman poteva comunque dimostrare la sua personalità e il suo gusto indossando fantasiosi e originali panciotti. Spesso erano le stesse mogli o le figlie a ricamarli.

Ma l’eleganza non fu più esclusiva prerogativa delle classi alte: con la nascita e la diffusione delle sartorie che producevano abiti di ottima fattura, molti più uomini poterono acquistare vestiti alla moda a prezzi abbordabili. Chi lavorava alla City per esempio cominciò a curare sempre più l’abbigliamento indossando cilindro e cappotto e scegliendo attentamente gli accessori, come bastoni e tabacchiere.

Gli stivali e le scarpe che vediamo sotto in questa vetrina erano per lo più campioni prodotti per esposizioni o competizioni per mostrare l’abilità degli artigiani calzolai.

Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900,  grandi stilisti come Worth e Pingat, riportarono in auge la moda britannica attraendo clienti da tutta Europa e  anche dall’America. Questi alcuni esempi:

Le case di alta moda producevano vestiti fatti interamente a mano, utilizzando pregiate sete ricamate, pizzi e pellicce.

Alcune sartorie cominciarono a riprodurre le ultime tendenze di Alta Moda a prezzi contenuti e lo shopping divenne una attività accessibile a tutti i livelli sociali. Molti indumenti potevano acquistarsi già confezionati e tra questi i corsetti e i diversi tipi di bustini necessari per raggiungere la silhouette alla moda.

Gli stilisti divennero anche più attenti ai materiali, privilegiando tessuti comodi come il jersey di lana e naturali, come il lino e il cotone, utilizzati soprattutto per gli abiti sportivi quali quelli da tennis. Questa tendenza andò via via affermandosi per tutto il 900.

Con l’ingresso del XX secolo la moda europea risentì molto dell’influenza asiatica. Molti stilisti cominciarono ad adottare le linee semplici e pulite dei kimono per creare eleganti mantelli che avvolgevano il corpo di pregiate sete, spesso riccamente ricamate. Paul Poiret fu uno degli stilisti più innovativi del periodo, proponendo per primo una nuova immagine di donna, libera dalle costrizioni del busto, e introducendo nei suoi abiti una vita molto alta, segnata da larghe fusciacche, con pannelli asimmetrici, turbanti e ventagli, tutti di ispirazione asiatica. Queste alcune sue creazioni degli anni 1905 – 1915.

Gli anni ’20 nella moda furono dominati dal look “garçonne”, uno stile moderno e trasgressivo. Delicata seta e chiffon per la biancheria intima, capelli corti accessoriati con cappelli a campana, collane di perle, gonne corte e abiti Charleston. Le scarpe divennero il punto focale dell’outfit.

Gli anni ’20 e ’30 videro quindi una nuova libertà nel vestire per la donna.

Molti stilisti progettarono nuove collezioni incentrate su stoffe innovative come il jersey e idee che potremmo definire rivoluzionarie, come il tailleur-pantalone di Coco Chanel che ne creò anche una versione da sera impreziosendolo con scintillanti paillettes. Si può certamente dire che nessuno stilista abbia fatto nulla di più nuovo da allora. Chanel voleva emancipare la donna e renderla indipendente vestendola finalmente con abiti confortevoli e sportivi, di fattura maschile. Non è dunque difficile immaginare l’ostracismo che affrontò per affermarsi nei suoi primi anni di attività, in un’epoca nella quale l’emancipazione femminile non era certo un argomento scontato né un diritto acquisito. Le sue prime clienti furono le lavoratrici, ma presto divenne conosciuta anche nell’alta società: ricercati dalle più famose attrici francesi dell’epoca, i modelli della sua boutique fecero conoscere il nome di Chanel in tutta Parigi. Una vera rivoluzione che pose i capi maschili al servizio del guardaroba femminile.

Fu in quegli anni che Elsa Schiapparelli, stilista e sarta italiana considerata insieme a Coco Chanel  una delle più influenti figure della moda all’inizio del XX secolo, aprì il suo atelier a Parigi creando nuove fantasiose collezioni. indimenticabili  i suoi abiti sportivi, oppure tessuti con ritagli di giornale, abiti con animali o soli giganteschi. Sia lei che altri stilisti cominciarono anche a produrre profumi per ampliare l’offerta del marchio che, per la prima volta, divenne un brand.

Il look da ragazzina maturò in un glamour sofisticato richiamante l’Art Decò, con abiti aderenti, tagliati in sbieco per meglio adattarsi alle forme, che riprendevano i vestiti a sirena indossati ad Hollywood da Marlene Dietrich.

Anche gli abiti sportivi rappresentarono una grande occasione di libertà per le donne.  Di seguito un meraviglioso abito da tennis in lino bianco, con inserti verdi, di Hepburne Scott del 1926. In prestito alla mostra dal Wimbledon Lawn Tennis Museum la racchetta in legno ‘The Winner’ del 1925 circa di F.J. Bancroft.


Con la Seconda Guerra Mondiale anche la moda divenne più rigida e seria:  si tornò ad adottare uno stile austero e mascolino, con la gonna rigorosamente indossata a lunghezza ginocchio, senza pieghe o disegni decorativi, e giacche dal taglio maschile, con spalle squadrate, in tessuti di lana.

 

Dopo la Seconda Guerra mondiale, la moda divenne importante per la ripresa economica e il prestigio sia della Francia che dell’Inghilterra. Parigi era universalmente riconosciuto come centro del design e della produzione dell’Alta Moda: stilisti come Dior, Balenciaga e Givenchy divennero nomi noti in tutto il mondo.

Le loro collezioni dettavano i cambiamenti di stile, puntando sull’alta qualità dei tessuti e della sartoria. Ogni modello veniva ordinato e creato su misura per la specifica cliente. Ad ognuna di loro si offrivano, a completamento dell’outfit, anche biancheria intima, gioielleria e profumi. Nascevano in quegli anni le prime boutiques.

 


Ed eccoci ai rivoluzionari anni ’60, quando una nuova generazione di stilisti porta una ventata di nuove idee per la produzione e la vendita di vestiti. Parte dall’Inghilterra con Mary Quant e il lancio della minigonna la sfida alla moda parigina finora incontrastata dominatrice. Vengono aperte con grande successo boutique a prezzi modici e si sperimentarono nuovi materiali, come la plastica e la carta.

Iniziano anche ad emergere stilisti italiani, come Emilio Pucci che creavano abiti sofisticati per il jet set. Pucci diventò uno dei primi a proporre uno stile firmato per rappresentare l’appartenenza ad uno stato sociale alto. Stampava le sue sete sia per donne che per uomini usando i suoi particolarissimi disegni a colori vivaci che riprendevano il mood psichedelico tipico degli ultimi anni 60 e dei primi ’70.

Gli anni ’70 sono contraddistinti da una moda che  diventa particolarmente vistosa. Sia gli uomini che le donne portavano i capelli lunghi, pantaloni a zampa d’elefante e i mercatini vendevano abiti hippie molti dei quali provenienti dall’India. Biba a Londra divenne una attrazione magnetica per i ragazzi: vendeva vestiti, accessori, trucchi e anche oggettistica, tutte con la caratteristica etichetta nero e oro. Le magliette ed i vestiti avevano maniche strette e i colori della terra, mentre i vestiti da sera riprendevano lo stile anni ’30.

Tra il 1975 e il 1985  i negozi di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren furono il centro dell’emergente movimento punk di Londra che influenzò la grafica, la musica e la moda con le sue posizioni anti-establishment e androgine. Influenti in quegli anni il designer inglese John Galliano con la sua mitica collezione ispirata alla rivoluzione francese che lo portò alla guida di Givenchy prima e Dior poi e gli stilisti giapponesi Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo (che disegnava sotto il nome di Comme des Garcons) il cui lavoro cambiò totalmente il concetto di fashion con modelli over-sized e asimmetrici, spesso in nero.

La Fashion Gallery  del Victoria and Albert Museum ha recentemente acquisito nella sua collezione (nel 2016) anche tre vestiti appartenuti a Margaret Thatcher e definiti “iconici” donati alla celebre istituzione londinese da Mark e Carol Thatcher e da Michael e Amanda Thatcher, rispettivamente figli e nipoti della defunta ex premier britannica. Lo stile severo e demodè della lady di ferro diventa dunque oggettistica da museo, grazie a tre abiti e a un cappellino tra i quali  uno di colore blu – il colore del Partito Conservatore – firmato Aquascutum e indossato dalla Thatcher nel giorno delle ultime elezioni politiche da lei vinte nel 1987, l’abito  indossato dalla leader conservatrice il giorno delle sue nozze, e la sua famosa borsetta nera Launer, vera e propria icona del potere nell’era thatcheriana. Margaret Thatcher capiva tutto il potenziale della moda per valorizzare la sua forte personalità e infondere fiducia e utilizzava i suoi look come strumento per proiettare tutto il suo potere.

 


Radical Fashion – 1990. In quegli anni intanto le collezioni che sfilavano a Milano e Parigi diventavano veri e propri eventi nel calendario della moda internazionale Il trend di quegli anni era dominato dai colori sgargianti e i look appariscenti disegnati da stilisti come Jean-Paul Gaultier. Alla fine degli anni ’90 però cominciò a preferirsi un lusso meno ostentato e loghi ed etichette cominciarono ad essere nascosti in favore di una essenza più funzionale. Sono gli anni del minimalismo di Calvin Klein, Helmut Lang e successivamente di Nicolas Ghesquiere per Balenciaga. Intanto internet, con i suoi siti internazionali e i piccoli blog, aveva un impatto potentissimo sulla moda: i giornali online e i siti di vendita sul web offrivano nuove opportunità che potevano andare oltre le sfilate delle grandi firme.


Ed eccoci giunti alla fine della nostra visita con gli anni della contemporaneità, quelli che vanno dal 2012 al 2015 nelle collezioni di Londra con un occhio di riguardo per la moda maschile, punto di forza del fashion inglese. Ed ecco modelli di Jonathan Saunders, Craig Green, Chrispopher Shannon, James Long e Liam Hodges e le loro ‘Collezioni Uomo’. Gli outfit sono parte del guardaroba personale del giornalista di moda Charlie Porter.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *