La morfologia e la bellezza di un luogo sul litorale nord della città di Brindisi, l’area di interesse storico naturalistico di Punta Penne – Punta del Serrone, proposta da Brundarte attraverso la relazione del Prof. Franco Magno per la pubblicazione I Bronzi di Brindisi, Nuova Meridiana, 1992 e le fotografie del nostro Mario Carlucci.
“I fattori climatici (eustatismo) e strutturali (tettonica) che hanno caratterizzato il territorio brindisino dal Pleistocene (1.4 milioni di anni fa) a tutt’oggi, sono i responsabili non solo della morfogenesi costiera brindisina ma anche della presenza antropica lungo la costa. Non avremmo avuto, infatti, le fornaci di Apani e di Giancola, se l’erosione delle acque meteoriche non avessero fatto traboccare l’imponente falda di acqua dolce; la stessa è impedita a risalire da una coltre di argilla il cui spessore si riduce progressivamente dall’ansa portuale di Brindisi, verso Torre Guaceto.
Alle argomentazioni storiche ed archeologiche seguite alla scoperta dei bronzi di Punta del Serrone, uno degli aspetti finora poco esaminati è quello relativo alla località in cui il ritrovamento è avvenuto. L’area è infatti prospiciente ad una porzione di linea di costa che, per le proprie caratteristiche geologiche, morfologiche, genetiche e geografiche, si differenzia sostanzialmente dalla restante linea costiera settentrionale che si spinge fino all’area umida di Torre Guaceto.
I fattori climatici e tettonici hanno caratterizzato la composizione geologica della costa facendo si che si venissero a formare tutta una serie di sedimenti che dal basso verso l’alto, in rapida successione, possono definirsi come: calcari (che costituiscono l’ossatura rigida della Puglia), calcareniti (tufi calcarei), argille (che ricoprono tutta la ‘Conca di Brindisi’ con spessori variabili dai 4-5 mt. nella zona di Torre Guaceto ai 50-60 mt. nella zona di Punta Cavallo), l’unità ‘Panchina’ (costituita da livelli arenacei rigidi e da sabbia) e per ultima, la così detta “Arenaria del Pleistocene II’ che altro non è che il nostro comune ‘scoglio’. Questo ultimo ha avuto origine circa 3-400.000 anni fa dall’aggregazione e quindi litificazione di semplici particelle di sabbia e di fossili.
L’unità delle ‘Arenarie del Pleistocene II’ caratterizza, ad esclusione di alcuni tratti, tutta la costa posta a nord di Brindisi, dagli “scogli di Guaceto ed Apani” a Materdomini e quindi anche la zona antistante il ritrovamento dei bronzi.
Queste arenarie, mentre a Nord di Punta Penne sono poste nella parte sommitale della linea di costa (falesia), invece da Punta Penne a Materdomini costituiscono l’unica unità geologica presente e caratterizzano questa ultima porzione di costa.
Il tratto di costa settentrionale, è caratterizzato da fenomeni di forte erosione della linea di costa a causa sia della costituzione geologica che della esposizione ai venti dominanti provenienti dal quadrante di Nord.
Una tale condizione ha portato, per millenni, ad un naturale arretramento della costa tant’è che gli scogli di Apani e Guaceto rappresentano gli “ombelichi“ strutturali rigidi di una costa che tutt’attorno è stata erosa.
Questa porzione di costa a Nord di Punta Penne ha ‘senilità’ morfostrutturale con allineamenti costieri che seguono l’asse del litorale e residue strutture più tenaci e quindi maggiormente resistenti alle azioni erosive (Giancola, Acque Chiare, Punta Patedda ecc.). ma destinate ad essere totalmente smantellate nel tempo dalle azioni dei marosi, delle correnti e dei venti dominanti.
Il sistema litorale meridionale, rispetto a Punta Penne e fino a Materdomini, presenta invece una forma strutturale geologicamente “giovanile” e quindi, fortemente frastagliata e poco esposta alle azioni erosive delle correnti, dei venti e dei marosi; in effetti l’orientamento è tale che le azioni erosive più intense si hanno con venti provenienti da E e SE e quindi con il così detto ‘Grecale’.
Quante volte percorrendo la litoranea in una burrascosa giornata di tramontana abbiamo osservato il rifrangersi delle onde sulla linea del bagnasciuga fino a Punta Penne ed invece una quasi totale assenza di onde, se non quelle dovute all’azione meccanica del vento, fra Punta Penne e la spiaggia dei Carabinieri. L’origine dei due distinti sistemi litorali è da individuare in un episodio tettonico locale e recente (40-50.000 anni fa) che ha portato all’innalzamento del territorio ed alla genesi di una costa alta (falesia) a Nord di Punta Penne e a Sud l’abbassamento della porzione di costa fino a Materdomini. Questa ipotesi viene a concretizzarsi con l’osservazione degli “scogli” posti fra Punta Penne e Materdomini che presentano un allineamento comune ed una forte inclinazione degli strati.
L’abbassamento di questo tratto di territorio costiero ha portato all’immersione delle unità geologiche più giovani ma più resistenti quali la “Panchina” e le “Arenarie del Pleistocene II”; con ciò, quindi, ipotizzo, non avendo visto una batimetria dettagliata dell’area, un fondale esclusivamente scoglioso e basso per un ampio tratto di mare e successivamente leggeri salti, fino ad un fondale sabbioso, derivante dal deposito e dal trasporto delle correnti marine e poggiante sulle argille azzurre.
Volendo ipotizzare la paleogeografia di 20-21 secoli fa si può pensare che il livello del mare fosse qui più basso dell’attuale di circa 2 mt. in quanto ci si trovava in un periodo di microglaciazione con temperature medie più fredde e quindi con un avanzamento dell’attuale linea di costa sempre molto “giovanile” e frastagliata nella zona di Punta del Serrone; Punta Penne era più estesa nel mare ma senza la concavità settentrionale esistente oggi (“Granchio Rosso” “Lido Risorgimento” ecc.). Tutta la zona a Nord di Punta Penne presentava una linea di costa avanzata almeno di 100-130 mt. rispetto all’attuale.
In definitiva la struttura geologica dell’area del ritrovamento dei “bronzi” presentava e presenta tutt’ora una maggiore rigidezza strutturale costituita dalle arenarie e dalla “panchina” che globalmente hanno uno spessore di circa 13-15 mt.
Oltre tale profondità possono trovarsi, fino a 17-18 mt. blocchi di arenaria erratici e sabbia; a profondità maggiori, nel tratto in esame solo sabbia di trasporto e deposito poggiante sulle argille.
In una tale situazione una imbarcazione carica di oggetti pesanti, quali i bronzi, proveniente dal Nord ed in presenza di forti venti di tramontana, poteva trovare riparo a Sud di Punta Penne e quindi nella zona di Punta del Serrone. E qui, magari, liberarsi di una parte del carico per alleggerire la stiva.
Fino ai giorni nostri la morfologia costiera ha continuato a modificarsi, a modellarsi, in funzione sia delle variazioni climatiche che hanno portato ad un generale innalzamento medio della temperatura e quindi del livello del mare ma anche e soprattutto dalle azioni erosive che la costa va subendo. Queste ultime azioni erosive, sono dovute sia a fenomeni naturali come l’eustatismo positivo, l’innalzamento del livello del mare, ma anche ad azioni antropiche che per il continuo emungimento della falda profonda stanno provocando a Nord di Punta Penne e fino a Torre Guaceto un fenomeno di abbassamento dell’area costiera (bradisismo negativo).
A causa di questi due effetti congiunti si verifica un’amplificazione del fenomeno erosivo costiero con una perdita media di circa 0.5-1 mt. ad anno di bagnasciuga e quindi una continua riduzione delle aree di spiaggia fruite dalla cittadinanza.
Ben vengano quindi gli inorgoglimenti per i ritrovamenti di depositi culturali quali quelli di “Punta del Serrone” ma si inizi anche a pensare seriamente a proteggere le nostre spiagge, i nostri litorali che appartengono anch’essi alla cultura ed alla storia di noi brindisini.”
Franco Magno