Una nota pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 12 aprile 2018 curata da Katiuscia Di Rocco, direttrice della Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo”, sul percorso che ha portato all’istallazione artistica realizzata dai ragazzi dell’IPSIA G. Ferraris per la Giornata della Memoria ed oggi posta all’ingresso della segreteria dell’Istituto.
Aldo Moro in un discorso tenuto a Brindisi nel 1976 in un’assise di 60 insegnanti diceva:
“Vorrei dire che sono venuto intenzionalmente a Brindisi. Ho scelto di essere in questa città, seppure per un brevissimo tempo, per indicare come io mi senta legato a tutta intera questa terra di Puglia. Quindi desideravo da tempo di dare a Brindisi un segno di attenzione e di attaccamento. L’occasione offertami è questa imponente assemblea di insegnanti della nostra scuola. Sentiamo che il compito di costruire questa società spetta alle generazioni che si susseguono, che si affacciano alla vita, e spetta quindi necessariamente alla scuola come strumento educativo d’importanza fondamentale nella nostra società. Quella società democratica, pacifica, solidale, nel mondo che abbiamo, malgrado tante difficoltà, in notevole misura costruito nel corso di questi anni, ma che sentiamo di dovere costruire ancora, di dovere costruire in maniera sempre più profonda, sempre più seria, sempre più efficace”.
Secondo Aldo Moro la scuola era (ed è) una arena di preparazione, un tramite di efficaci ed utili apprendimenti, una organizzatrice delle notizie, in una sintesi umana. Concetti che tornano tutti all’improvviso in mente davanti alla geniale e delicata istallazione artistica realizzata dai ragazzi dell’IPSIA G. Ferraris per la Giornata della memoria scorsa ed oggi all’ingresso della segreteria dell’Istituto.
Nel particolare l’istallazione è stata curata dal prof. Franco Santoro e dal collaboratore Vincenzo Costantini su idea della prof.ssa Simona Santoro ed i ragazzi interessati con grande abilità sono stati Mario Broccio, Davide Cagnazzo, Giuseppe Pipino e Jago Giordano. Questa istallazione è stata il punto di partenza per un incontro svoltosi nel “Laboratorio Voci in Movimento” tra le terze, le quarte e le quinte classi dell’IPSIA G. Ferraris e la Biblioteca Pubblica “A. De Leo” di Brindisi, incontro fortemente voluto dalla dirigente, la prof.ssa Rita Ortenzia De Vito, e dalla vicepreside, la prof.ssa Enza Caretto.
Un modellino di un campo di concentramento intitolato “Il numero 4-5506” in ferro lavorato al tornio e in saldatura e componenti elettrici. L’esigenze della scuola sono che bisognerebbe erompere nella vita democratica del paese perché “occorre l’uomo” come diceva l’on. Carlo Scarascia Mugnozza. Le istituzioni democratiche sono una cosa estremamente importante, ma senza il sostegno e la consapevolezza, il senso di misura e la responsabilità dei cittadini che si stanno formando purtroppo avrebbero breve durata.
Parlare della storia del Novecento attraverso i documenti originali, le storie e le foto dei protagonisti non lascia spazi all’ignoranza o all’immaginazione. Gaetano De Vita, Beppe Patrono, Giovanni Guareschi, Giovanni Sforza, Giacomo Matteotti, il Memorial Museum, l’Istituto Parri, il Museo dell’Internamento, Aldo Moro, Carlo Scarascia Mugnozza passando attraverso i codici miniati e l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert posta sotto censura e ora custodita e messa a disposizione in un’istituzione aperta tutti i giorni e presente nel nostro territorio, la biblioteca “A. De Leo”.
Pare che questo rappresenti il culmine dell’educazione civica che ci si propone di impartire: dare ad ogni giovane, ad ogni cittadino il senso della sua responsabilità nei confronti degli altri e non solo nell’ambito del proprio Stato, ma nel più vasto contatto per definire i giovani costruttori di vera libertà, di giustizia e di pace. Il ragazzi si sono azzittiti dinnanzi alla testimonianza di un internato e del dramma dell’esercito italiano scoppiato alle 19,45 dell’8 settembre 1943, quando il dramma si trasformò nel giro di poche ore in tragedia per centinaia di migliaia di soldati abbandonati a se stessi nell’ora forse più tragica dall’inizio della guerra. 600.000 deportati nei lager tedeschi o più precisamente in Stammlager o Stalag, dopo aver attraversato l’Europa in un viaggio fatto di stenti, umiliazioni e grandi mancanze. Il tifo petecchiale, la tubercolosi, le oligoemie, gli edemi da fame, l’assoluta mancanza di medicine e la persistente scarsità di cibo. Gli estenuanti trasferimenti da campo a campo, gli interminabili appelli nella neve, le continue umiliazioni, le percosse, le esecuzioni sommarie di singoli e collettive, per infrazioni disciplinari anche lievi.
I giovani cittadini di un domani che è già oggi hanno rispettato con l’ascolto e senza profanazione la vita di chi non ha vinto una guerra, ma ha scritto la Storia. Il racconto di chi è morto per una libertà oggi poco consapevolizzata, una guerra combattuta senza armi, fatta di resistenza alla fame, al freddo, alle violenze e al lavoro coatto, fatta di sopraffazione fisica, morale e spirituale per questi “sporchi badogliani” “traditori”.
I ragazzi hanno visto le lettere degli internati alle loro famiglie scritte negli appositi stampati, comprendendo subito con i guizzi tipici di un’età bugiardamente definita “assopita” e “cieca” che le lettere erano inviate aperte per consentire un rapido controllo da parte della censura.
Un percorso con un incipit certo, la biblioteca come luogo di scambi, condivisione ed arricchimento, e una fine precisa, la memoria come responsabilità che ci si deve assumere. Il corpo del percorso invece è stato plasticamente costruito con i ragazzi attraverso l’ars maieutica, metodo dialogico fatto di domande e risposte tali da spingere i giovani interlocutori a ricercare dentro di sé la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma.
Il fine ultimo è stato raggiunto oltre ogni più ardua aspettativa: conoscere una delle più ricche e antiche istituzioni del territorio con la voglia di tornarci e avere la consapevolezza che senza memoria, e la memoria si costruisce con i documenti, non si esiste e senza responsabilità forse non si merita di esistere.