Il 6 marzo 1991 si affacciarono sul porto di Brindisi, dove furono bloccate dalla Capitaneria, due grosse navi albanesi, la “Tirana” e la “Liriya”, con il loro carico umano di 6.500 persone. A queste due grosse imbarcazioni, durante la notte, se ne aggiunsero altre. Fu solo verso le 10 del mattino del giorno dopo che venne permesso alle navi di attraccare e ai profughi di scendere a terra.
La banchina Sant’Apollinare del porto di Brindisi si riempì di una umanità stremata e malandata che richiese la mobilitazione di tutti: polizia, carabinieri, vigili urbani e Capitaneria di porto, nel tentativo di contenere l’enorme folla assetata e affamata, in un continuo correre di ambulanze. In mare, una processione interminabile di imbarcazioni continuava ad arrivare sino a raggiungere in quella sola giornata quota 15.000 profughi.
Nelle ore successive sarebbero diventati 27.000.
Abbiamo avuto la possibilità di spulciare sul Quotidiano di Brindisi, uno dei giornali locali che maggiormente si interessò alla cronaca di quei giorni, e ne abbiamo colto una serie di fatti e curiosità che possono dare un’idea dell’atmosfera che si respirava in città dopo il primo sbarco di massa d’immigrati, che coglieva del tutto impreparati cittadini, governo e istituzioni locali.
Cronistoria:
Venerdì 8 marzo 1991 – A Brindisi è l’inferno. Sul molo già migliaia di profughi affamati. La situazione è precipitata con lo sbarco di altri 5.000 albanesi. Scene strazianti e violenza. Brindisi invasa da profughi stanchi e feriti.
La prima ad attraccare alla banchina della Stazione Marittima è stata la “Liriya” con un numero incalcolabile di persone a bordo, forse 4.000, in grappoli umani che hanno finito per piegare l’imbarcazione. Gente stremata, si è buttata sulla banchina piangendo, chiedendo soprattutto acqua. Le prime ambulanze sono accorse per portare in ospedale i feriti, le mamme in attesa di figli, i bambini pallidi e con gli occhi cerchiati.
Pochi minuti dopo è arrivata la “Kallmi” con circa 1.000 persone che invadevano insieme ai loro connazionali l’intera Stazione Marittima a malapena recintata da un cordone umano improvvisato dalle forze dell’ordine.
Mezz’ora dopo la “Tirana” con altre 3.000 persone a bordo attracca sul molo di Sant’Apollinare. La nave è più grande e i profughi vengono lasciati a bordo ancora per qualche ora. Ma anche lì ci sono feriti, donne in stato interessante e bambini di pochi mesi distrutti dal viaggio e dal forzato digiuno.
Ma il peggio deve ancora arrivare. A mezzogiorno pochi dipendenti dell’assessorato ai servizi sociali del Comune e i volontari della Croce Rossa Italiana arrivano nella Stazione Marittima con i viveri: bottiglie d’acqua e di latte, pacchi di biscotti e pane. Quel precario, improvvisato punto di distribuzione viene visto come un miraggio nel deserto. In migliaia sgomitano, si spingono, si calpestano per raggiungere l’acqua, il latte e qualcosa da mettere sotto i denti. E si fanno male. A decine finiti sotto le scarpe dei connazionali assetati ed affamati, vengono feriti. Altri nella incredibile ressa svengono. La stessa scena si ripete nel pomeriggio per un’altra distribuzione di bevande e di viveri. E’ una lotta per la sopravvivenza. Un inferno.
Brindisi non riesce a reggere questo impatto tremendo. Sono tutti mobilitati: polizia, carabinieri, capitaneria di porto. Ma migliaia di persone sono difficili da gestire. I cordoni delle forze dell’ordine non reggono. I profughi cercano di sfondarli e si teme un’invasione della città. La fame dei profughi potrebbe portare all’assalto di negozi di generi alimentari, di ristoranti e di bar.
Si ricorre ai manganelli e Corso Garibaldi viene chiuso al traffico sia per favorire il passaggio delle ambulanze che per tenere sotto controllo la situazione dal punto di vista dell’ordine pubblico. Qualche profugo nella ressa cade in acqua dalle banchine.
Ma gli arrivi non erano finiti e fino alla sera continuano ad arrivare navi e pescherecci carichi di profughi. Di questi, la nave “Legend” è la più grossa e porta un carico di circa 5.000 persone.
Man mano che calava il buio la situazione si è aggravata. Botte tra albanesi per un tozzo di pane, esasperazione. Alcuni si sono spogliati per protestare contro la forzata prigionia nel porto. Altri hanno devastato autovetture e transenne per cercare un’inutile via di scampo. Un gruppo ha acceso un falò per riscaldarsi sulla nave “Tirana”. E non si escludono ritorni in patria.
Ieri voleva tornare in Albania proprio il comandante della Tirana assieme a 1.500 profughi delusi dall’accoglienza ricevuta. In nottata si vivevano momenti di vera e propria guerriglia. Una situazione apocalittica secondo la Prefettura.
Sabato 9 marzo 1991 – Requisite le scuole, ma c’è il rischio di epidemie. Dramma profughi risposte carenti.
Solidarietà continua della città. Si aprono case e centri di raccolta. A sostituirsi allo Stato sono stati il Comune di Brindisi con i suoi impiegati e i delegati sindacali di CGIL/CISL/UIL. Intensa è stata l’attività sia nel Centro per gli anziani di via Tarantini che nelle sedi delle confederazioni. Sono stati impiegati gli operai a distribuire alle ore 12 e alle 18 i pasti arrivati da Taranto in camion che si sono concentrati davanti al Tribunale di Brindisi.
I sindacalisti lamentano l’assenza assoluta dello Stato: Gli arsenali militari di Brindisi e Taranto sono disponibili ad offrire materassi e coperte, ma nessuno li richiede e i profughi continuano a dormire nelle scuole sui nudi pavimenti. Il grande magazzino Oviesse è disposto a dare gratuitamente biancheria intima, ma nessuno la va a prendere.
Punti di raccolta e distribuzione sono aperti presso il Partito Democratico della Sinistra, presso la Caritas, presso tutte le parrocchie e presso istituti ecclesiastici come il Convento delle Suore Vincenziane di piazza Duomo. La circoscrizione comunale di S. Elia, la scuola elementare del 9° circolo e la Parrocchia di S. Lorenzo hanno organizzato un comitato rionale di coordinamento.
Persino i detenuti della casa circondariale di via Appia hanno dichiarato di essere disponibili ad offrire le loro coperte agli albanesi ricoverati nelle scuole.
Continua poi la solidarietà della gente che per strada offre soldi, sigarette, sacchetti colmi di viveri e indumenti puliti. Ieri, con la pioggia, diversi brindisini hanno persino regalato ombrelli ai profughi che vagavano per la città.
Bambini affidati alle famiglie. Sono oltre 1.500 i bambini e i ragazzi albanesi arrivati a Brindisi. Il Tribunale dei minori ha dato il via ad un’operazione: quella dell’affidamento temporaneo di questi bambini e ragazzi per il momento soli, a famiglie previa notifica del provvedimento al Tribunale.
E già sono numerose le famiglie che si sono dichiarate disposte ad ospitare questi bambini soli sino a quando non saranno rintracciati in qualche modo i genitori. Per questi bambini trovare ospitalità, assistenza ed affetto in una famiglia è certamente meglio che essere sistemati in una scuola, dormendo per terra e senza assistenza.
Nelle buste di plastica sotto le stelle. La prima notte in Italia di una moltitudine affamata.
L’Enichem su richiesta della Prefettura di Brindisi ha dato ieri sera la sua disponibilità ad ospitare i circa 15.000 profughi albanesi, arrivati nel giro di poche ore a Brindisi nei capannoni ex Montecatini che si affacciano sul porto. (..) Ma la macchina organizzativa ha stentato a ingranare, E la Croce Rossa Italiana, previdente, ha distribuito ai profughi, reduci da viaggi disastrosi e stanchi, buste trasparenti di plastica nelle quali dormire all’aperto, sulle banchine, ammucchiati per terra e al freddo. Alcuni hanno dormito su vagoni ferroviari adibiti al trasporto auto e coperti da teli di plastica.
Quasi tutti masticano l’italiano grazie alle trasmissioni televisive della Rai e delle tv locali che seguono assiduamente in Albania. E quasi tutti hanno una gran voglia di discutere liberamente e di spiegare i motivi della loro fuga. Molti parlano delle loro aspettative in Italia: trovare lavoro, vivere una vita dignitosa, farsi raggiungere dai parenti rimasti in Patria.
Arrivano le prime offerte di lavoro da tutto il Paese. Alcune, inopportune, subito respinte.
Vorrei assumere una collaboratrice domestica albanese, ma sarei più contento se avesse gli occhi chiari, i capelli neri, e se fosse di altezza media e ben formata. La telefonata è arrivata ieri mattina alla Prefettura di Brindisi. Dall’altra parte del telefono c’era un signore che si è qualificato come un professionista di Livorno. L’impiegata della Prefettura non ci ha pensato due volte, ha abbassato la cornetta senza rispondere; a parte casi isolati, in soli due giorni sono arrivate da diverse città del Centro-Nord offerte di lavoro per gli albanesi. Non si tratta per il momento di aziende ma di singole persone disposte a dare uno stipendio minimo a chi non ha di che vivere.
Domenica 10 e lunedì 11 marzo 1991 – Vergogna di Stato, soltanto la solidarietà della gente. Profughi albanesi allo sbando. Sempre più grave la situazione a Brindisi.
Il governo corre ai ripari. Il ministro De Michelis ha annunciato misure straordinarie ed è stato disposto anche l’intervento dell’Esercito. Ma per Andreotti “la Protezione Civile non ha la bacchetta magica”.
Una nottata ancora sul porto. Alcune migliaia di profughi hanno passato anche questa notte sul molo del porto di Brindisi. Gli altri hanno trovato dei posti precari in alcune scuole messe a disposizione da parte del Comune, ma hanno dovuto dormire per terra e senza coperte. Ma in questa situazione basta un tetto perché siano considerati privilegiati.
Rischio epidemie: il problema sanitario sta per esplodere con il rischio di epidemie di scabbia e di rogna. Ieri l’ospedale di Brindisi era intasato con il ricovero di circa 200 albanesi. Le condizioni igieniche sono al collasso: non c’è acqua ed i bagni sono bloccati.
Il primo vagito nel “Di Summa”. Nel reparto di ostetricia dell’ospedale Di Summa è nata la prima bambina figlia di profughi albanesi sbarcati nei giorni scorsi. Pesa tre chili e 200 grammi ed è in buone condizioni. Sta bene anche la madre, Eva Froku, di 28 anni. Dice la puerpera che il nome lo sceglierà insieme al padre però una cosa è certa: sarà un nome italiano.
Fuori dal Di Summa, sul piazzale dei parcheggi, molti albanesi aspettano. Nel gruppo c’è anche un uomo di mezz’età, il volto segnato. Ha gli abiti sporchi ma indossa giacca e cravatta. Si presenta al giornalista: “Mi chiamo Caush Coru ho 41 anni e sono un esule politico. Sono uno scrittore ed un poeta ed ho trascorso ventidue anni in un carcere dell’Albania per aver scritto contro la dittatura comunista”. Poi estrae di tasca un foglietto e mostra il timbro stampato della scuola media Mameli di Brindisi, dov’è alloggiato insieme ad altri 600 connazionali. “Stiamo lì come bestie”, dice, “niente letti, niente cibo, niente vestiti. Il vostro governo ci sta trattando come uomini senza dignità, senza un briciolo di amor proprio. Credevamo che questo fosse un Paese democratico, ma non lo sta dimostrando.
Martedì 12 marzo 1991 – E’ tutto sulle nostre spalle. Esercito assente. Il Comune è allo stremo.
Quasi tutte le iniziative, dice il sindaco Marchionna, sono affidate al volontariato: 80 impiegati comunali, 50 volontari della Caritas, 60 delegati di CGIL, CISL e UIL, 30 del Centro Sociale, 5 dei Servizi di Emergenza Radio. In tutto circa 250 persone che lavorano giorno e notte per i profughi.
I pasti caldi (compresi mille garantiti ieri dal Partito Democratico della Sinistra) vengono distribuiti dal personale comunale e dai volontari. L’esercito garantisce ai meno fortunati esclusi dal pasto caldo “razioni K”: un barattolo di pasta e fagioli, uno di gelatina, 2 bustine di caffè solubile, una piccola bottiglia di cordiale, due zollette di zucchero e due pacchetti molto simili con su scritto “combustibile”. Servono per scaldare i pasti in un apposito vassoio, ma gli albanesi non comprendono la lingua italiana e rischiano di mangiarli.
I controlli. Mentre le forze dell’ordine e il Comune cercavano di censire gli albanesi dando loro un cartellino di riconoscimento, la Protezione Civile ha caricato sui treni centinaia di profughi a casaccio senza verificare dove si trovava il resto della famiglia. La confusione è enorme e le tragedie umane di mogli, mariti, figli, sorelle e fratelli dispersi, non si contano più.
La gente albanese non conosce la lingua italiana, vaga per le strade, si perde. Ma i problemi più urgenti sono quelli igienici e sanitari. Troppa promiscuità, pochi aiuti per la pulizia personale dei profughi e dei luoghi insani nei quali sono costretti a vivere.
La generosità dei brindisini non conosce soste. Ma oggi non serve più regalare cibo e indumenti. Serve altro: prodotti per l’igiene e soprattutto ospitalità. E non sono poche le famiglie brindisine che stanno ospitando nelle loro abitazioni alcuni profughi.
Speaker albanesi alle radio locali. Gli appelli si susseguono in modo incessante in lingua albanese: ad aprire i microfoni alla solidarietà sono state alcune radio private brindisine che hanno deciso di lasciare da parte le canzonette per mettersi al servizio dei profughi. Intere famiglie vagano per la città alla ricerca di congiunti: un dramma nel dramma.
Domenica sera ( 10/3/1991 interviene la RAI) – anche la trasmissione televisiva di Rai3 “Chi l’ha visto“ ha dedicato un ampio spazio alla situazione degli albanesi a Brindisi. La giornalista Donatella Raffai ha organizzato un collegamento diretto dalla scuola elementare Perasso: con l’ausilio delle informazioni già in possesso delle due radio brindisine e con i mezzi di una delle più popolari trasmissioni tv, la Raffai è riuscita a far ricongiungere alcuni gruppi familiari. Struggente è stato il dialogo tra la donna albanese che ha telefonato da Napoli e i due figlioletti che ha riconosciuto in televisione.
Mercoledì 13 marzo 1991 – Faticoso esodo dei profughi
La prefettura sforna un piano che dovrebbe ridurre la presenza dei profughi albanesi a Brindisi nelle scuole a 4.150 unità. Gli altri verranno trasferiti in alberghi e campeggi della provincia o trasferiti con i treni in tutta Italia. Sino alla mattina del giorno precedente (12/3/91) erano ancora 12.100 i profughi alloggiati nelle scuole brindisine; e, ovunque nel brindisino crescono le iniziative di solidarietà cui partecipano associazioni, sindacati e istituzioni.
Venerdì 15 marzo 1991 – Lattanzio accusa Marchionna. La replica: “Avrei subito chiamato l’esercito”
Il ministro della Protezione Civile Lattanzio, quando dopo quattro giorni di situazione ingovernabile gli viene chiesta giustificazione dei ritardi dello Stato nei soccorsi – il sindaco Marchionna infatti lamentava di esser stato lasciato solo e senza poteri – risponde: “E’ stata una strategia del governo per scoraggiare, mandando quelle immagini disperate in Albania, altri esodi verso l’Italia. Rendetevi conto che qui è arrivata gente senza passaporto.”
Cala l’emergenza a Brindisi ma cresce in provincia. Volontari stremati, serve l’esercito.
Il sindaco di Ostuni Michele Zurlo ha detto che il bilancio del suo comune è praticamente saltato. Carovigno ha enormi problemi organizzativi. I vertici della USL Br/2 sono nel caos.
I pentiti. La prefettura ha confermato che i circa 1.500 albanesi che hanno deciso di rientrare in patria saranno lasciati partire, e che il governo provvederà ad agevolare il viaggio. I profughi che hanno deciso di tornare in Albania temono di perdere l’ultima occasione per lasciare in fretta l’Italia. Non si fidano, pensano che abbandonare il porto significhi finire in un campo chissà dove.
Negli ospedali, c’erano 243 profughi con patologie riferite a malattie da raffreddamento e gastroenteriti; ma ci sono anche diverse patologie ginecologiche, un paio di casi di epatite virale tipo A, traumatizzati e malati di scabbia.
Molte le ferite lasciate in città. Dice il sindaco: Scuole ridotte a dormitori che hanno bisogno di interventi radicali di ripristino, impegno straordinario del servizio di nettezza urbana, blocco di molte attività produttive per quasi dieci giorni, bilancio comunale saccheggiato per acquisto di alimenti, sistemazione negli alberghi, potenziamento dei servizi.
“Venite a lavorare con noi”. Sparite due giovani donne. Il rischio di un racket della prostituzione.
Vi assicuriamo un inquadramento professionale, contributi e stipendio. Le ragazze si sono consultate con i mariti e un po’ per la povertà e insicurezza nel futuro, ed un po’ per ingenuità e per fiducia cieca negli italiani e nei brindisini tanto “buoni e generosi”, le due coppie hanno deciso che l’occasione non andava persa.
Ma Terezina Dada 27 anni, e Katerina Dhimiter Prifti di qualche anno più giovane, non sono più tornate.
Stato asmatico e senza Protezione Civile. Occhetto: “E’ una vergogna”.
Anche il segretario del Partito Democratico della Sinistra ha visitato gli ex capannoni della Montecatini dove dormono centinaia di profughi vaganti per la città e dove la pulizia è ancora un’utopia, il Liceo Scientifico Fermi che fa da ricovero ad un migliaio di profughi e l’Ospedale Di Summa.
Non ho fiducia nella Protezione Civile ha detto Occhetto, ma a Brindisi si è dimostrata più incapace del solito. Non si tratta solo di imprevidenza e di incuria da parte del governo, ma anche di un tentativo di scoraggiare gli albanesi al ritorno omettendo i soccorsi.
Denuncio questa politica cinica e vergognosa che avrebbe portato ad un vero dramma se non ci fosse stata l’abnegazione della città di Brindisi. A sostegno di questa tesi Occhetto fa alcuni esempi: il battaglione S. Marco non è stato assolutamente utilizzato, e nessuno ha pensato a ricorrere per l’ospitalità di albanesi alla nave S. Giorgio. Occhetto ha proposto la costituzione di una centrale di emergenza, la stesura di un piano di spostamento profughi, un censimento dei profughi, interventi sanitari, la sistemazione dei minorenni abbandonati, il risarcimento danni al Comune di Brindisi.
Proposta de “La Voce Repubblicana”: Brindisi merita la medaglia d’oro.
“Lo Stato è mancato per giorni a Brindisi. La città, la gente comune, il Municipio con i suoi limitati mezzi hanno tentato il possibile, insieme al volontariato laico e religioso. La città merita per questo la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Lo Stato merita invece tutte le censure, perché la vergogna che è avvenuta andava evitata, e perché la Protezione Civile c’è apposta per scattare al più presto quando ci si imbatte in calamità impreviste: è quanto riportava ieri “La Voce Repubblicana” quotidiano del PRI.”
Si ringrazia l’amico Mario Carlucci che ci ha messo a disposizione le copie dei giornali
Innanzitutto, grazie per l’articolo che mi è piaciuto moltissimo. Per ragioni di lavoro, ho vissuto direttamente gran parte dell’esperienza che voi narrate benissimo; all’epoca ero il dirigente della “Unità Tratti di Linea di Brindisi ” delle Ferrovie dello Stato, cioè il responsabile delle F.S. da Bari Torre a Mare a Lecce e da Brindisi a Francavilla Fontana. Su quella esperienza ho scritto un libro, senza pretese, da ex ferroviere: “Io, un arberesh”- Editore Progedit Bari. Mi piacerebbe stabilire un contatto con la vostra Redazione. Cordialità. De Padova Cosimo, viale Japigia,84 -70126 – Bari – tel. 080.5535191 – cell. 3917092502.
Gent.mo sig. De Padova, innanzitutto mi scuso per il ritardo con cui le sto rispondendo ma sono stato fuori città per questioni private e solo ora ho potuto vedere il suo commento. Sono contento che l’articolo sia stato di suo gradimento e spero che continuerà a seguirci nella nostra attività che ha a cuore il territorio con le sue implicazioni storiche, artistiche e culturali senza dimenticare il sociale, categoria alla quale di buon diritto si iscrive l’articolo di cui discutiamo. Il sito è gestito da me e mia moglie e si deduce che noi siamo anche redattori, fotografi e tanto altro; quindi se vuole ci può contattare direttamente, anche con messaggio privato, tramite le pagine facebook su cui siamo presenti come “Brundarte” e “Amici di Brundarte”. A proposito del suo libro, che ammetto di non avere letto, sarei felice di poter pubblicare un suo scritto originale o qualche pagina che mi vorrà suggerire, allo scopo di poterne effettuare la divulgazione con ovvia citazione dell’autore ma, anche e soprattutto, per diffondere quella cultura dell’accoglienza che, in questo momento particolare, sembra stia venendo meno anche nella nostra regione.
Innanzitutto, grazie per l’articolo che mi è piaciuto moltissimo. Per ragioni di lavoro, ho vissuto direttamente gran parte dell’esperienza che voi narrate benissimo; all’epoca ero il dirigente della “Unità Tratti di Linea di Brindisi ” delle Ferrovie dello Stato, cioè il responsabile delle F.S. da Bari Torre a Mare a Lecce e da Brindisi a Francavilla Fontana. Su quella esperienza ho scritto un libro, senza pretese, da ex ferroviere: “Io, un arberesh”- Editore Progedit Bari. Mi piacerebbe stabilire un contatto con la vostra Redazione. Cordialità. De Padova Cosimo, viale Japigia,84 -70126 – Bari – tel. 080.5535191 – cell. 3917092502. Il commento è solo questo.
Ciao a tutti! Per me sono immagini da brividi emozioni e sofferenze, la speranza di una nuova vita mi ha d’atto la forza di andare avanti avevo 16 anni e devo ringraziare a vita I cittadini di Brindisi per la loro ospitalità e il grande cuore umano talmente grande che mi sentivo in imbarazzo per ogni cosa che ci donavano dai viveri, dal mangiare e per fino sigaretta e qualche gettone per telefonare a casa. Oggi sono orgoglioso di essere un cittadino italiano e da tale vi dico che certi albanesi meritavano proppio la dittatura si vede di già a penna hanno un briciolo di potere ti schiacciano ti anegano, la sofferenza li ha resi umili e la libertà stronzi ciao di cuore a tutti brindisini
Grazie e ciao!