#Luoghipittoreschi Ci sono posti della nostra Brindisi che hanno un’atmosfera particolare, luoghi unici e speciali nel nostro cuore. Il paesaggio naturale che li circonda, la luce, le piccole piazze, le case, una chiesa, una scuola, una scala, una fontana. Sono luoghi suggestivi più o meno conosciuti, luoghi magici che ci riportano in un’altra dimensione di spazio e tempo, facendoci rivivere le nostre radici.
Di seguito ve ne segnaliamo una top list piena di angoli incantevoli da scoprire o da riscoprire, alcuni molto famosi, altri meno conosciuti. Tutti comunque bellissimi.
VIA DE’ FLAGILLA,
come scrive il prof. Alberto Del Sordo (“Toponomastica brindisina” p.171), porta il nome di un’antica e nobile quanto ricca famiglia brindisina, in auge nei secoli XIII e XIV, ormai estinta. Fu proprio tale famiglia che, con poche altre, assicurò al fisco, ai tempi di Carlo II d’Angiò, il pagamento degli oneri gravanti sulla città di Brindisi.
VIA DE’ CASTALDO
deriva il suo toponimo probabilmente dalla famiglia di Giovanni Castaldo che, nel XIII sec., si trasferì dalla città di Ravello a Brindisi per lavorare nella Regia Zecca, in qualità di maestro zecchiere.
Nel 1346, in seguito agli scontri tra le opposte fazioni dei Ripa e dei Cavalerio, la famiglia Castaldo che aveva parteggiato per quest’ultimo fu costretta all’esilio dal vincente Ripa, per ritornare in città solo quando gli animi si furono placati.
Il prof. Del Sordo (“Toponomastica Brindisina” p.166), prendendo la notizia dalla Cronaca dei Sindaci di Brindisi di Cagnes e Scalese, ci dice che: “G.B. Casimiro fa menzione di Giovan Battista Castaldo, valente dottore in legge del sec. XVI, il medesimo che nell’anno 1531/2 fu sindaco di Brindisi”.
Alle nostre foto abbiamo voluto aggiungere anche il bel disegno con la stessa prospettiva dell’amica pittrice Carmela Vecchio, che abbiamo avuto la fortuna di poter avere come guida e accompagnatrice.
VIA GIUDEA
“Il Camassa osserva giustamente che già numerosa doveva essere la comunità ebraica in Brindisi nel sec. IX se possedeva un luogo riservato per la dormizione dei propri defunti (..). Ma se a Tor Pisana aveva il suo cimitero, la comunità ebraica aveva la sua dimora nelle vicinanze del porto.(..) Odiati e perseguitati per fanatismo dai cristiani, gli ebrei furono sempre costretti a vivere uniti ma separatamente dalla popolazione cristiana, onde si isolarono nella Giudeca. Per non “contaminare” i cristiani a Brindisi avevano avuto assegnata una fontana che fu chiamata l’acqua ebrea.(..)
La Giudea era un rione assegnato agli ebrei in cui volontariamente avevano le loro abitazioni, ordinariamente intorno alla sinagoga, (mentre) il ghetto era imposto dall’Autorità. A Brindisi vi era dunque la Giudea e non il ghetto e al centro di essa vi era la chiesa dei SS. Simone e Giuda che si diceva anche nel ‘500 inoltrato S. Simone dei Giudei (..).
La chiesa dei SS. Simone e Giuda che nel 1565 era già diruta, nel 1636 si trova notata forse soltanto come toponimo.
Gli ebrei in Brindisi, or chiamati e favoriti, ora perseguitati e scacciati, in generale seguirono le alterne vicende della loro razza nel regno napoletano. Ritenuti sempre utili al commercio locale nonchè alle finanze dello Stato, perchè possessori di capitali liquidi – non potevano possedere beni stabili – che mettevano facilmente in circolazione, erano dapprima accolti con favore, anzi invocati, nonostante esercitassero l’usura, che talvolta era esosa e talvolta funzionava da calmiere a quella praticata dai banchieri genovesi, fiorentini e veneziani, loro concorrenti nel mercato della moneta.
Ingrossatisi i debiti contratti verso di loro venivano saccheggiati e scacciati a furia di popolo quando arrivava il “redde rationem” e il giorno della restituzione del denaro. Nelle persecuzioni faceva anche da lievito il fanatismo religioso dei cattolici, ma quasi sempre la religione mascherava i concreti interessi materiali. Sopraggiunte nuove crisi economiche, gli scacciati ebrei venivano di nuovo invocati e carezzati, ricominciando da capo.”N. Vacca, Brindisi Ignorata pp. 103/5
VIA BELVEDERE
Secondo lo storico Nicola Vacca (Brindisi Ignorata pp. 155/158, 161/2) la località Belvedere era un tempo incorporata o per lo meno attigua al regio palazzo e il castello che Carlo I d’Angiò fondò nel 1268 sulla collina di S. Maria del Monte. Ai principi del ‘400 il castello era alquanto malridotto ed è facilmente intuibile che il Castello di S. Maria del Monte dovette essere disarmato e demolito dopo la costruzione del Castello dell’Isola (1481).
Prosegue il Vacca,
“credo che sul Belvedere stesso era il torrione, non so perchè chiamato del sangue”, registrato come Belvedere al n. 12 delle didascalie della stampa del Blaeu, in cui graficamente viene rappresentata una torre diruta; “non è azzardato congetturare che sia una delle relitte torri del castello angioino”.
In conclusione, “Il Torrione del sangue, che sovrastava e sporgeva sul prolungamento del tronco ferroviario della stazione del porto, era già demolito nel 1894”. Anche se adesso il termine Belvedere può sembrare un tantino inadeguato per un panorama costituito quasi interamente da palazzi, a noi resta il rammarico di immaginare come doveva esser bello un tempo guardare da quella collina l’imboccatura del porto e tutto il seno di levante.
VIA ARCO LACOLINA
Nel 1899, quando con altre strade fu pavimentata la via Lata, il Chimienti verseggiò:
“mber’alla Còlina – alla via Lata
atru no dicunu – cce bedda strata.”Parallela a via Domenico da Brindisi, Via Arco Lacòlina è una delle tante vie del quartiere SS. Annunziata che sfociano in via Lata. Trae il nome dall’arco che la attraversa e che fa parte del Palazzo Lacòlina o meglio Della Còlina, come risulta dai rogiti notarili dal ‘500 al ‘700. Questa famiglia a metà del ‘700 aveva in affitto questo palazzo che era dei Morena, e solo successivamente ne divenne proprietaria. Gli ultimi Lacòlina di cui si ha notizia, dice A. Del Sordo in Toponomastica Brindisina p. 168, s’incontrano sulla fine del ‘700.
Il palazzo, uno dei più notevoli edifici privati cittadini, è di “architettura durazzesco-catalana che richiama il Palazzo Granafei in Brindisi, i palazzi Giustiniani, Tafuri, Ayroldi, Della Monica e Lubelli in Lecce, nonchè tanti palazzi di Napoli..”(N. Vacca, Brindisi ignorata pp. 124-5)
VIA MATTONELLE
è il proseguimento della via Belvedere.
A. Del Sordo nella sua Toponomastica Brindisina a p. 165 ci informa che il luogo oggi limitato a un breve tratto “era, fino a circa 100 anni orsono, esteso ad una vasta zona che declinava al mare, alle spalle dell’attuale Stazione Marittima”. Proprio in quella zona, infatti, era attivissima la cosiddetta “Carbonifera Raggio”. Vediamo di conoscere meglio questa ditta brindisina che tanta influenza ha avuto sulla vita del porto e cittadina più in generale.
“La Carbonifera, impiantata nel seno di levante del porto intorno al 1870, era di proprietà di Armando Raggio, finanziere ed industriale genovese, motivo per cui la fabbrica per tutto il periodo della sua attività fu indicata comunemente come ‘Carbonifera Raggio’. Produceva mattonelle fatte con un impasto di polvere di carbone e di pece, usate per alimentare le macchine a vapore; da tale produzione ha preso il nome la via Mattonelle, poco lontana. La posizione dello stabilimento industriale provocava molti disagi, sia agli abitanti delle zone vicine agli impianti, a causa della fuliggine ammorbante emessa dal suo camino e dei depositi di polvere di carbone esposti al vento, sia ai traffici portuali, limitati nello spazio operativo. Inoltre le operazioni di scarico e deposito del carbone intralciavano il libero transito dei cittadini verso la contrada di Ponte Piccolo. A più riprese dunque, a partire dal 1896, il Municipio chiese inutilmente lo spostamento della Carbonifera.
Solo nel 1903 la proprietà della fabbrica si convinse al trasferimento degli impianti sulla sponda orientale del seno di levante, nella vallata di Fiume Piccolo, cominciando l’iter per l’attuazione del progetto; nel 1913 la Carbonifera stipulò una convenzione con il Ministero dei lavori pubblici secondo la quale una volta che il Genio civile avesse completato il nuovo piazzale lo avrebbe ceduto all’azienda, in cambio delle zone di terreno da essa occupate sulla sponda opposta.
In quei primi anni del XX secolo la Carbonifera impiegava circa 80 operai, grazie soprattutto alle commesse delle Ferrovie dello Stato, mentre altri 300 erano assunti occasionalmente per lo scarico del carbone; quando le commesse tardavano, la fabbrica chiudeva per lunghi periodi, licenziando gli operai (come accadde ad esempio nel 1907).
La difficoltà e la complessità delle operazioni di sterro e infrastrutturazione dell’area assegnata in concessione alla fabbrica e di scavo nel seno di levante per l’approdo dei piroscafi di carbone, interrotte inoltre dal periodo bellico, portarono alle lunghe il progetto, concluso solo nel 1934.
Nel frattempo la Carbonifera Industriale Italiana era stata assorbita dalla Industria Nazionale Agglomerazione Carboni; lo stabilimento di Brindisi continuava a lavorare a ‘intermittenza’, a seconda delle commesse ottenute (..).
Quando nel 1935 le strutture della vecchia sede, come da accordi, furono demolite per ampliare la stazione marittima, non furono più ricostruite nel nuovo piazzale. (Qui…dove la terra finisce e il mare comincia”Memoria e immagine dell’impresa. Catalogo della mostra: Brindisi 2011. Archivio di Stato – Brindisi)
VIA LATA
è l’antica strada, di epoca romana, che parte da Via Porta Lecce e arriva sino ai piedi di via Mattonelle, vero e proprio spartitraffico tra i quartieri Montecristo a destra e S. Lucia e Annunziata a sinistra. Il toponimo è tra i più antichi della città: viene riportato, infatti, nella “Memoria Historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi” del Rev. Andrea Della Monaca, pubblicato nel 1674 (pp. 69-188) che così si esprime a dimostrazione della grande importanza avuta dalla città di Brindisi nella storia di Roma:
“L’altra parte della città (..), che dal sinistro colle verso mezzogiorno è circoscritta, fu anticamente anco ella favorita da frequenti e nobili abitazioni, come le rovine, che dalle fondamenta ogni giorno si cavano, e molti pavimenti d’opra vermicolata o mosaica, che parte di sotto terra si scoprono, e parte nella superficie d’alcune strade della città fin ad oggi si vedono, ne fanno ampia fede. Fiorì questa parte nel fiorire de’ Romani, quali in essa ad immagine di Roma, di cui la città era sorella diletta, construssero la via Lata, che fino ad oggi con maraviglia si pratica, e vede, si per la lunghezza come per l’ampiezza, e drittura, la quale dovea ragionevolmente contenere, nobili e ricche abitazioni come vero ritratto di quella via trionfale di Roma di questo nome, solita ad esser piena di gente numerosa e valorosa come cantò il Petrarca ne’ suoi trionfi:
“Gente di ferro e di valore armata,
siccome in Campidoglio al tempo antico,
tal’ora è per via Sacra o per via Lata”.
E ancora:
“Le colonie che da’ Romani solean mandarsi erano o d’uomini latini o de’ propri cittadini di Roma, fu la Colonia mandata in Brindisi, di cittadini stessi usciti dal proprio corpo di Roma, del che ci rende chiara testimonianza l’esser stato Brindisi distribuito negli ordini stessi ch’era distribuita Roma, essendovi Patritij e cavallieri com’erano in quella. Da Patritij si nomina fino ai tempi nostri un acquedotto, quale entrava nella città detta Fontana de’ Patritij (Canale Patri?).
E dell’Ordine Equestre di Brindisi, dice Plinio, esser stato quel M. Lelio Strabone che primo in Italia insegnò di metter gli uccelli nelle gabbie, da cui cominciammo dice egli, a racchiuder in carcere quegli animali destinati dalla natura a volar per l’aria.
Segno ancora dell’istesso è che la principal strada della città fu fatta a simiglianza della via Trionfale di Roma, detta via Lata, avendo voluto quei primi romani che vennero ad abitar in Brindisi farci una immagine della lor Patria quanto più era possibile somigliante.”
VIA DE’ PIRONTI
tra via S. Lucia e Piazza Marcantonio Cavalerio, è percorsa da una lunga scalinata. E’ del 1199 il famoso documento (..) in cui nel trattato di alleanza tra brindisini e veneziani per combattere i pirati genovesi e pisani, intervengono con i cittadini di Brindisi, Ruggero Pironti – principale dei mercanti amalfitani e ravellesi da tanti anni stabiliti in Brindisi, Mauro Pironti – giudice dei ravellesi e, parecchi altri di costoro.
Continua a informarci il Vacca (Brindisi ignorata pp. 40-239)
“con questa estesa e ricca colonia mercantile stanziante in Brindisi, i re furono larghi di franchigie e di onori in cambio dei sostegni economici e politici che ne avevano. Infatti essi godevano in Brindisi del singolare privilegio di eleggersi annualmente tra essi i loro giudici o consoli per la conoscenza delle liti e controversie nascenti dai loro negozi. E’ del 1233, regnante Federico II, un importante istrumento di transazione rogato in Brindisi tra ravellesi per parecchie case possedute da Mauro De Maurone in Brindisi nel quartiere della Giudea e alla stipulazione dell’atto intervengono Giovanni e Ruggero Pironti giudici dei ravellesi in Brindisi”.
Nel 1276 il re Carlo sollecitò ai maestri zecchieri di Brindisi, Sergio Bove di Ravello, Pastecarlo di Trani e Giacomo Pironti di Ravello, la coniazione della nuova “moneta di denari” per essere distribuita nel termine prefissato. L’ultima notizia che riguarda questa stimata famiglia la troviamo nella Cronaca dei sindaci di Brindisi (1787-1860) di R. Jurlaro p. 254, ove parlando di Cesare Braico ci dice che “prese parte attivissima ai rivolgimenti politici con Poerio, Pironti e Settembrini e nel 1860 partecipò alla spedizione dei Mille con Garibaldi”.
PIAZZA MARCO ANTONIO CAVALERIO
(già Largo S. Dionisio fino al 1900) celebra un discendente della famiglia dei Cavalerio vissuto nel XV secolo. Il prof. Del Sordo in Toponomastica brindisina p.153, ci fa sapere che, per il Il Summonte fu persona di belle lettere unite con facoltà legale; mentre il Villani ci informa che egli scrisse “Vita di Piero delle vigne di Capua”.
Il toponimo ci fornisce l’occasione per parlare di alcuni fatti che rattristarono la città di Brindisi nell’anno 1346, così come ce li racconta il Rev. Padre A. Della Monaca.
Tra le famiglie nobili della città eran quelle dei Cavalerio e dei Ripa di egual grandezza e potenza; come sempre avviene in questi casi, ci furono emulazioni e gare per il dominio che furono “pestifero seme d’intestini odii e di mortali inimicizie”.
Intorno ai Ripa si radunò la massa dei contadini e ai Cavalerio quella dei marinai, così la città risultò divisa in due opposte fazioni. La causa occasionale per lo scoppio dell’ira covata per così lungo tempo fu, nel 1346, la mancata riconferma di Filippo Ripa alla carica di “Protontino” o Capitano delle Galere a vantaggio del rivale Enrico Cavalerio, meglio introdotto a corte. L’odio divenne tanto più forte in quanto non passava giorno senza che, anche i familiari si tormentassero con ingiurie e offese.
Filippo, che non poteva con le sole forze proprie sfogare quell’inferno di furie che teneva in petto cominciò a congiurare contro i Cavalera rivolgendosi ai nobili suoi amici e facendo venire dalle città vicine un buon numero di gente sediziosa e scellerata. Raccolse così più di mille armati.
Quando il Governatore della Provincia Goffredo Gattola ebbe sentore di quello che stava succedendo, si portò immediatamente a Brindisi con tutta la corte, ma Filippo con i suoi armati entrò ostilmente in città e deposta la riverenza comandò temerariamente che questi uscisse subito dalla città se gli era cara la vita. Il Preside vedendo il pericolo se ne uscì senza proferir parola, lasciando la città in preda all’insolente ribelle. Il Protontino Enrico Cavalerio, con i suoi uomini, i parenti e gli amici, s’era fortificato nella propria casa, ma Filippo assaltandola ad uso di guerra, con arieti alle porte e scale alle finestre, e con fuoco intorno al Palazzo l’espugnò facilmente.
Furono uccise molte persone, ma la maggior parte degli assediati fece in tempo a prender le cose più preziose e a rifugiarsi nel Campanile della Cattedrale. Filippo avendo avuto in mano il suo principal nemico Enrico Cavalerio Protontino predetto, trascinatolo per terra per le chiome, gli troncò con le proprie mani la testa.
Quindi, assaltando il Campanile dove molti si erano rifugiati non potendo per l’altezza e fortezza espugnarlo, fece portare delle fascine, minacciando di arderli tutti vivi, se non s’arrendevano, non essendo il Campanile fatto a volta ma con grossissime travi e tavoloni, assicurando i nemici, in fede, di non offenderli nella persona.
Vedendo quei miseri che il fuoco già bruciava l’arida esca dei legni, senza speranza di scampar la morte scelsero di arrendersi volontariamente al tiranno.
Avutoli in suo potere il barbaro Ripa, comandò che tutti i resi sotto la sua parola fossero tagliati a pezzi, il che fu subito eseguito nella maggior parte di loro, carcerando il resto nelle pubbliche prigioni della città senza riguardo alla tenera età dei fanciulli e al debol sesso delle misere donne.
Diede poi in preda ai suoi accoliti non solo le case dei nemici ma anche quelle delle persone più facoltose, pagando con questo la sua infame milizia.
Poi fece portare sulla piazza uno dei carcerati, chiamato Andrea Polliano, e “gli fè dal boia troncar il capo, nel luogo solito della Giustizia con l’ordinarie cerimonie che s’usano fare dal magistrato in simili funzioni..Quest’atto inumano spaventò fortemente gli altri prigionieri che con grosse taglie furono riscattati dal macello.”
Dopo di ciò raccolse quanto di buono restava nelle case nemiche e poi le mise a ferro e fuoco. Portatosi in mare con le navi trovate nel porto, drizzò la prora verso l’Illiria, non prima di aver bruciato la nave di Raimondo del Balzo, che in tempi successivi ascese al grado supremo della Signoria del Regno.
Minacciato di arresto se fosse tornato, di lui non si parlò più e dovrà passare un secolo prima di incontrare ancora, nella storia di Brindisi, un altro Ripa.A. Della Monaca, Memoria Historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi, p.464/8
VIA FOGGIA
definita da Del Sordo lo “strettissimo e indecentissimo passaggio pedonale, delimitato dalle vie Madonna della Scala e de’ Vinci, a ridosso del muraglione che fiancheggia la via del Mare” (Toponomastica Brindisina p. 185) è stata sostituita, dalla posizione che aveva in precedenza tra via Bari e via Federico II, da via Giovanni XXIII (Deliberaz. G.M. n. 1724 del 19 luglio 1971).
VIA BETTOLO
è la strada che sfiora la parte absidale della Chiesa del Cristo, intersecata da via Cortine, e deriva il suo nome dall’ammiraglio Giovanni Bettolo che contribuì alla razionale sistemazione del porto. A lui, divenuto Capo di Stato Maggiore della Marina, si deve, nel 1908, la destinazione di Brindisi a sede di un’importante base navale militare dell’Adriatico. Tale decisione comportò la soppressione del reclusorio, giacchè il bagno penale era stato abolito sin dal 1892, per far posto ai servizi logistici della base.
Vogliamo cogliere questa occasione per fare anche una breve sintesi della vita del bagno penale brindisino.
Nel 1814 secondo lo storico F. Ascoli, il Castello di Federico o Fortezza di Terra, fu convertito da Murat in bagno penale per alloggiarvi un certo numero di forzati, diventando una scomoda presenza con cui la città dovette convivere per circa un secolo. Sulla fragile economia brindisina gravava anche il peso della vigilanza ai detenuti che vennero utilizzati per scavare il canale di comunicazione tra il porto interno e quello esterno. Come diceva un rapporto del comandante della piazza, i forzati avevano condizioni di vita disumane, costretti a vivere in catene, legati a due a due, le violenze e le risse erano all’ordine del giorno a causa della formazione di due opposte fazioni in lotta tra di loro. Nel 1842 la terza ciurma di detenuti inviava una lettera all’intendente di Terra d’Otranto per chiedere il trasferimento dei camorristi in altro carcere. Dopo l’unità d’Italia le condizioni di vita non cambiarono e così le descrive lo storico Alfredo Capone:
“I condannati a lavori forzati (2917 a vita) erano ancora soggetti alla pena delle bastonate, della catena di rigore a testa rasa, al banco di rigore, alla cella solitaria a pane e acqua, al banco con le manette durante la notte, ecc. Tra il 1861 e il 1865 vi furono 134 episodi di rivolta a mano armata, 242 ferimenti o tentativi di omicidio”.
Ma anche fuori dal Castello le cose non andavano meglio! La presenza sinistra di questa fortezza era stata subita dalla città, come luogo ostile e inaccessibile al quale era impossibile avvicinarsi, sia dal lato mare che da quello terra. I cittadini non potevano neanche pescare nelle acque intorno alla fortezza. Nel maggio 1875 avvenne un grave incidente, perchè le sentinelle spararono contro alcuni ragazzi che raccoglievano frutti di mare sulla spiaggia sotto il castello, uccidendone uno.
In seguito a ciò l’amministrazione comunale chiese la costruzione di una strada che costeggiasse il mare fra le Sciabiche e Ponte Grande, su cui poter passare. La richiesta venne accettata dalle autorità militari ma solo a condizione che si elevasse un muro tra la strada e il castello. Muro però che non venne mai costruito in quanto era stato appunto deciso, nel 1908 il passaggio alla Marina.
(Il Castello, la Marina, la città – Mostra documentaria. AdS, Congedo ed.)
VIA MADONNA DELLA SCALA
è la quinta traversa a destra di via Lata.
“Il toponimo, d’indubbia epoca medioevale, attinge la sua origine al culto della Madonna di Scala (giunto fino a noi con il titolo di Madonna della Scala), portato a Brindisi dagli Amalfitani, nel sec. XII, quando costituirono le loro colonie nelle principali città marittime di Puglia.
A Brindisi, gli Amalfitani ebbero arsenale, case, magazzini, chiesa (dedicata appunto alla Madonna di Scala) e palazzo del console, in quel rione detto “Scala”, che si estendeva dai pressi di via Lata fino all’attuale stazione marittima.(..)
La colonia di Brindisi, qualificata con il generico attributo di amalfitana, fu in effetti costituita da mercanti di Scala e di Ravello (si ricordi che già nel IX sec. i territori di Scala, Ravello, Atrani, Maiori, Minori e di altre cittadine facevano parte della Repubblica di Amalfi). Di qui la ragione della dedicazione della Chiesa alla Madonna di Scala, ideale trasferimento della protettrice dalla patria d’origine in quella elettiva. Furono, infatti, proprio le famiglie di Scala e di Ravello che vennero esuli in Puglia, nel sec. XII, dopo che Amalfi fu, nel 1131, definitivamente sottomessa dal normanno Ruggero II. (..)
Fino ad una cinquantina d’anni orsono, si celebrava, nel giorno della Ascensione, la festa rionale della Madonna della Scala, con riti religiosi e luminarie: il Capitolo metropolitano, in processione, visitava la Chiesa e, dal limite della strada, arroccata sui bastioni S. Giacomo, impartiva la benedizione alla parte della città, che si estende a sud-est.“Alberto Del Sordo, Toponomastica Brindisina – Il centro storico. Schena Ed. 1988, pp. 140-141)
Per approfondire a questo link il nostro articolo http://wp.me/p8GemW-2ii
LARGO S. DOMENICO DI GUZMAN
delimitato dalla tangente via Cortine, prende il suo nome dal fondatore dei Predicatori che si distinse fin da giovane per la sua carità e povertà.
A Brindisi, Nicola Paglia da Giovinazzo, compagno di S. Domenico fondò la trecentesca chiesa del Cristo e l’annesso monastero:
“la prima, un bell’esemplare di romanico-pugliese che, con la eliminazione delle sovrastrutture barocche, è stata restituita alla sua originaria austerità; il secondo, invece, trasformato ed adattato ad Istituto scolastico (dal 1926 è sede del Tecnico Commerciale “Marconi”), ha perduto il suo carattere conventuale. (A. Del Sordo, Toponomastica brindisina p. 137). C’è da dire però che, nell’ultimo periodo, con il trasferimento della scuola in locali più adeguati e moderni, l’edificio è rimasto abbandonato al degrado e al vandalismo senza che venisse presa da parte pubblica alcuna iniziativa per farlo rivivere.
La chiesa, si sviluppa a ridosso di Porta Lecce; fondata nel 1232 ed intitolata a S. Domenico di Guzman, cambiò la denominazione probabilmente fra il 1250 e il 1300 a causa di un episodio riportatoci dalla tradizione . Essa è stata molto importante nella storia cittadina giungendo perfino a dare il nome all’intero rione, fra i più antichi della città, tant ‘è che ancor oggi i brindisini per indicare questa località sono soliti dire con linguaggio gergale “sobbr’a Cristu”.
Per approfondire il nostro articolo al link http://wp.me/p8GemW-lr)
VIA NICOLANTONIO CUGGIO’
collega via de’ Catanzaro con via Porta Lecce.
“La personalità, cui la predetta via è intitolata, fu una figura di rilievo, nella seconda metà del ’700, in quanto canonico del Capitolo metropolitano, letterato, canonista, teologo e socio dell’Accademia degli Erranti.
Nacque in Brindisi, da genitori veneziani, il 1661.” (A. Del Sordo – Toponomastica brindisina p. 143)
Nello stesso periodo, troviamo traccia di un Cuggiò sindaco nella storia cittadina. Il Vacca su Brindisi Ignorata p. 290 ci informa di quanto segue, a proposito della colonna caduta nel 1528 i cui rocchi e il capitello furono offerti dal Sindaco Stea alla città di Lecce nel 1657: “…Per 4 anni continui vi furono lotte e liti tra le due città. I sindaci Cuggiò, Monticelli e Vavotico non vollero mai ratificare l’atto di cessione compiuto dal loro predecessore Stea”.
Tornando a Nicolantonio Cuggiò, “aveva circa 26 anni, quando, per tutelare alcuni interessi del Capitolo di Brindisi, si portò a Roma, da cui non fece più ritorno, tutto preso dal desiderio di approfondire gli studi teologici, giuridici e letterari.
Ebbe modo, così, di partecipare alle conversazioni letterarie che si tenevano nella casa di mons. Ciampini e nei salotti di palazzo Corsini, dove Cristina, regina (rinunciataria) di Svezia, aveva fondato un cenacolo letterario, da cui doveva trarre origine l’“Arcadia”.
I cardinali Altieri, prima, e Franzoni, poi, ebbero il Cuggiò come vicario nella loro diocesi di Porto, fino a quando non fu nominato Segretario del Tribunale del Cardinal Vicario.”(..)
Morì nel 1739 all’età di 78 anni e fu sepolto onorevolmente nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, di cui era stato canonico.” (A. Del Sordo – Toponomastica brindisina p. 143)
VIA PORTA LECCE
inizia dall’incrocio tra via Conserva, via Lata e via Saponea e continua fino al rondò di recentissima costruzione. Prende il nome da una delle due porte superstiti che, come dice R. Jurlaro (Storia e cultura dei monumenti brindisini p. 91) “è aperta al termine della via omonima, incassata in un taglio artificiale della collina di levante che fu inclusa nella cinta muraria della città solo in epoca aragonese”.
Per D. Caiulo (Storia e progetto della riqualificazione urbana p. 112), “una particolare attenzione merita Porta Lecce, la quale, incuneandosi tra due grandi torrioni a pianta poligonale, si apre in un ampio arcone a pieno centro, sormontato dagli stemmi della città di Brindisi, dei d’Angiò e degli Aragonesi.
Tali bastioni lambivano un tempo l’estremità del seno di Levante, avendo quindi una precisa collocazione in funzione della natura dell’insediamento; con gli interramenti del porto, avvenuti negli ultimi due secoli, che hanno spostato in avanti di oltre duecento metri il limite del mare, tale funzione originaria non è più morfologicamente leggibile”.
Interramento avvenuto probabilmente, aggiungiamo noi, per creare la ferrovia e tutta l’area retroportuale della Stazione Marittima.