La Courtauld Gallery di Londra ha sede in Somerset House-Strand, uno dei più imponenti edifici inglesi del Settecento. Affacciata da un lato sul Tamigi e dall’altro sulla centralissima Strand, la Somerset House – capolavoro di età vittoriana e casa della collezione Courtauld – verrà chiusa per due anni per un grande progetto di restauro, finanziato con 50 milioni di sterline a partire dal 3 settembre, e i suoi capolavori andranno in prestito a numerose istituzioni per alcune mostre, tra cui una già ufficializzata nella concittadina National Gallery.
La galleria è parte del The Courtauld Institute of Art, universalmente considerato tra i migliori centri per lo studio della storia dell’arte nel Regno Unito e nel mondo, fondato 75 anni fa grazie all’ispirazione di tre uomini lungimiranti, Samuel Courtauld, magnate dell’industria tessile, Lord Arthur Lee of Fareham, funzionario e politico, e Sir Robert Witt, avvocato.
Nel 2002, per poter decidere liberamente del proprio futuro, l’istituto è divenuto un college autonomo dell’Università di Londra, il più piccolo dell’illustre gruppo di college che costituiscono l’università, con circa 400 studenti che studiano storia dell’arte, tutela e conservatoria, a livello di prima laurea, specializzazione post-laurea, master e dottorato di ricerca.
Con un corpo insegnante di oltre 30 docenti, è l’istituto più grande di questo tipo nel Regno Unito e uno dei maggiori centri del mondo per l’insegnamento e la ricerca nel campo della storia dell’arte e della sua tutela. I suoi illustri ex studenti dirigono oggi musei e gallerie nazionali, facoltà universitarie di storia dell’arte, dipartimenti di tutela delle arti, oltre a gallerie commerciali e case d’aste in tutto il mondo.
La collezione d’arte dell’Istituto fu iniziata dal suo fondatore, Samuel Courtauld, che donò un’ampia collezione di dipinti principalmente impressionisti e post-impressionisti nel 1932, accresciuta da ulteriori donazioni negli anni trenta e da un lascito nel 1948. La sua collezione includeva capolavori quali Il bar delle Folies-Bergère di Manet e una versione della sua Colazione sull’erba, paesaggi di Claude Monet e Camille Pissarro, una scena di balletto di Edgar Degas e otto dipinti di Cézanne.
A seguito della morte del critico dell’arte Roger Fry nel 1934, l’istituto ricevette la sua collezione di arte del ventesimo secolo. Altri lasciti si aggiunsero dopo la Seconda guerra mondiale, tra i quali va notata la collezione di opere di arte moderna, riunita da Lord Lee, che comprendeva anche opere di Lucas Cranach il Vecchio e Pieter Paul Rubens.
Nel 1974 un gruppo di tredici acquarelli di William Turner fu regalato in memoria di Stephen Courtauld. Nel 1978 la Courtauld ricevette la collezione “Princes Gate”, lascito del Conte Antoine Seilern und Aspang, che includeva dipinti di Bruegel, Quentin Massys, Van Dyck e Tiepolo. Il lascito includeva anche un gruppo di opere del XIX e XX secolo di Pissarro, Degas, Renoir and Oskar Kokoschka.
Il museo espone opere, tra gli altri, di Lippo Memmi, Bernardo Daddi, Antoniazzo Romano, Sandro Botticelli, Marco Zoppo, Pieter Paul Rubens, Parmigianino, Thomas Gainsborough, Paul Cézanne, Claude Monet, Édouard Manet, Amedeo Modigliani, Pierre-Auguste Renoir, Georges Seurat, Henri de Toulouse-Lautrec, Vincent van Gogh, Gauguin e Henri Rousseau, il Doganiere.
Il Courtauld Institute dispone anche di una ricchissima collezione di disegni, comprendente opere di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Dürer, Bruegel, Tiepolo, Gainsborough, Delacroix e tanti altri.
Le opere
Edouard MANET (1832-83) Bar alle Folies-Bergère, 1881-82
Olio su tela 96 x 130 cm
Edouard MANET (1832-83) Bar alle Folies-Bergère, 1881-82
Olio su tela 96 x 130 cm
Il bar delle Folies-Bergère, l’ultimo quadro realizzato nel 1881-1882 da Manet quando ormai era molto malato e quasi invalido, può essere considerato il quadro più rappresentativo della Courtauld Gallery. Venne esposto per la prima volta al Salon del 1882 ed era ancora conservato nel suo studio quando Manet morì nel 1883.
A essere ritratto nel dipinto è il bar delle Folies-Bergère, un caffè-concerto di Parigi, celebre ritrovo della borghesia parigina che qui si svagava assistendo a concerti e spettacoli. Il locale fu sicuramente la prima sala musicale di Parigi, ma non solo: vi erano infatti tollerate, se non favorite, le pratiche di prostituzione. Lo stesso Manet, come altri artisti e intellettuali, faceva parte degli habitué di questo locale, tanto che nonostante il dipinto sia stato eseguito in studio il locale è descritto con grande realismo. Sul bancone Manet colloca una natura morta con bottiglie di champagne e di liquori di tutti i tipi, e vi troviamo persino una bottiglia di Bass Pale Ale66, un tipo di birra inglese molto popolare in quei tempi a Parigi, contrassegnata dal tipico triangolo rosso: con questo particolare Manet intende non solo inserire una nota di spiccato realismo nella propria opera, ma anche sottolineare la vasta internazionalità del pubblico delle Folies-Bergère. Sempre sul banco troviamo disposte anche una fruttiera di cristallo ricolma di arance, un calice con delicati fiori dalle tonalità rosate e aranciate, e altri oggetti d’uso comune.
La vera protagonista del quadro è però la ragazza in piedi al di là del bancone. Potrebbe sembrare una dama con il suo vestito attillato con ampia scollatura incorniciata da pizzi e da un bouquet di fiori, un cammeo di fine fattura al collo, due piccoli orecchini, un braccialetto dorato al polso, se non fosse per il modo troppo familiare e poco signorile di appoggiarsi al bancone. Una cameriera in una raffinata divisa da lavoro quindi, in un raro momento di inattività. Sappiamo che il suo nome è Suzon, e che prestava servizio alle Folies-Bergère intorno al 1880, proprio quando Manet eseguì l’opera.
Il suo volto, lievemente arrossato, è in totale contrasto con la malizia del vestito: «ha la grazia di una ragazzotta di paese ancora paffutella, evidentemente abituata alla semplicità» (RaiArte). Persa nei suoi pensieri, ha uno sguardo che colpisce per la malinconia e la stanchezza. Trasuda insoddisfazione e infinita tristezza per il lavoro che è evidentemente costretta a fare.
Alle sue spalle un grande specchio che riflette l’immagine del vasto e festoso salone e i suoi clienti, uomini dagli eleganti cilindri neri e donne munite di binocolo, intenti a godersi lo spettacolo di una acrobata in piedi (in alto a sinistra) sul trapezio. Sulla destra si vedono riflessi il dorso di Suzon e il volto di un cliente con la tuba che sta dandole l’ordinazione. A un’osservazione più accurata, per di più, ci si rende conto che la posizione di quest’uomo in realtà coincide con quella dell’osservatore stesso: alcuni studi effettuati nel 2001 da Malcom Park dimostrano che in realtà la prospettiva è perfettamente coerente se si considera che il punto di vista dell`osservatore, benché posto di fronte alla barista, sia angolato rispetto allo specchio, costruendo un voluto inganno che per decenni ha confuso i commentatori.
Nella prima bottiglia a sinistra il nome dell’autore di questo splendido e commovente quadro: Edoard Manet 1882
Paul GAUGUIN (1848-1903) Nevermore, 1897
Olio su tela 60,5 x 116 cm
Paul GAUGUIN (1848-1903) Nevermore, 1897
Olio su tela 60,5 x 116 cm
Gauguin dipinse Nevermore (Mai più) nel febbraio del 1897, durante il suo secondo viaggio a Tahiti. E’ evidente il legame dell’opera con il poema “Il corvo” di Edgar Allan Poe che il pittore lesse in francese nella traduzione di Stéphane Mallarmé: il corvo protagonista del poema di Poe ripete incessantemente e ossessivamente la funebre parola Nevermore e un macabro corvo compare minacciosamente anche nel dipinto, sul davanzale di una finestra, mentre sul muro in alto a sinistra possiamo notare la scritta Nevermore. Il dipinto diventa quindi non una semplice riproduzione della realtà, ma un messaggio dell’artista, la comunicazione di un pensiero, trasformando “la struttura impressionista del quadro in una struttura di comunicazione, espressionista”. In realtà in una lettera al suo amico nonché pittore e collezionista Daniel de Monfreid, Gauguin disse di voler unicamente rappresentare in Nevermore un “semplice nudo” e che non volesse simboleggiare nient’altro che un erotismo esotico ed effettivamente è la bellezza esotica della ragazza distesa che occupa tutto il dipinto in orizzontale, richiamando alla mente l’Olympia di Manet che Gauguin doveva aver certamente ammirato. La donna è Pahura, la giovanissima ragazza con cui il pittore conviveva a Tahiti, distesa senza veli in un interno domestico dall’aspetto rustico, lontano dallae sete, dal velluto e dagli ori della Francia. Il volto della donna rivela però una oscura angoscia, sottolineata dallo sguardo sospettoso rivolto indietro dove alle sue spalle due inquietanti figure femminili confabulano tra loro. Gauguin dipinge con questo nudo la perdita dell’innocenza, dando voce alla forte delusione ricevuta da Tahiti dove si era rifugiato sperando di vivere in un paradiso incontaminato e dove invece aveva trovato un ambiente marcio e corrotto dal colonialismo.
Nonostante l’alone di angoscia che trasuda dall’opera, il dipinto è stato curiosamente eletto attraverso un sondaggio indetto dall’organizzazione The Art Fund nel 2010 “il più romantico dipinto della Gran Bretagna”.
Henri LAURENS (1885-1954) Donna che si pettina, 1946
Marmo bianco
Henri LAURENS (1885-1954) Donna che si pettina, 1946
Marmo bianco
Scultore, grafico, disegnatore e illustratore francese, Henri Laurens si formò come scalpellino decoratore. I suoi primi lavori mostravano l’influenza di Rodin ma nel 1911, stabilitosi a Montparnasse, conobbe George Braque e Pablo Picasso diventando uno dei primi artisti ad adattare lo stile cubista alla scultura. Creò collage, rilievi, costruzioni di legno e vari metalli e molte nature morte utilizzando il repertorio cubista fatto di bottiglie, bicchieri e frutta. A metà degli anni Venti si spostò dallo stile geometrico per rivolgersi a linee curve e forme voluttuose come quelle di questa Donna che si pettina, scultura in marmo bianco del 1946, opera quindi della sua maturità, creata circa trenta anni dopo la nascita del suo interesse per i nudi femminili. Le esagerate rotondità partono da un ideale classico, ma creano una personale idea scultorea di bellezza femminile.
Molti degli artisti compagni di Laurens lo ritenevano uno dei più grandi scultori del tempo, ma il successo e il riconoscimento ufficiale tardavano ad arrivare e, quando nel 1948, non vinse il primo premio per la scultura alla Biennale di Venezia, Matisse ne fu talmente disgustato che si offrì di dividere con lui il premio ricevuto per la pittura. Tuttavia nel 1953 Laurens vinse il Grand Prix alla Biennale di San Paolo. Morì a Parigi e venne seppellito nel Cimitero di Montparnasse. La sua tomba è decorata con una delle sue più grandi sculture, La Douleur.
Quentin MASSYS (1466-1530) Madonna col Bambino e angeli, 1500-09 ca.
Olio su tavola 47,5 X 31 cm
Quentin MASSYS (1466-1530) Madonna col Bambino e angeli, 1500-09 ca.
Olio su tavola 47,5 X 31 cm
Si conosce relativamente poco del pittore Massys: nasce a Lovanio da un umile padre, presto scappa di casa per dedicarsi all’arte e diventa in breve una promessa. Si iscrive alla Corporazione dei Pittori di Anversa nel 1491. In questa opera la conoscenza di Massys della pittura dell’Italia settentrionale è evidente nei due putti, che reggono energicamente la ghirlanda di fiori al di sopra del capo della Vergine. Si presume infatti che Massys avesse compiuto numerosi viaggi in Italia. Il dipinto dimostra però anche il debito di Massys verso i suoi predecessori fiamminghi: la collocazione di Maria e del figlio in una chiesa gotica deriva da Jan van Eyck, mentre la tipologia del volto della Madonna richiama Hans Memling. Maria è in piedi sotto un arco, incoronata Regina dei Cieli, e stringe teneramente al petto il bambino Gesù. I capelli le scendono sulle spalle, sottolineandone la verginità. Madre e figlio sono accompagnati da tre giovani angeli. Uno li intrattiene col liuto, mentre un altro offre un garofano a Gesù, a simboleggiare la pena della madre per la sua futura morte in croce. Massys e la sua bottega dipinsero in più occasioni composizioni di questo genere, ma la più simile è una tavola di dimensioni analoghe conservata nel Musée des Beaux Arts di Lione, dove la Vergine è vestita di bianco, a sottolinearne ulteriormente la purezza. Tuttavia, la qualità e la delicatezza eccezionali della Madonna col Bambino della Courtauld Gallery suggeriscono che si tratti della prima versione. Fino all’inizio del XIX secolo la tavola era inserita in un altare di vermeil e pietre preziose, con 12 dipinti ovali ai lati. Benché restino ignote la collocazione ed il proprietario originali, questo suggerisce che lo squisito dipinto fosse apprezzato sia per l’alta qualità artistica sia per il significato religioso.
Zanobi di Domenico (1464-1474)
Jacopo del Sellaio (1441-1493)
Biagio di Antonio (1446-1516)
Cassoni nozze Morelli-Nerli, 1472
Tempera su pioppo, con doratura
I cassoni, eseguiti in genere in coppia e impreziositi da tarsie e pitture, erano un tipo di mobilio particolare, veri e propri emblemi matrimoniali, prodotti fra il XIV secolo e la fine del XVI in Italia. Solitamente dovevano servire a trasportare la dote della sposa nella nuova casa, dove venivano posti nella camera nuziale dove spesso erano gli oggetti di maggior valore. Commissionati in genere dallo sposo in occasione dell’evento nuziale insieme al resto dell’arredo, la loro ricca decorazione con oro e dipinti ne dimostrava il prestigio e la ricchezza. Questa in foto è l’unica coppia di cassoni conservatisi integri con le loro spalliere che possono essere ricollegati ai documenti originali: era il settembre del 1472 quando il patrizio fiorentino Lorenzo Morelli pagò l’artista Zanobi di Domenico con 21 fiorini per questo paio di cassoni. Successivamente, quello stesso anno, Jacopo del Sellaio e Biagio di Antonio li decorarono riccamente con intarsi, oro e preziosi dipinti. Lorenzo acquistò questi cassoni in occasione del suo matrimonio con Vaggia Nerli. Ogni cassa reca lo stemma di una delle famiglie.
Presumibilmente fu Lorenzo Morelli a scegliere le storie da dipingere per decorare i due cassoni. Tratte dalla storia dell’antica Roma di Livio, furono selezionate perché potessero intrattenere ed istruire la giovane coppia, la famiglia e la servitù. Il cassone con lo stemma dei Morelli raffigura l’espulsione dei Galli da Roma ad opera di Camillo, e sui lati sono rappresentate le virtù di Fermezza e Giustizia, mentre la spalliera mostra la difesa di Roma da parte di Orazio Coclite. La spalliera Nerli ritrae invece la devozione patriottica di Muzio Scevola e il cassone la punizione del maestro traditore di Falerio, che offrì gli alunni in ostaggio ai Romani. Questa lezione esemplare era probabilmente un monito indirizzato a Vaggia Nerli, che veniva così incoraggiata a prendersi cura con dedizione dei figli del marito, diversamente dal maestro.
Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) La Loge, 1874
Olio su tela 80 x 63,5 cm
Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) La Loge, 1874
Olio su tela 80 x 63,5 cm
Renoir espose questa sua opera nella prima mostra degli impressionisti del 1874 a Parigi dove fu praticamente l’unica a ricevere una accoglienza positiva da parte della critica. Posarono per questo quadro il fratello di Renoir, Edmond, e una modella di Montmartre, Nini Lopez (nota come ‘faccia di pesce’) raffigurati in un palco del teatro, un soggetto molto amato dai pittori della moderna vita parigina negli anni tra il 1870 e il 1880. L’opera, nel cogliere un momento di mondanità galante, ci presenta un’immagine gioiosa e spensierata, e nello stesso tempo elegante, parametri fondamentali dell’interesse degli impressionisti per il mondo moderno. Renoir pone in contrasto le due figure, la donna che guarda fuori col binocolo accanto, come per ricevere gli sguardi del pubblico, mentre il suo compagno guarda in alto col binocolo, disinteressandosi del palcoscenico. L’osservatore è completamente coinvolto in questo gioco di sguardi. La tecnica è varia e fluida; le forme sono pennellate delicatamente e morbidamente senza contorni precisi, e l’esecuzione del corpetto della modella e dei fiori è una manifestazione di particolare virtuosismo. Il volto della donna è eseguito più minutamente e modellato in maniera più completa. L’abito conferisce alla composizione una forte struttura portante bianca e nera: qui è utilizzato il nero, anche se mescolato al blu, per suggerire il gioco di luce ed ombra. Renoir lasciò ambigua la posizione sociale della sua modella; uno dei critici del quadro la descrisse come una tipica cocotte e la usò umoristicamente come avvertimento alle giovani a non lasciarsi abbindolare da moda e vanità, mentre un altro vide in lei “una figura del mondo dell’eleganza”.
TO BE CONTINUED