Grotta di Sant’Oronzo – Turi (Ba)

Giornate FAI di Primavera – 23 e 24 Marzo 2019

Gruppo FAI (Fondo Ambiente Italiano) di Monopoli 

La Chiesa

La grotta di Sant’Oronzo, situata nell’agro tra Turi e Rutigliano, è una grotta carsica scoperta nel 1658, profonda circa 12 metri e articolata su diversi livelli.

La leggenda vuole che qui il vescovo leccese Oronzo predicasse e amministrasse l’Eucarestia, utilizzando questo luogo come rifugio dalle persecuzioni romane. Il suo ingresso rimase obliterato per molti secoli, anche se il terreno sotto al quale giace la grotta mantenne il toponimo “Sant’Oronzo”.

L’accesso fu rinvenuto durante la peste che funestò il regno napoletano nel 1656-58, tornando ad essere un luogo di preghiera. Dato l’elevato numero di fedeli e lo spazio esiguo della grotta, nel 1727 i cittadini ed i frati del locale convento francescano sostennero i favori di costruzione di una chiesa sovrastante.

Il 26 aprile 1888, il sindaco di Turi affidò il servizio della chiesa al priore della confraternita di Sant’Oronzo, fondata nel 1792. Sul portale d’ingresso era presente lo stemma del Comune di Turi con un’epigrafe della quale è leggibile solo la scritta “Martinelli 1774”; è stato purtroppo trafugato alcuni anni fa, come anche i due angeli che erano stati posti all’ingresso, le cui basi (le uniche rimaste) recano la data 1918.

La chiesa è stata riaperta al culto con una solenne celebrazione, alla presenza di una gran folla di fedeli, il 7 maggio 2000, in ricordo del pellegrinaggio che si svolse il 3 maggio 1726, mentre il 2018 ha visto la grotta protagonista del Giubileo Oronziano. Oggi, la gestione e la custodia sono affidate alla sezione di Turi “A. Pedrizzi”, dell’Associazione Nazionale Bersaglieri.

L’edificio religioso presenta una fabbrica quadrangolare a croce greca, con tre navate, in fondo alle quali vi sono altrettanti altari in pietra con decorazioni policrome e tele raffiguranti Sant’Oronzo, San Pietro d’Alcantara e Santa Teresa d’Avila, e la Vergine con San Bernardino da Siena.

Esterno

Interno

Navata centrale

Navata laterale destra

Navata laterale sinistra

Lo Scalone

Entrando, si scopre un imponente scalone che conduce alla sottostante grotta, con gradini finemente scolpiti e preziose balaustre in ferro battuto, datato A.D. 1728, come si legge dall’epigrafe posta sull’arco centrale dirimpetto alla scala che porta all’ipogeo.

L’ambiente ipogeo

Altare settecentesco

Nella grotta sono presenti due altari: il primo, più recente, orientato a nord fu realizzato quasi certamente nel 1727-1728; il secondo in orientamento liturgico è il più antico, danneggiato dall’usura del tempo.

Nella chiesa ipogea ai piedi dell’altare settecentesco, si osserva un pavimento di forma quadrangolare costituito da 238 mattonelle in maiolica disposte in ordine pressoché casuale su 17 file di 14 pezzi ciascuna. Ogni piastrella reca un originale motivo decorativo o figurato, inquadrato all’interno di una cornice geometrica, formata da due o tre anelli concentrici fermati agli angoli da tre petali stilizzati. Le figure ornamentali e i personaggi vengono raffigurati a tutto campo o incorniciati in decorazioni di gusto settecentesco.

Tra i vari temi decorativi appaiono certamente di grande interesse le figure di busti maschili e femminili riportati su 16 mattonelle. I bizzarri personaggi hanno particolari capigliature o indossano strani cappelli; talvolta sono arricchiti da elementi vegetali, altre volte, invece, dalla bocca spuntano oggetti a forma di pipa o fischietti retrattili. Due mattonelle raffigurano degli ex voto allusivi all’insidia del mare e raffigurano imbarcazioni. Altre rappresentano rosoni antropomorfi che simboleggiano la luna e il sole. Mirabili sono i paesaggi monocromi e le vedute di luoghi di culto e castelli dove il senso di profondità del paesaggio viene reso attraverso la scansione di due o tre quinte prospettiche che riescono a conferire un senso tridimensionale alle piccole opere.

Numerose sono le raffigurazioni di flora e fauna; persistente è in particolare il leone araldico, raffigurato talvolta con lineamenti antropomorfi,con fa bocca spalancata e la lingua sporgente, la criniera e la coda sinuose.Vengono rappresentati gatti e felini dipinti di giallo, mentre cani e volpi sono dipinti di turchese. Molto graziose le immagini di volatili, dalla straordinaria ricchezza policroma, stilizzati o naturalistici. In base a simili esemplari di mattonelle rinvenute in zona, si attribuisce l’esecuzione delle ceramiche alla bottega laertina: sono molteplici infatti le raffigurazioni floreali, frequenti nella ceramica di Laterza, ma qui a Turi in particolare è possibile ammirare margherite, girasoli, garofani e gigli in un repertorio di colori e di forme vivaci, ordinato in composizioni geometriche o racchiuse in composizioni a raggiera.

L’unico stemma araldico presente è fortemente deteriorato, ma è possibile intravedere i resti di un’aquila nera ad ali spiegate sormontata da una corona. Esso è riconducibile a una nobile famiglia locale non titolata, probabilmente la committenza del pavimento; infatti la mattonella è collocata in una posizione strategica, in modo da darle massima visibilità da tutti i punti.

L’antico altare, di forma rettangolare, è realizzato con conci sbozzati uniti da malta e rivestiti da intonaco; il piano della mensa, in pietra calcarea lavorata a martellina, presenta al centro della faccia superiore l’incavo per la deposizione delle reliquie. Sul lato posteriore di questa sono stati rinvenuti i resti di una pala d’altare che, presumibilmente,in origine si elevava fino a toccare la volta della grotta. Il paliotto dell’altare mostra sull’intonaco color crema i resti di una decorazione di color bruno, consistente in un semicerchio che si interseca in un medaglione centrale.

È possibile supporre la presenza di un motivo speculare, pertanto il fregio doveva essere composto da un medaglione ovale centrale affiancato da due semicerchi. A poca distanza è presente una vaschetta scavata nella roccia calcarea, molto probabilmente usata nei riti che si svolgevano nella grotta. La tipologia d’altare, le sue dimensioni e soprattutto lo spessore delle concrezioni in carbonato di calcio presenti nella calotta della nicchia permettono di ipotizzare una datazione risalente all’età medievale. Dal XIII secolo, infatti, si diffonde questa tipologia di altare e contemporaneamente anche la pratica di custodire le reliquie dei Santi in cavità che venivano sigillate al momento della consacrazione. I resti di questo antico altare sono da riferire forse ad un’antica cappella ipogea dedicata al Santo Patrono di Turi, come si deduce da documenti notarili datati 1485.

In particolare, recenti ricerche storiche hanno evidenziato la presenza di un’antica cappella dedicata a Sant’Oronzo già prima del 1657 (data a cui si fa risalire l’inizio del culto verso il santo leccese, per aver liberato la città dal pericoloso contagio della peste). Infatti, già nel 1627 la protezione del Santo fu invocata per una terribile siccità che cessò il 26 agosto, giorno del sacro martirio del vescovo leccese divenuto il giorno di festeggiamento del Santo.

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Un ringraziamento speciale al Gruppo FAI di Monopoli e agli Apprendisti Ciceroni ITES “Sandro Pertini” di Turi che, magistralmente guidati dai loro professori, hanno provveduto ad accompagnare il pubblico. A tutti loro va il piccolo omaggio delle nostre foto.

L’articolo è stato elaborato sulla scorta del volantino distribuito dal FAI per l’occasione


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