Brundarte visita la mostra “Love and Angst” (“Amore e Angoscia”) organizzata dal British Museum di Londra, in collaborazione con il Munch Museum di Oslo e dedicata alle opere di Edvard Munch (1863-1944), artista considerato il padre dell’Espressionismo, famoso in tutto il mondo per il dipinto “l’Urlo”, icona per eccellenza dell’angoscia umana.
Paradossalmente, l’intensità emotiva dell’Urlo, la notorietà del dipinto in ogni parte del mondo, il fatto stesso che l’opera non abbia bisogno di spiegazioni, rappresentano anche la ragione per cui, al di là del suo nome, si conosca così poco del su creatore.
Ma chi era in realtà Edvard Munch? Nato nel 1863 a Kristiania (l’odierna Oslo), in Norvegia, non è così conosciuto come i contemporanei Vincent van Gogh, Henri de Toulouse-Lautrec o Paul Gauguin. Viscerale, ribelle e affamato di nuove esperienze, Munch rifiutò la sua rigida educazione luterana per perseguire uno stile di vita non convenzionale.
Edward Munch, seduto su una valigia nel suo studio di Berlino, 1902
Secondo di cinque figli fu segnato fin dalla tenera età da indicibili disgrazie familiari: la madre morta di tubercolosi quando aveva solo 5 anni e la morte dell’amata sorella maggiore Johanne Sophie, stroncata dalla stessa malattia. Il padre rimase profondamente segnato dai molteplici lutti, cadde in preda alla malinconia e a una sindrome maniaco-depressiva, la sorella Laura iniziò ad essere affetta da crisi psichiche, il fratello Andreas si sposò e morì subito dopo il suo matrimonio. Circondato fin da piccolo dall’ombra della morte, presenza che lo accompagnerà drammaticamente per tutta la sua vita, Edward iniziò ad interessarsi all’arte, perseguendo uno stile di vita non convenzionale per il suo tempo. Viaggiò a lungo attraverso l’Europa, traendo ispirazione artistica dai circoli bohémien incontrati e dalle sue relazioni appassionate e tumultuose.
Munch amava raccogliere diverse cose nei suoi viaggi, tra cui queste cartine della Germania e della Norvegia. Riempiva interi taccuini di disegni e pensieri. Inoltre scambiò centinaia di cartoline con amici e parenti, in particolare con la zia Karen che si occupò della famiglia dopo la morte di sua madre.
L’artista fu anche fortemente influenzato dal teatro. Munch sentiva una particolare affinità con le commedie del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, che scioccarono la società borghese con la loro analisi intransigente delle convenzioni sociali e morali affrontando l’adulterio, l’ipocrisia, la sifilide e la pazzia, temi che anche Munch cercava di rappresentare.
Le sue tecniche innovative, il suo coraggioso utilizzo dei colori ed i soggetti scuri da lui prediletti lo hanno reso uno dei primi artisti realmente moderni, l’artista che ha anticipato i temi dell’Avanguardia Espressionista, raccontando il dramma dell’uomo nel mondo contemporaneo, l’incomunicabilità con i propri simili e la sua profonda solitudine.
La mostra si articola attraverso un percorso di ben 83 opere, provenienti dalle più importanti collezioni internazionali pubbliche e private, riguardanti principalmente il suo periodo più creativo, dal 1890 alla fine delle Prima Guerra Mondiale nel 1918: si tratta soprattutto di litografie, una forma d’arte in cui Munch ha eccelso per tutta la vita per la sua capacità di esaminare e descrivere con crudezza e pochi segni essenziali le emozioni umane, ma anche di disegni e schizzi, delle città europee di inizio Novecento (come Oslo, Berlino e Parigi) esposti accanto a fotografie, documenti inediti, lettere che mostrano rarissimi e poco conosciuti momenti della vita privata di Munch.
Autoritratto con lo scheletro di un braccio (1895) litografia
Questo autoritratto è una delle prime stampe eseguite da Munch, una sorte di immagine – epitaffio: dallo sfondo nero affiora l’inquietante volto del giovane artista, precocemente invecchiato, lo sguardo fisso nel vuoto, con alla base lo scheletro di un braccio, certamente un consapevole “memento mori”, con riferimento alla fugacità dell’esistenza ossessivamente presente nell’opera di Munch, la cui vita fu segnata, come abbiamo visto, da un’interminabile catena di lutti e da episodi di pazzia sua e dei suoi familiari.
«Nella casa della mia infanzia abitavano malattia e morte. Non ho mai superato l’infelicità di allora […] Così vissi coi morti.» (Munch)
Munch, Autoritratto con lo scheletro di un braccio (1895) litografia
Testa a testa (1905) litografia
Munch è stato artisticamente sempre ossessionato da figure che si uniscono e si fondono tra loro e ne ha dipinte molte. Questa incisione fu eseguita e stampata dapprima in bianco e nero a Berlino dove Munch lavorava nel 1905. Il calco fu poi colorato e stampato nella nuova versione a colori probabilmente nel 1914 da Nielse, la tipografia di Munch a Oslo dove l’autore spedì il calco in seguito allo scoppio della Prima Guerra Mondiale
Munch, Testa a testa (1905)
Nudo reclinato, visto da dietro (1896)
Munch studiò per un breve tempo a Parigi nel 1885 e di nuovo nel 1889, e fu molto influenzato dagli artisti francesi. Questa opera è una delle cinque mezzotinte realizzata proprio a Parigi in una visita successiva. La posa della donna ricorda le figure contorte nella stampa di Edgar Degas, molto noto a Parigi negli anni 1890.
Munch, Nudo reclinato, visto da dietro (1896)
Edgar Degas, Sonno (1883-5 circa)
Edgar Degas, Sonno (1883-5 circa)
Il bacio (1895)
Munch dipinse varie versioni de “Il bacio”, raffigurando una coppia nuda abbracciata davanti ad una finestra. Come in molte delle sue stampe il soggetto è intensamente passionale. Gli amanti sono nudi e dimentichi di poter essere visti dalla finestra.
Munch, Il bacio (1895)
Il bacio IV (1902)
E’ questa una delle litografie più innovative realizzate da Munch che qui ha sfruttato il pieno potenziale del materiale, usando le venature del legno per unire la coppia in un abbraccio. Il grigio dello sfondo è stato stampato prima e poi vi è stato sovrapposto un blocco con la coppia abbracciata.
Munch, Il bacio IV (1902)
Bohemien di Oslo II (1895)
Queste due litografie rappresentano gli interni fumosi del Gran Cafè, locale di Oslo dove si incontravano scrittori e artisti in quegli anni per discutere i problemi della società e il valore del libero amore. Le emozioni del gruppo di amici sono sottolineate dagli effetti delle linee e dal tono che Munch creò sull’incisione di rame mostrata sotto che funzionò come calco.
Bohemien di Oslo II (1895)
Bohemien di Oslo II (1895)
Stanislaw Przybyszewski (1897)
Munch conobbe lo scrittore polacco Stanislaw Przybyszewski al bar Black Piglet a Berlino. Przybyszewski era un radicale anarchico, i cui racconti avevano come soggetto il satanismo e l’erotismo. Fu un entusiasta supporter del lavoro di Munch e contribuì al primo libro sull’artista, pubblicato a Berlino nel 1894. Munch era fortemente legato a sua moglie, la scrittrice norvegese Dagny Juel.
Munch, Stanislaw Przybyszewski (1897)
Hans Jaeger (1896)
Hans Jaeger, la figura centrale della Oslo bohemien, lavorava come segretario per il governo norvegese. Nel 1885 fu denunciato per blasfemia e comportamento immorale e condannato a 60 giorni di prigione in seguito alla pubblicazione del suo libro “Per una Oslo bohemien”. Le idee di Jaeger incoraggiarono Munch a sviluppare un forte stile soggettivo e autobiografico. La posa frontale e lo sguardo penetrante catturano qui la personalità ipnotica del soggetto.
Munch, Hans Jaeger (1896)
Frieze of life – Il poema della vita
Notte d’estate: la Voce, 1894
Questa opera si ispira al primo tormentato amore di Munch con una donna sposata, Milly Thaulow, durante una visita estiva al villaggio costiero di Asgardstrand. Il volto e il corpo della donna sono suggestivamente inclinati verso l’osservatore. Il riflesso della luna sull’acqua è uno dei ricorrenti simboli fallici di Munch. E’ stata questa una delle prime stampe che Much inserì nella sua Frieze of life, il Poema della vita, una serie di dipinti e stampe concepiti come unità unica che trattava ossessivamente temi cari all’autore, amore, gelosia, ansia e morte. Munch vedeva questi lavori come suoi “bambini” e quando ne vendeva uno ne creava subito un altro per sostituirlo. Nel 1918 diede loro il titolo di Frieze of life.
Munch, Notte d’estate: la Voce, 1894
Donna in tre fasi (1895)
Le “Tre età dell’uomo” – infanzia, età adulta e vecchiaia – sono un soggetto tradizione nell’arte. Qui Munch lo ha trasformato in una simbolica rappresentazione della femminilità, un tema dal quale fu ossessionato nei suoi primi anni da artista. L’innocenza della gioventù nella figura a sinistra è in contrasto con la richiesta amorosa della donna al centro e dalla rassegnata disperazione della vecchia vestita di nero a destra.
Munch, Donna in tre fasi (1895)
Attrazione I (1896)
Sullo sfondo un litorale ondoso visto dalla finestra di un hotel a Asgardstrand. La storia d’amore di Munch con Milly Thaulow iniziò nel 1885 proprio in questo paesino sulla costa. I capelli della donna sembrano legare insieme le due figure e l’intimità tra loro è accresciuta dai loro profondi e grandi occhi neri immersi gli uni negli altri. La tecnica raffinata usata da Munch per questa litografia è un modo per sottolineare le sue abilità come incisore.
Munch, Attrazione I (1896)
Separazione II (1896)
Munch disegnò spesso figure che si stagliavano lungo il litorale di Asgardstrand per esprimere diverse emozioni. Più tardi scrisse di queste composizioni: “Cercavo di simbolizzare la connessione in una coppia separata con l’aiuto delle onde dei capelli lunghi. I capelli lunghi sono una specie di cavo telefonico”
Madonna (1895/1902)
Munch scrisse che in questa immagine aveva dipinto “una donna in uno stato di resa nel quale acquisisce la bellezza afflitta di una Madonna”. Il disegno esplicito di spermatozoi fluttuanti e di un feto sul bordo dell’immagine fu giudicato a quei tempi decisamente oltraggioso. Munch smise di credere nei meriti del libero amore, ma rimase convinto della “santità” dell’atto creativo, qui rappresentato dall’alone rosso intorno alla testa della donna.
Munch, Madonna (1895/1902)
Vampiro II (1895/1902)
Munch scrisse sul suo taccuino diverse versioni della seguente descrizione di questa sua opera: “Lei aveva chinato la testa sulla mia, i suoi capelli rosso sangue mi avevano avviluppato, attorcigliandosi attorno a me come serpenti…”
Fu Przybyszewski a dare il suo sensazionale titolo di “Vampiro” al lavoro che Munch che aveva invece chiamato “Amore e Dolore”. Successivamente scrisse a questo proposito: ” Era il tempo di Ibsen e se alle persone piaceva il nome più terrificante di “Vampiro” – perchè no?”
Il simbolismo fu un movimento letterario e artistico che rigettava la rappresentazione del mondo esterno preferendo dare piuttosto corpo a emozioni e idee.
Munch, Vampiro II (1895/1902)
Testa di uomo tra i capelli di una donna (1896)
Munch ha usato molto spesso i capelli delle donne per rappresentare l’intrappolamento, facendone uno dei suoi motivi preferiti. Il pittore intendeva usare una copia colorata a mano di questa stampa come immagine di copertina di “The Mirror”, un gruppo di 22 stampe sui temi del desiderio, della gelosia e della separazione che sperava di pubblicare in un portfolio. Sebbene non realizzò mai questo progetto, queste stampe ebbero grande importanza in quello che più tardi chiamò Frieze of life
Munch, Testa di uomo tra i capelli di una donna (1896)
Desiderio (1898)
Munch era un talentuoso caricaturista e realizzava disegni umoristici di se e dei suoi amici in cui spesso era coinvolte delle donne. Qui ridicolizza un gruppo di uomini, con le facce distorte dalla libidine, mentre guardano lascivamente una giovane donna. E’ questa una delle poche litografie su soggetto simile, realizzate nel 1898, che Munch stampò lui stesso a mano. La pressione non costante della sua mano è visibile sulla parte superiore.
Munch, Desiderio (1898)
Autoritratto con Tulla Larsen (1905 circa)
Munch conobbe Tulla Larsen a Oslo nel 1898. A giudicare dalle loro espressioni e dalla curiosa figura scura sullo sfondo, sembrerebbe che questo dipinto sia stato eseguito quando la coppia si lasciò in seguito ad un incidentale sparatoria nel 1902 in cui Munch riportò danni permanenti ad una mano. Munch tagliò letteralmente il dipinto in due quando la loro relazione finì del tutto.
Nel 1929 scrisse a proposito dell’incidente: “Si comportava in modo impossibile, con modi brutali, si ubriacò e, alla fine, in uno stato di incoscienza astrale sparò un colpo di pistola e si colpì il braccio…”, Successivamente però asserì di aver scritto questa nota per scrutarsi dentro e che le sue parole non potevano essere considerate una confessione.
Munch, Autoritratto con Tulla Larsen (1905 circa)
Tulla Larsen (1897) – Radiografia che mostra un proiettile nel secondo dito della mano sinistra di Munch
La bambina malata (1907)
Munch impiegò un intero anno a completare questa opera che fu poi esposta a Berlino nel 1892. Il quadro fu molto criticato per la sua cruda durezza, ma portò certamente molta pubblicità all’artista e al suo lavoro. La scena rappresenta la morte della sorella Sophie, portata via dalla tubercolosi a soli 15 anni. Accanto a lei la zia che si era occupata di lei e dei fratelli dopo la morte della loro madre. Munch scrisse che poche sue opere erano riuscite a rappresentare come questa il dolore.
Munch, La bambina malata (1907)
«Credo che nessun pittore abbia vissuto la sua opera fino all’ultimo grido di dolore come me quando ho dipinto La bambina malata […] Non ero solo su quella sedia mentre dipingevo, erano seduti con me tutti i miei cari, che su quella sedia, a cominciare da mia madre, inverno dopo inverno, si struggevano nel desiderio del sole, finchè la morte venne a prenderli.» (Munch)
L’Urlo (1893)
Ecco infine delle opere più importanti ad essere esposte, “L’urlo”, una rara litografia in bianco e nero realizzata da Munch due anni dopo il più famoso dipinto. Questa versione stampata è stata fondamentale per il raggiungimento di una reputazione internazionale di Munch rendendo questa opera la più conosciuta e riconoscibile dell’artista, simbolo dell’ansia umana, talmente universale da essere diventata una emoticon.
Munch, L’Urlo (1893)
La litografia ha un’iscrizione che non è presente nelle versioni a colori più famose:
“Ho sentito un grande urlo attraversare la natura”
Secondo la curatrice della mostra Giulia Bartrum questa annotazione spiega che la figura rappresentata da Munch non urla, come potrebbe sembrare, ma sente un urlo, l’urlo della natura, e spalanca la bocca istintivamente, cercando inutilmente di tapparsi le orecchie. Il titolo dell’opera avrebbe dovuto essere “L’urlo della Natura”.
Munch raccontò di aver trovato ispirazione per il celebre dipinto, dopo aver fatto una passeggiata sulle rive di un fiordo, durante la quale vide il cielo tingersi di rosso e una possente onda avanzare verso di lui dal mare. Il pittore, per la realizzazione dell’”Urlo” sarebbe stato inoltre ispirato dall’immagine di una mummia peruviana della civiltà Chachapoyas, esposta nel 1889 nel Museo di Etnografia del Trocadero a Parigi, la cui fisionomia è effettivamente molto simile a quella del celebre quadro.
To be continued…