Nel 1801 il diplomatico britannico Lord Elgin rimosse i marmi del Partenone di Atene e molte delle sue sculture e le portò in Inghilterra dove vennero acquistati dal British Museum. La polemica sulla legittimità dell’acquisizione dei marmi da parte del museo londinese continua ancora oggi, con il rifiuto da parte del governo britannico di restituirli alla Grecia. Si trattò di salvaguardia del bene o di un vero e proprio saccheggio?
Di seguito il contributo di Brundarte con una ricostruzione storica degli eventi e le foto di sculture, iscrizioni ed elementi architettonici che in origine facevano parte del Partenone e di altri edifici collocati sull’Acropoli di Atene, scattate presso il British Museum di Londra dove sono in esposizione da oltre 200 anni.
DURANTE IL 1700 un Grand Tour in Europa era considerato un rito di passaggio per i figli delle famiglie nobili o benestanti. Il viaggio arrivava a durare fino a tre anni interessando spesso la Svizzera, la Francia e l’Italia, ma il punto culminante per la maggior parte dei viaggiatori era sicuramente la Grecia. All’arrivo ad Atene, i giovani turisti ammiravano l’Acropoli con il suo magnifico Partenone dedicato alla dea guerriera Atena.
Eppure, anche se il Grand Tour diveniva sempre più popolare gettando le basi per il turismo moderno, questo monumento, opera del grande scultore ateniese Fidia, rischiava di scomparire del tutto: sin dal 15 ° secolo la Grecia era governata dall’Impero ottomano, le cui truppe avevano trasformato l’Acropoli in una guarnigione. In seguito il sultano, Mehmed II, lo aveva convertito in una moschea, completa di un minareto.
Nel 1687, durante una guerra combattuta tra Venezia e gli Ottomani, il grande monumento venne usato addirittura come deposito per polvere da sparo. Esposto sull’Acropoli, il Partenone era un bersaglio fortemente vulnerabile, e infatti nel settembre di quell’anno fu bersaglio dei colpi di mortaio veneziani, che provocarono una terribile esplosione distruggendone completamente il tetto e lasciando in piedi solo i frontoni. Successivamente, l’ammiraglio veneziano Francesco Morosini cercò di rimuovere le sculture per portarle a Venezia, ma la puleggia che stava usando si spezzò e le statue, incluso un grande Poseidone, furono fatte a pezzi.
Il saccheggio del Partenone continuò costantemente negli anni successivi. La precarietà del sito, ormai completamente in rovina, incoraggiava i viaggiatori a trafugare reperti, fregi, persino statue nell’indifferenza generale. Addirittura grandi quantità di marmo di quello che restava del Partenone vennero utilizzate per costruire alloggi per le guarnigioni militari. Molti collezionisti occidentali cercarono allora di acquisire i tesori saccheggiati dal Partenone sul mercato nero locale nel tentativo di “salvarli” dalla distruzione, convinti che ciò fosse perfettamente legale in quanto i reperti venivano rimossi con la connivenza delle autorità ottomane. Intere collezioni di statue del Partenone ospitate oggi nei musei di tutto mondo sono state acquisite in questo modo. Il nucleo più famoso e significativo fu portato a Londra a partire dal 1803 dall’ex ambasciatore britannico nell’impero ottomano, il nobile Thomas Bruce, più comunemente noto come Lord Elgin.
Thomas Bruce, settimo conte di Elgin e undicesimo conte di Kincardine, era un aristocratico inglese con una promettente carriera politica. Durante i primi anni di guerra con la Francia rivoluzionaria, ricoprì vari incarichi diplomatici a Vienna, Bruxelles e Berlino. Ritornò nella sua nativa Scozia nel 1796, dove costruì una splendida dimora di campagna a Broomhall.
L’architetto del progetto fu Thomas Harrison, che condivideva la passione del suo cliente per la scultura e l’architettura greca. Nel 1799 furono di nuovo richiesti i servizi diplomatici di Lord Elgin, questa volta come ambasciatore del sultano ottomano Selim III, che voleva promuovere alleanze che lo avrebbero aiutato a rafforzare le difese contro la campagna di Napoleone in Egitto, allora sotto il dominio indiretto ottomano. Prima che Elgin partisse per il nuovo incarico, Harrison lo esortò a usare la sua posizione privilegiata per ottenere disegni e copie dei grandi monumenti della Grecia. Lord Elgin accettò e arruolò una squadra di artisti diretta dal pittore Giovanni Battista Lusieri.
Al loro arrivo, Lord e Lady Elgin furono generosamente accolti dal sultano e Lusieri e il suo team furono inviati ad Atene per disegnare antiche opere d’arte come richiesto da Harrison. A Lusieri venne data piena libertà nello svolgere il suo lavoro tranne che per l’Acropoli, per accedere alla quale gli ottomani chiesero ingenti pagamenti rifiutandosi di lasciare che il pittore allestisse anche solo un’impalcatura. Lusieri chiese quindi a Lord Elgin di richiedere al sultano stesso un permesso speciale.
Il 6 luglio 1801, Lord Elgin ricevette l’autorizzazione non solo per studiare e realizzare calchi delle sculture, ma anche per rimuovere qualsiasi pezzo gli interessasse, o almeno così Elgin interpretò questo passaggio ora controverso scritto dal sultano: “Se desiderano portare via alcuni pezzi di pietra con iscrizioni e figure antiche, non ci si deve opporre ”. E così, con consenso del governatore di Atene, Lusieri e i suoi uomini smantellarono gran parte del fregio del Partenone, nonché numerosi capitelli e metope e, nel 1803, l’enorme collezione di marmi fu raccolta in circa duecento scatole, caricate su carri e trasportate al porto del Pireo in attesa del loro trasferimento in Inghilterra.
L’intera controversia tra il governo greco e quello britannico sulla legittimità di questa “operazione” si basa sull’interpretazione del documento emesso dal sultano Selim III a Elgin e che è stato usato come giustificazione per il prelievo dei i marmi. Nonostante l’ambiguità della lingua del decreto, lo studio condotto nel 1967 dallo storico britannico William St. Clair “Lord Elgin e i Marmi”, concluse che il sultano non consentiva la rimozione e l’esportazione di statue e rilievi dal Partenone. La clausola che autorizzava gli inglesi a prendere pietre “con iscrizioni e figure antiche” si riferiva probabilmente ad eventuali oggetti trovati negli scavi condotti sul sito, non alle opere d’arte che adornano i templi. Anche Elgin e i suoi collaboratori riconobbero che questo atto fu probabilmente illegale, ma lo giustificarono come un modo per salvare i pregiati pezzi antichi dal degrado e dal saccheggio cui erano stati sottoposti sotto il dominio ottomano.
Gli operai di Elgin rimossero un totale di 15 metope dal Partenone e presero anche circa 7 metri e mezzo – poco meno della metà – dell’intero fregio, rimuovendo inoltre una delle cariatidi dal vicino portico dell’Eretteo e quattro frammenti dal fregio del tempio ad Athena Nike.
I difensori di Lord Elgin sostengono che la rimozione dei marmi ne assicurò la conservazione, i suoi critici sottolineano invece che i britannici storicamente si sono dimostrati piuttosto impreparati nella conservazione e nel restauro: i marmi erano infatti coperti da una patina scura, una decorazione applicata anticamente, ma il restauro, effettuato negli anni ’30 con metodi fortemente aggressivi, la eliminò completamente alterandone il colore (ora bianco) e le superfici.
Il trasporto dei marmi nel Regno Unito fu difficile sin dall’inizio: una delle navi che li trasportava affondò vicino all’isola di Kýthira e il carico di tesori rimase sul fondo del mare per due anni prima di essere recuperato. Le ostilità con la Francia e la possibilità che il tesoro cadesse in mani francesi, portarono Elgin a richiedere che una nave da guerra britannica, attraccata nel porto del Pireo vicino ad Atene, prendesse le sculture più pesanti dai frontoni del Partenone. Elgin era riuscito a mantenere i marmi lontano dalle mani dei francesi, ma fu lui ad essere da loro catturato e imprigionato per tre anni, fino quindi al 1806, mentre attraversava la Francia durante il suo viaggio di ritorno verso Londra. Una volta liberato e tornato a Londra, iniziò subito nuove trattative per convincere il governo ottomano ad autorizzare la partenza della seconda spedizione di statue che lasciò il Pireo nel 1809.
Una volta che statue e rilievi giunsero in Inghilterra, Lord Elgin propose di metterli in mostra al pubblico – un’idea nobile, minata però dalla sua intenzione di “restaurare” le statue ricreando le parti mancanti di ogni pezzo. Per fare questo avanzò il nome del più importante scultore neoclassico dell’epoca, Antonio Canova. L’artista veneziano però si rifiutò di toccare e alterare quei tesori, convinto che anche solo sfiorarli con uno scalpello sarebbe stato un sacrilegio. I marmi arrivati in Gran Bretagna vennero intanto esposti in una casa a Park Lane, ottenendo un successo di pubblico incredibile e attirando un numero enorme di artisti e accademici.
I costi di spedizione dei marmi furono pagati interamente da Lord Elgin che calcolò di aver speso un totale di £ 74.000, tra costi vivi e tangenti, più di un milione di dollari di oggi. Nonostante il suo titolo, Elgin non era un uomo molto ricco, specialmente dopo il 1808 quando dovette affrontare un rovinoso divorzio, e per questo fece forti pressioni sul governo britannico perchè acquistasse la collezione. Nel 1816 il Parlamento creò una apposita commissione per valutare l’offerta di Elgin, una decisione che suscitò grande scalpore sulla stampa: il paese era diviso tra coloro che ritenevano che i marmi dovessero essere acquistati per la nazione e quelli che li consideravano uno spreco di denaro; altri invece, come il poeta Byron, condannavano fortemente Elgin per averli presi.
I negoziati per la vendita delle sculture del Partenone alla corona britannica scatenarono una polemica infuocata sul valore artistico dei pezzi. Dovevano essere acquistati con denaro pubblico? Ed era stato legale portarli fuori dalla Grecia?
Nel 1816 la commissione fissò finalmente il prezzo dei marmi a £ 35.000 (circa 500.000 dollari attuali), in pratica meno della metà del prezzo richiesto da Elgin. Il Parlamento approvò l’acquisto con un margine molto stretto: 82 voti a favore e 80 contrari. Lord Elgin, da sempre fedele patriota, rifiutò offerte migliori da parte di altri governi e sostenne sempre con forza l’idea che i marmi avrebbero aggiunto fulgore all’immagine imperiale britannica. Fu lungimirante e il tempo gli diede ragione: una delle più grandi opere d’arte della storia dell’umanità era ospitata nel cuore di Londra, pubblicizzando in tutto il mondo, e ad un costo relativamente veramente basso, una immagine civile e benefattrice dell’Impero britannico.
Dopo una collocazione temporanea in una sede provvisoria, i marmi vennero trasferiti nella Sala Elgin del British Museum nel 1832. Poiché l’esposizione aveva uno scopo educativo rivolto soprattutto ad artisti e studiosi, i pezzi originali, circa il 60%, furono esposti insieme a stampi dei frammenti mancanti. Negli anni ’30 iniziarono i lavori per una nuova sala che avrebbe accolto solo gli originali, la cui superficie e il cui colore erano stati però purtroppo alterati a causa di una pulizia eccessiva ed eseguita con prodotti inadeguati in preparazione all’esposizione. La Galleria Duveen, dal nome dell’imprenditore che la finanziò, fu completata nel 1938, ma l’installazione dei marmi nella sala fu interrotta dalla seconda guerra mondiale. Durante le incursioni naziste a Londra, i marmi furono messi nei depositi e la Galleria Duveen stessa subì gravi danni in seguito ai bombardamenti. Lo spazio fu poi restaurato e finalmente aperto al pubblico nel 1962.
Cosa chiede il Governo della Grecia
Dall’inizio degli anni ’80, i governi greci hanno richiesto la restituzione ad Atene di tutte le sculture del Partenone esposte al British Museum. Il governo greco ha anche contestato il titolo di possesso delle sculture del British Museum.
La posizione del British Museum
Il British Museum racconta la storia della cultura e dell’arte di tutto il mondo, dagli albori della storia dell’umanità, più di due milioni di anni fa, fino ai giorni nostri. Il museo è una risorsa unica per il mondo: la maestosità della collezione consente al pubblico mondiale di riesaminare le identità culturali ed esplorare le connessioni tra di loro.
Nel contesto di questa ineguagliabile collezione, le sculture del Partenone rappresentano un’importante rappresentazione della cultura dell’antica Atene. Milioni di visitatori da tutto il mondo ammirano la bellezza delle sculture ogni anno gratuitamente. Il museo fornisce inoltre approfondimenti su come l’antica Grecia abbia influenzato e sia stata influenzata dalle altre civiltà con cui è venuta in contatto.
Il Museo dell’Acropoli consente di apprezzare le sculture del Partenone di Atene sullo sfondo dell’antica storia greca e ateniese. Questo non altera la visione del British Museum secondo cui le sculture fanno parte del patrimonio comune di tutti e trascendono i confini culturali. Il Museo rimane della convinzione che l’attuale collocazione delle sculture del Partenone consenta di raccontare storie diverse e complementari sulle sculture sopravvissute, evidenziandone il significato per la cultura mondiale e affermando l’eredità universale dell’antica Grecia.
Sala 18 del British Museum
Il Partenone è il monumento simbolo dell’Acropoli di Atene e dell’intera Grecia. La sua costruzione è attribuita agli architetti Ictino e Callicrate, sotto la supervisione dello scultore Fidia responsabile dell’intero complesso, e fatta risalire al 447 a. C. quando si volle sostituire una struttura incompleta di cui però venne copiata la tipologia, i materiali e la pianta. Il tempio è dedicato ad Atena Parthenos, la Vergine, protettrice della città. La costruzione del Partenone si protrasse per 9 anni mentre la decorazione scultorea fu completata nel 432 a. C..
Le grandi dimensioni del tempio e l’uso sontuoso del marmo bianco avevano lo scopo di mettere in mostra il potere e la ricchezza della città al culmine del suo impero. La sala 18 espone sculture che un tempo decoravano l’esterno dell’edificio.
I frontoni e le metope (spazi quadrati tra i triglifi in un fregio dorico) illustrano episodi del mito greco, mentre il fregio rappresenta il popolo di Atene contemporanea in processione religiosa.
Le sale 18a e 18b presentano frammenti della scultura del Partenone e anche pezzi di architettura.
Highlights
Statua senza testa di Ilissos (m. 2,00 x 1,16), la divinità greca dei fiumi, prelevata dal frontone occidentale del Partenone
Figura di Dioniso, Atene, Grecia 438-432 aC
Metopa del lato sud appartenente al ciclo della Centauromachia raffigurante un Centauro e un Lapite, Atene, Grecia 447 – 438 aC
Cavalieri, Atene, Grecia 438 – 432 aC
Il fregio mostra la processione panatenaica che avveniva in occasione della commemorazione del compleanno della dea Atena
Figure femminili provenienti dal Partenone di Atene, Grecia, 438 – 432 aC
Si tratta forse di Hestia, Didone e di sua figlia Afrodite, scolpite in un unico blocco di marmo. Hestia è seduta a gambe leggermente divaricate, voltata sulla destra, mentre Didone accoglie Afrodite reclinata e con la spalla destra scoperta
Testa di cavallo, Atene, Grecia 438 – 432 aC
E’ questa forse la più famosa e la più amata di tutte le sculture del Partenone. Il marmo cattura l’essenza dello sforzo compiuto dall’animale che ha trascorso l’intera notte a trainare il carro della Luna.
Fonti: