Nel Museo Archeologico “F. Ribezzo” di Brindisi è conservato il rilievo anonimo datato al 22 marzo del 1888, del bacino di raccolta di un acquedotto romano situato in località denominata “Pozzo di Vito”. Il complesso, senza ombra di dubbio di età romana imperiale, venne alla luce nel 1864, quando il Consiglio Comunale della provincia di Lecce affidò all’idrologo francese A. Mauget il compito di esaminare sommariamente i territori della provincia al fine di costruire pozzi, del tipo artesiano, per una maggiore irrigazione delle campagne.
Chi esce dal centro storico di Brindisi vede ancora i resti dell’antico Acquedotto sulla sinistra di Porta Mesagne.
Fu l’insigne archeologo Giovanni Tarantini a sostenere che l’acquedotto romano, nel suo percorso originario, versava l’acqua in vasche limarie, dove venivano lasciate in riposo per qualche tempo per consentire il deposito delle sostanze terrose in sospensione, e quindi distribuiva l’acqua potabile alle 24 fontane che Brindisi aveva nel tempo della sua grandezza.
Ma, andiamo con ordine, ritorniamo all’Acquedotto che parte da località Pozzo di Vito nell’omonima contrada, sulla sponda orientale del canale Lapani.
Questa vasca del diametro di m. 7,50, deve il suo nome, secondo la tradizione orale, a un curioso incidente avvenuto in tempi lontani. Un agricoltore di nome Vito attraversando la campagna all’imbrunire, vi finì dentro con il suo carro e la coppia di buoi che lo trainava.
La forma circolare del pozzo è circondata da un muro in calcestruzzo (opus caementicium) rivestito di quadretti tufacei in opus reticulatum per uno spessore complessivo di m. 0,80. Una fascia di terreno circostante di mq. 726 è da tenere incolta perchè ritenuta per legge zona di rispetto.
Il condotto che porta l’acqua alla città ha forma di un tunnel con altezza di m. 2 e larghezza di m. 1,40.
Il percorso complessivo dell’acquedotto è di circa 12 km con una profondità media di m. 11,60; e, per tutta la sua lunghezza, contava fino al secolo scorso, dei torrini o pozzetti che servivano per l’ispezione, la pulizia e la manutenzione della conduttura.
Una volta arrivato in città, dopo aver attraversato le masserie Marmorelle e Restinco, la ferrovia Bari-Brindisi e il canale Cillarese, l’acquedotto si saldava al Bastione San Giorgio o de Agua.
E’ molto difficile datare tale opera pubblica e diversi sono i pareri degli studiosi: il Camassa afferma che sia da riportarsi all’età di Claudio, l’opus reticulatum si adatterebbe a tale epoca, ma il prof. Marangio, considerando che la romanità in Brindisi ha avuto un processo lento, afferma che la datazione potrebbe essere spostata intorno al II secolo d.C. Aggiunge il prof.Carito che forse l’acquedotto, detto prima dell’acqua Asiana e poi dei Patrici, venne restaurato in età costantiniana.
Chi esce dal centro storico vede ancora i suoi resti sulla sinistra di Porta Mesagne.
Come detto in precedenza, l’acqua proveniente dal Pozzo di Vito entrava nelle cinque Vasche Limarie che hanno una lunghezza complessiva di m. 51 e una larghezza di m. 11,20.
Addossati alla muratura perimetrale si notano 5 barbacani (muratura di sostegno) in mattoni.
Questo prezioso monumento fu interrato da Carlo V nel 1530, quando cinse la città di nuove mura, e Ferdinando Alarcone, da lui incaricato di formare i terrapieni nell’interno, fece cadere la volta del serbatoio perchè superava l’altezza delle nuove fortificazioni.
Fortunatamente per noi, una commissione governativa qui recatasi nel 1886 diede parere favorevole alla sua conservazione.
Il 23 aprile 2014 abbiamo visitato la mostra “Castelli di Puglia tra Angioini e Aragonesi” nella splendida cornice delle Vasche Limarie, nell’ambito del Programma delle Attività Culturali per il triennio 2013-2015 del D.G.R. n. 1862/2012 organizzato dall’Amministrazione Comunale di Brindisi. Questo ci ha consentito di fotografare, da posizione privilegiata, l’interno e l’esterno dello storico monumento che, speriamo, possa riaprire presto i battenti.
Non poteva mancare una foto delle Vasche Limarie del 1986, della Fototeca Briamo presso la Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” – Brindisi.
Bibliografia:
C. Marangio, L’acquedotto romano di Pozzo di Vito attraverso rilievi inediti del 1888 (in Brundisii Res, 1971);
G.T. Andriani, Brindisi da Capoluogo a Capitale (pp.78-9);
G. Carito, Brindisi Nuova Guida (pp. 87-92, 95);
M. Carlucci, Appunti di studio