Quando Ferdinando de Alarcon, generale della Cavalleria ed esperto uomo d’armi, già castellano di Brindisi al servizio degli ultimi Aragonesi, vi ritornò per ordine di Carlo V, con l’incarico di ispezionare la città e disporre i lavori di fortificazione che avesse ritenuto indispensabili alla sua difesa, constatò che essa era scoperta dalla parte di terra. Per rimediare a questo, dice lo storico brindisino: nell’anno 1530, iniziò la costruzione di una cinta muraria con l’edificazione del gran Torrione di San Giacomo, “il quale quasi un picciol castello, guarda da due parti la città e posto nell’angolo di mezzogiorno difende la muraglia che corre verso il Levante e l’altra verso Tramontana; ha le sue parti sotterranee con bombarde proporzionate per offender il nemico per ogni parte ch’egli si scuopre di campagna (A. Della Monaca, Memoria Historica pp. 641-2)“. Ne fece erigere anche un altro fra detto Torrione e il Castello Grande, chiamato Bastione San Giorgio, che oggi non esiste più, in quanto distrutto per la costruzione della Stazione ferroviaria. La muraglia, che doveva saldarsi al Castello grande rimase incompleta perché sufficiente, tuttavia, per la vicinanza alle fortificazioni esterne dell’anzidetto Castello, a respingere il nemico. Di tale muraglia ci restano gli avanzi, ancora visibili, in via De’ Carpentieri.
Secondo gli autori moderni il bastione di S. Giacomo fu, probabilmente solo ristrutturato nel XVI secolo. Esso non può ritenersi costruito in tale periodo perchè raffigurato nella pianta di Brindisi quattrocentesca del Pacichelli, e, perchè mancano molti elementi tipici delle fortificazioni dell’età di transizione.
“Il Torrione costruito probabilmente durante la dominazione sveva, allo scopo di inserire la collina di levante all’interno della cinta muraria, rimase pressoché immutato sotto la dominazione angioina. Il bastione venne totalmente ristrutturato in epoca aragonese per adibirlo all’utilizzo dei pezzi di artiglieria, in linea con le nuove tecniche costruttive militari. Così venne modificato a pianta pentagonale e dotato di parapetti, merlature, camminamenti per la ronda delle guardie e feritoie oblique per l’osservazione dell’area limitrofa.”
De Alarcon, però, anche se le vecchie fortificazioni non garantivano più un’adeguata protezione, con ogni probabilità si astenne dal compiere interventi radicali sul bastione, proprio per la prossimità della palude Palmarini-Patri che garantiva una protezione naturale.
La palude, quindi, impediva l’attacco ravvicinato e rendeva impossibile condurvi sotto l’artiglieria. Il Bastione doveva servire principalmente per la difesa a distanza, il che sconsigliava un ridimensionamento in altezza. Alti parapetti difendono la piazza alta; nello spessore dei merli, vi sono spioncini obliqui con vista sulla campagna circostante. Sulla faccia del baluardo che guarda a sud-ovest sono gli stemmi di Carlo V e Ferdinando de Alarcon. E’ da rilevare che, sotto il muro occidentale del Bastione di San Giacomo vi è un impianto idraulico, presumibilmente di età romana.
Il bastione fu dedicato a S. Giacomo, santo protettore della Spagna.
Una volta cessata la funzione militare, fu adibito a pubblico mattatoio, nel 1886 era diventato un deposito di petrolio. Nel 1897 era adibito, in parte a deposito doganale; nel XX secolo ha avuto le più disparate utilizzazioni.
Un ingresso si colloca sulla collinetta, in Via Nazario Sauro, e consente l’accesso a tre ambienti con volte a botte, posti sopra altrettanti locali, cui si accede dall’ingresso principale, posto sempre sulla stessa via. Anche questi ambienti presentano una volta a botte. Accanto all’ingresso principale, una scala conduce agli ambienti ipogei, recentemente restaurati. Un’altra scala interna permette di accedere dal piano principale alla terrazza merlata.
Il bastione è attualmente di proprietà del Comune di Brindisi e viene adibito a manifestazioni o eventi culturali ed artistici.
(Bibliografia: Giacomo Carito – Le mura di Brindisi: sintesi storica; Castelli di Puglia: Il Bastione San Giacomo di Brindisi
di Cosimo Enrico Marseglia su Corriere Salentino; A. Della Monaca, Memoria Historica)
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