Il divario di genere nella storia dell’arte – Artiste alla National Gallery di Londra

Presso la National Gallery di Londra, su una collezione di oltre 2.300 dipinti che vanno dal XIII al XX secolo, ce ne sono pochissimi, 21 per la precisione, eseguiti da donne. Alcune di queste coraggiose pittrici, nonostante gli ostacoli che hanno dovuto affrontare, senza alcuna formazione artistica, con l’esclusione dai corsi di disegno dal vivo maschile, sopportando spesso molestie e pregiudizi,  sono riuscite  grazie alla loro determinazione e all’immenso talento ad ottenere successo e popolarità. Riteniamo importante quindi riconoscere, anche sulle nostre pagine, i loro risultati e celebrarle come esempio per tutte le donne che per affermarsi devono ancora oggi affrontare gravi difficoltà semplicemente per il loro genere.

Autoritratto di Artemisia Gentileschi nelle vesti di Santa Caterina d’Alessandria (1614-1616)
Questo raro pezzo della pittrice romana Artemisia Gentileschi è costato alla National Gallery, che con grande lungimiranza sta guardando all’arte femminile, 4.300.000 euro circa. Noi lo abbiamo potuto ammirare gratuitamente. Per secoli era stato di proprietà di una famiglia francese, prima di essere messo all’asta, lo scorso dicembre, ed acquistato da un mercante d’arte londinese. La National Gallery ha voluto acquisirlo con impegno “corale”, basato sul supporto dell’American Friends of the National Gallery, della National Gallery Trust, dell’Art Fund (attraverso l’eredità di Sir Denis Mahon), Lord e Lady Sassoon, Lady Getty e Hannah Rothschild CBE e di altri donatori, alcuni dei quali hanno voluto rimanere anonimi. Il restauro del dipinto – che prima di essere esposto al pubblico è stato sottoposto a specifici trattamenti – è stato invece reso possibile grazie al contributo di Art Fund.
Questa tela ci offre un’occasione unica per ammirare la pittura di Artemisia Gentileschi, la prima donna entrata a far parte dell’Accademia del Disegno di Firenze, un’artista dal talento straordinario, capace di emergere in un mondo dominato dagli uomini e di far fronte con coraggio a una esistenza travagliata, durante la quale fu violentata appena diciottenne da un collega del padre, il pittore Agostino Tassi, contro cui seppe difendersi strenuamente nel corso del processo che ne seguì, subendo interrogatori umilianti e persino violente torture fisiche. Artemisia accettò infatti per farsi giustizia di testimoniare sotto tortura per provare la sua verginità precedente allo stupro e venne sottoposta alla sibilla, supplizio progettato per i pittori, che consiste nel fasciare loro le dita delle mani con delle funi fino a farle sanguinare.
Già affermatasi agli occhi dei suoi contemporanei – tra i suoi committenti figuravano il Granduca di Toscana, il re Carlo I d’Inghilterra e Filippo IV di Spagna – Artemisia seppe identificarsi e rappresentarsi sempre nei panni di una donna forte, un’eroina capace di affermare se stessa a dispetto delle avversità come in questo autoritratto in cui Artemisia ci guarda, travestita dalla santa che aveva sconfitto cinquanta teologi pagani in una contesa di retorica ed era poi sopravvissuta alla tortura della ruota.
Non facciamole però il torto di considerare la sua opera solo come riscatto o sublimazione dalle violenze subite, perchè i suoi quadri esprimono invece una potenza e una varietà che vanno oltre la sua vicenda personale. I generi che lei affronta sono decisamente lontani da quelle pitture femminili nelle quali si erano avventurate le altre (poche!) pittrici sino ad allora (nature morte, paesaggi, ritratti), affrontando invece la pittura “alta”, con soggetti sacri e storici. E per una volta non valutiamo la Gentileschi in quanto donna, ma come una grande artista che svolse un importante ruolo nella prima metà del XVII secolo nell’ambito dei pittori caravaggisti.
Autoritratto di Artemisia Gentileschi nelle vesti di Santa Caterina d’Alessandria (1614-1616)

 Autoritratto con cappello di paglia  di  Elisabeth Louise Vigée Le Brun (1782)

Vigée Le Brun nacque a Parigi nel 1755. Cominciò a dipingere insieme al padre, anch’egli pittore, che però morì quando lei aveva solo 12 anni. L’apprendistato con lui fu quindi piuttosto breve, ma la famiglia era fortemente legata agli ambienti artistici per cui ebbe l’opportunità di conoscere diversi pittori che la incoraggiarono a proseguire gli studi, cosa realmente difficile perchè a quei tempi le donne non potevano accedere a corsi ufficiali. La sua determinazione la portò a raggiungere una discreta produzione di ritratti già a 14 anni, tanto da diventare discretamente famosa. Fu a causa della notorietà raggiunte che, quando aveva 19 anni, le autorità le confiscarono pennelli, colori e tutto il materiale perchè esercitava la professione senza aver seguito corsi accademici. Numerosissime furono le calunnie che, ancora prima della Rivoluzione francese, circolavano sul suo conto: troppo bella, libera, ambiziosa, sicura di sè, indipendente.  Si sposò con un commerciante d’arte , ma fu un matrimonio  senza amore, tormentato, che terminò con il divorzio solamente nel 1794, benché di fatto la coppia fosse separata già dal 1789.

Nel 1777 Vigée Le Brun aveva però incontrato la giovane regina Maria Antonietta diventandone immediatamente amica, confidente e pittrice prediletta, tanto che nel decennio dal 1778 al 1788 realizzò una trentina di ritratti della sovrana. Questo rapporto le permise di avere accesso alle corti di tutta Europa nonché di ricevere grandi riconoscimenti, tra i quali quello, inusuale per una donna del tempo, di essere membro dell’Académie Royale de Peinture et de Sculpture. L’amicizia con la regina le procurò però anche seri problemi e il 6 ottobre 1789 (ovvero il giorno dopo che Luigi XVI e Maria Antonietta vennero condotti da Versailles a Parigi) Elisabeth, per sfuggire alla Rivoluzione, fu costretta a scappare precipitosamente dalla Francia alla volta dell’Italia con la figlia Julie e una cameriera. Qui trascorse molti anni,  tra Napoli e Roma, diventando una delle ritrattiste più ricercate del suo tempo: alla sua morte lasciò ben seicento ritratti e duecento paesaggi.

E’ giunta però l’ora di conoscerla ammirando il suo autoritratto: ci guarda sicura nel suo elegantissimo vestito ricco di fronzoli, ma stringe tra le mani i suoi pennelli e la tavolozza dei colori,  rappresentandosi quindi da un lato come una donna raffinata e bellissima, ma dall’altro come una artista. Sembra dirci “sono una donna, sono una pittrice, posso essere entrambe”!

 Autoritratto con cappello di paglia  di  Elisabeth Louise Vigée Le Brun (1782)

Fiori in un vaso di Rachel Ruysch –  (1685 circa)

Sebbene molti  oggi non conoscano il suo nome, i quadri di Rachel Ruysch erano più venduti e quotati di quelli di Rembrandt, solo per fare un esempio. E’ certamente una delle artiste presenti alla National Gallery che ha lasciato una maggiore documentazione del suo lavoro, avendo avuto una carriera lunghissima, pur essendosi sposata e avendo avuto ben 10 figli.

Cresciuta nell’Olanda del XVII secolo, apparteneva ad una famiglia di illustri artisti: la madre era figlia di un grande architetto, il prozio era il pittore Frans Post e suo padre, Frederick Ruysch, era un famoso medico, professore di anatomia e botanico, particolarmente famoso per il suo museo privato dove esponeva la sua insolita collezione di ogni tipo di esemplari per cui aveva sviluppato una particolare forma di imbalsamazione che teneva segreta e gli permetteva di conservare in perfetto stato parti del corpo umano, insetti, fiori e piante. Rachel aiutava spesso il padre in questi lavori di conservazione e aveva il privilegio di osservare da vicino tutte queste specie. Queste prime esperienze, il meraviglioso giardino botanico di famiglia e il facile accesso a una biblioteca di libri di botanica furono sicuramente di ispirazione per la  sua pittura. Come donna inoltre, le era vietato studiare il nudo maschile, motivo per cui non poteva acquisire le competenze necessarie per affrontare argomenti storici o biblici. Per questo motivo si specializzò nel dipingere fiori, cosa piuttosto comune per le artiste olandesi del tempo: le pittrici potevano trovare facilmente questo soggetto nelle loro case, senza uscire se non in giardino, e potevano dipingere senza avere alcuna conoscenza di anatomia.   Dall’età di 15 anni quindi Rachel studiò con il pittore di nature morte Willem van Aelst ad Amsterdam e si specializzò in questo genere. I suoi dipinti si distinguono per la loro tridimensionalità e per l’uso della luce.

Nel 1701 divenne la prima donna membro di una associazione di artisti e dal 1708 al 1716 fu pittrice di corte a Düsseldorf. Certamente essere sposata ad un pittore fu importante perchè veniva compresa e supportata dal marito che di lei aveva grandissima stima.  Sappiamo che continuò a  dipingere esclusivamente per passione in quanto  nel 1722 lei ed il marito vinsero una lotteria con un jackpot  milionario che li rese ricchissimi. Non si può negare che sia stata avvantaggiata dall’essere nata in Olanda, paese che teneva maggiormente in considerazione i diritti delle donne e consentiva loro di avere un lavoro e dei guadagni indipendenti dal marito.

Fiori in un vaso
Le composizioni di Ruysch sono caratterizzate da curve forti, assi diagonali e da una illuminazione drammatica: qui la luce cade sui fiori dal basso a sinistra verso l’alto a destra, lasciando in ombra le peonie chiuse ai margini. Sullo sfondo scuro, la sua tavolozza sofisticata crea un impeccabile senso di profondità e tridimensionalità. Si riconosce lo stile del suo insegnante, van Aelst, sviluppato però verso un modo più decorativo e con colori più chiari.

La sua precisa conoscenza dei fiori e degli insetti, acquisita lavorando con suo padre, è  qui riconoscibile nei bruchi, nella formica e nella cavalletta in primo piano.

Fiori in un vaso di Rachel Ruysch –  (1685 circa)

 

 Bibliografia
The National Gallery – Piccola Guida – Erika Langmuir

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