Il Louvre custodisce le sue ricchezze in un complesso di edifici tanto imponente da valergli la fama di museo “più grande del mondo”. Ma, oltre ad essere un museo, è anche un’opera architettonica eccezionale, un monumento modellato da otto secoli di storia, tumultuosa e a volte tragica, che ha coinciso con quella della Francia e dei suoi sovrani.
Visitiamo qui insieme la Galleria Michelangelo del Louvre e i suoi tre secoli di scultura italiana
La galleria ospita grandi capolavori di scultori italiani che per quasi tre secoli hanno gareggiato tra loro per trasferire le emozioni umane sulla pietra: ed ecco quindi qui rappresentati grandi nomi come Benedetto Antelami, Nicola e Giovanni Pisano, e poi Donatello, Ghilberti, Jacopo della Quercia, Agostino Duccio e tantissimi altri fino al genio di Michelangelo, artista che domina la prima metà del Cinquecento e dà il nome alla galleria, a Benvenuto Cellini, Gian Lorenzo Bernini e al grande Canova.
Durante il Secondo Impero (1852-1870), il palazzo che oggi ospita il Louvre era sia museo che sede del potere imperiale. Fu in quegli anni che Napoleone III fece costruire dai suoi architetti, Louis Visconti e Hector Lefuel, nuovi spazi per ospitare collezioni d’arte, come la Galleria Michelangelo.
Costruita tra il 1854 e il 1857, questa nuova galleria era l’accesso ufficiale alla Salle des États dove si tenevano le principali sessioni legislative sotto il Secondo Impero. Era anche la sede dell’esposizione di sculture durante l’annuale Salon, un importante evento artistico dell’epoca che dava agli artisti viventi la possibilità di mostrare il loro talento.
Il progetto di Hector Lefuel si ispirò al suo predecessore, l’architetto Pierre Fontaine. Quest’ultimo aveva lavorato al Louvre sotto diversi regimi politici per tutta la prima metà del XIX secolo. La sua visione nella Salle des Cariatides e nella Galerie Angoulême ispirò Lefuel a creare le ampie volte delle gallerie Michelangelo e Daru, così come il pavimento in marmo dai colori vivaci.
Grandi finestre su entrambi i lati della galleria inondano lo spazio di luce naturale. Ciò ovviamente non si addice ai dipinti, ma è particolarmente adatto all’esposizione di sculture in marmo bianco, bronzo o terracotta.
Da Michelangelo a Canova
La Galleria oggi offre una panoramica della scultura italiana dal XVI al XIX secolo. Ma è Michelangelo che vi trionfa con i suoi Schiavi, due capolavori che facevano parte di un progetto incompiuto per il monumento funebre di Papa Giulio II. Già prima ancora di entrare nella galleria, i visitatori possono ammirare da lontano il cosiddetto Schiavo morente, in uno stupefacente gioco di prospettive.
Lo Schiavo è addossato ad un portale monumentale alle sue spalle, decorato con le figure di Ercole e Perseo. Originariamente eretto nel Palazzo Stanga di Castelnuovo a Cremona, la sua forma ricorda quella di un antico arco di trionfo.
Le due famosissime statue erano destinate, come detto, al mausoleo di papa Giulio II, progetto che impegnò gran parte della carriera di Michelangelo e che, con suo gran dispiacere, non fu mai portato a termine. Incompiute forse a causa di difetti apparsi nel marmo, furono donate dallo scultore al compatriota Roberto Strozzi, che ne fece omaggio a sua volta al re di Francia. Al di là della loro bellezza formale, ancora oggi non vi sono certezze sul significato di questi Schiavi, che dovevano forse rappresentare i territori sottomessi da un papa guerriero, le arti ridotte in schiavitù dopo la morte del pontefice o l’anima asservita dalle passioni terrestri e prigioniera del suo involucro corporeo.
I marmi hanno avuto una storia molto movimentata, passando per diversi proprietari. Per più di 200 anni sono stati esposti all’aperto, sulle facciate dei castelli di Ecouen e di Richelieu e hanno raggiunto il Louvre nel 1794, dopo essere state confiscate durante la Rivoluzione.
Nella stessa sala
Deposizione
Umbria o Lazio metà del Duecento
Legno policromo
La Vergine e il bambino
Ravenna, 1300-1315
L’opera fino al 1780 si trovava senza dubbio a Ravenna, nel chiostro della chiesa di San Francesco dei Francescani, probabilmente posto vicino al nascondiglio in cui era stato deposto il corpo di Dante Alighieri (1265-1321). Probabilmente fu acquisita a Ravenna, nel 1860 circa , dal barone Jean-Charles Davillier (Roma, 1823 – Parigi, 1883), e lasciata al Louvre per testamento del 10 gennaio 1871. Un calco è al Museo Dantesco di Ravenna.
Studio Lorenzo Ghiberti
La Vergine e il Bambino
Firenze, 1378 – 1455
Attribuito a Domenico De Niccolò dei Cori
L’annunciazione
luogo di provenienza San Paolo a Ripa d’Arno a Pisa
1415 circa
La statua in legno policromo proviene, secondo il venditore, dalla chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno in Pisa. Acquistato dall’antiquario fiorentino Stefano Bardini (Pieve di Santo Stefano [provincia di Arezzo], 1836 – Firenze, 1922) e venduto al Louvre nel 1888.
Luca della Robbia il giovane
Cristo sul Monte degli Ulivi
Barga, 1485-1515
Luca il Giovane è uno dei cinque figli di Andrea Della Robbia, tutti attivi nelle stesse produzioni artistiche nella bottega di famiglia. Una disputa sui segreti della realizzazione dei loro bassorilievi colorati lo mise contro Santi Buglioni, il cui zio paterno Benedetto Buglioni era stato discepolo di Andrea della Robbia.
Luca della Robbia il Giovane si recò in Francia nel 1529 per raggiungere il fratello minore Girolamo (1517 passato al servizio di Francesco I) e soprattutto per evitare il contagio della peste, con la secondogenita Bartolomea di Leonardo Altoviti, dopo la morte per peste nel 1527 della prima moglie Agnoletta Falconieri; i Buglioni diventano quindi gli unici detentori in Italia dei segreti dei della Robbia nell’opera della terracotta (Vasari sostiene che questi segreti siano stati presi ai Della Robbia da una donna che frequentava la loro casa).
Questa pala potrebbe provenire forse da Barga (Toscana). Fa parte della collezione del marchese Giampietro Campana (Roma, 1807-Roma, 1880), direttore generale del Monte di Pietà di Roma fino al 1857, venduta con contratto del 20 maggio 1861, ratificato dalle assemblee del 26 giugno 1861 e con legge del 2 luglio 1861. Esposto al Palais de l’Industrie, 1 maggio – 6 ottobre 1862. Ingresso al Louvre, con decreto dell’11 luglio 1862, nel novembre 1862.
Donatello (1386-1466)
Madonna con il Bambino
1440-1445 circa
Rilievo, terracotta policroma
Donatello è uno dei massimi rappresentanti del Rinascimento fiorentino. Oltre ad essere il primo a realizzare statue totalmente svincolate dall’architettura, crea anche un nuovo tipo di rilievo, detto “schiacciato”, che denota una profonda sensibilità prospettica e un grande senso degli effetti atmosferici. L’espressione dei personaggi è intensa e interiorizzata: la Madonna è immersa nella contemplazione del bambino che si stacca da lei, a sua volta assorto in una profonda meditazione.
Donatello e bottega
Madonna col Bambino (Madonna Piot)
1440 circa
Vetro, cera, dorature
La Madonna Piot è fatta di colore e grande attenzione alla materia, strumenti essenziali nelle mani di Donatello. Di quest’opera, acquistata a Firenze nel 1857 da Eugène Piot (1812 -1890) ed entrata al Louvre alla sua morte, colpisce innanzitutto l’insolito e suggestivo aspetto materiale. Il fondo è costituito da una distesa di medaglioni recanti anfore e cherubini in cera bianca su base rosso scura, incassati entro alveoli predisposti nell’argilla e sigillati da dischetti di vetro; di cera verde sono riempite le piccole losanghe tra i circoli, mentre è di un tono rosso-aranciato la cera inserita nei bracci della croce che attraversa l’aureola di Gesù. In origine tali inserti colorati e luccicanti (la gran parte dei quali è stata reintegrata sulla base dei pochi frammenti originali in occasione di un discusso restauro del 1959) dialogavano con la doratura che rivestiva integralmente le figure, creando l’illusione di un oggetto di metallo prezioso e smalti.
A rilanciare con decisione l’attribuzione a Donatello in persona fu John Pope-Hennessy (1976), indottovi soprattutto dalla grande affinità stilistica che leggeva tra la terracotta del Louvre e la bronzea Madonna Chellini, allora appena riemersa, opera certa dello scultore fiorentino che ne fece dono al proprio medico nel 1456. Tale entusiasmo non è stato condiviso da tutti , ma sembra davvero difficile negare a Donatello un’opera tanto singolare.
Busto di Santa Costanza detta “la Bella Fiorentina”
entourage di Desiderio da Settignano
Firenze, 1450 / 1475
legno policromo e dorato
Busto raffigurante Santa Costanza, detta ” La Bella Fiorentina “. Durante il restauro effettuato nel 2006 é stata rinvenuta intorno alla cintura la seguente iscrizione:
” SANCTA COSTANTIA,FILIA DOROTHEI REGIS CONSTANTINOPOLITANI “
” Santa Costanza, figlia di Doroteo, re di Costantinopoli “
Nel corso dello stesso restauro é stato scoperto un piccolo vano all’altezza della testa in cui dovevano essere custodite delle reliquie. Il busto va dunque ritenuto essere un reliquiario.
Mino da Fiesole
Fregio decorativo con ghirlanda portata da due spiriti alati, una testa di Medusa e due maschere leonine
1471-1477
Luogo di provenienza: Basilica di S. Pietro, Italia
Trasferimento di antichità greche, romane ed etrusche
anno forma giuridica: 1851
Parte sinistra della fondazione del mausoleo di Papa Paolo II Barbo (1418-1471), eretto tra il 1471 e il 1477, nell’ex Basilica di San Pietro a Roma. Posta dapprima sulla parete interna della parete longitudinale meridionale, la tomba fu smantellata sotto il pontificato di Giulio II, forse ricomposta in una parte sconosciuta della basilica e nuovamente smantellata sotto il pontificato di Paolo III nel 1547. Fu poi rimontata sulla parete interna del muro longitudinale settentrionale della basilica tra il 1601 e il 1607 nelle grotte Vaticane della Basilica di San Pietro a Roma. Nel 1616 fu probabilmente presa dal cardinale Scipione Borghese per ornare la facciata della sua villa, all’estrema sinistra del muro prospiciente il giardino. Acquisito con la collezione Borghèse il 27 settembre 1807 ed esposto nella Salle des Saisons durante la Restaurazione. Trasmessa al Dipartimento di Scultura da quello di Antiquariato nel 1851. La maschera del leone a destra è un’aggiunta dell’inizio del XVII secolo.
Benedetto da Maiano
Busto di Filippo Strozzi (1426-1491)
Firenze, 1475
Filippo Strozzi il Vecchio era uno dei più ricchi e potenti banchieri fiorentini dell’epoca, alleato dei Medici e committente, tra l’altro, del grandioso palazzo Strozzi a Firenze. Un’iscrizione nella cavità della base ricorda il nome dell’effigiato (Filippus Stroza Matei Filius). Un documento registra poi il pagamento di 15 fiorini d’oro all’artista nel 1476.
Il busto si trovava presso la sua tomba nella basilica di Santa Maria Novella a Firenze. L’opera pervenne al Louvre tramite acquisto nel 1878.
Attribuito a Jacopo della Quercia (1371-1438)
Madonna con il Bambino
Bologna, 1430-1435?
Legno policromo
Agostino di Duccio
Madonna col Bambino e angeli detta “Madonna di Auvillers”
Firenze, tra il 1464 e il 1469
Lorenzo Di Mariano, detto il Marrina
Santa Caterina da Siena
Italia, 1500-1510
Questo artista si impone ormai da tempo come uno dei protagonisti della grande stagione dell’intaglio ornamentale in Italia. Dopo una formazione iniziale spesa sotto la guida di Giovanni di Stefano nel cantiere dell’Opera del Duomo di Siena, Lorenzo maturò, grazie all’appoggio del cardinale Francesco Piccolomini e della sua cerchia, uno stile personale e sofisticato, in linea con le ricerche che in quegli anni venivano portate avanti nei maggiori cantieri della Lombardia. Questa opera apparteneva alla collezione Louis Courajod, curatore del Dipartimento di Scultura (Parigi, 1841 – Parigi, 1896), prima del 1882. Venne donata al Louvre dagli eredi di Louis Courajod nel 1896 .
E’ stata attribuita nel 2014, da Laura Martini, a Lorenzo di Mariano, detto il Marrino, e datato al primo decennio del XVI secolo.
Andrea Della Robbia
Madonna dell’Impruneta
1480 circa
Mezzo busto della Vergine, vista di fronte, con il Cristo Bambino, vestito, appoggiato al seno; l’accompagnano due cherubini e, in alto, lo Spirito Santo. Le figure sono smaltate di bianco, gli occhi azzurri, mentre lo sfondo è blu lapislazzulo.
La Vergine e il Bambino contornati dagli angeli
Venezia? 1450-1500
Opera di uno scultore influenzato da Donatello e forse attivo nel padovano. Attestato nella collezione della Marchesa Gianmartino Arconati Visconti, nata Marie Peyrat (Parigi, 1840 – Parigi, 1923), Parigi dal 1903. Donazione Arconati Visconti 1916.
Antonio Rizzo
Paggio che tiene nella mano sinistra uno scudo blasonato
Venezia, 1493
Pierino da Vinci (1529-1553 circa)
Giovane Fiume
Pisa, circa 1547-1548
Forse non molti sanno che Leonardo da Vinci ebbe in famiglia un erede che ne recepì il talento di artista, anche se la morte prematura e le poche opere realizzate nella sua breve vita non gli permisero di farsi conoscere come indubbiamente avrebbe meritato. La nascita del giovane, tanto dotato quanto sfortunato, avvenne tra il 1529 e il 1530, circa dieci anni dopo la morte del genio, da parte del fratellastro Bartolomeo, uno dei numerosi figli avuti dal prolifico ser Piero, padre di Leonardo e di tanti altri discendenti legittimi e illegittimi. Bartolomeo pregava spesso affinché per mezzo della moglie “nascesse in casa sua un altro Lionardo”, e alla fine fu esaudito con l’arrivo di un bambino a cui venne posto il nome di Pier Francesco, in onore del nonno e del prozio, anche se in un primo momento i genitori avevano pensato di chiamarlo proprio Leonardo. Stando al racconto di Giorgio Vasari, il fanciullo dette prova fin dalla più tenera età di una spiccata inclinazione per il disegno e per l’arte plastica, che iniziò a praticare da piccolo modellando dei “fantoccini di terra”, forse nella stessa fornace di famiglia che aveva visto all’opera anche lo zio, nel borgo di Bacchereto .
Secondo il racconto del Vasari, Pierino (così fu in breve chiamato da tutti) all’età di dodici anni fece il suo ingresso nella bottega di Baccio Bandinelli, per poi passare in quella di Niccolò dei Pericoli, meglio conosciuto come il Tribolo, due dei più rilevanti scultori della Firenze dell’epoca, apprezzati entrambi dal granduca Cosimo I de’ Medici. Fu soprattutto con il secondo che il ragazzo fece i maggiori progressi, mettendosi in luce come uno degli allievi più dotati e completi, tanto che iniziò presto a collaborare attivamente alle imprese del maestro, come ad esempio la decorazione del giardino della villa medicea di Castello, per la quale realizzò dei bellissimi putti dalle pose disinvolte e vivaci. Nel corso di un fondamentale soggiorno a Roma entrò in contatto con Michelangelo e si applicò allo studio dell’arte classica, inoltre cominciò a dedicarsi al restauro e all’integrazione delle statue antiche. Rientrato in Toscana, prese dimora a Pisa e, grazie alla protezione del notaio Luca Martini, ricevette una serie di commissioni di rilievo legate all’ambito mediceo, nell’esecuzione delle quali esibì una maturità tecnica e stilistica sbalorditive per un artista di appena vent’anni.
Tra le tante opere scolpite in quel periodo e arrivate fino ai nostri giorni questo Dio fluviale esposto al Louvre di Parigi.
Ercole combatte contro l’idra
1525 / 1615
Italia del Nord
Paolo Bernini
Gesù Bambino che gioca con un chiodo (1665)
Paolo Bernini nacque a Roma nel 1648, figlio, allievo ed aiuto di Gian Lorenzo. Lavorò col padre a Roma nella cappella della Concezione in S. Isidoro e fece uno degli angioli del ponte S. Angelo (1670). Nel Louvre si conserva di lui questa opera con Gesù Bambino che gioca con gli strumenti della Passione, fatto probabilmente quand’egli accompagnò il padre a Parigi (1665). Più ancora che gli altri membri della famiglia Bernini, Paolo fu eclissato dalla personalità di Gian Lorenzo; e, morto il padre, non gli rimase probabilmente altra consolazione artistica che quella del seggio ottenuto otto anni prima nell’Accademia di San Luca.
Gian Lorenzo Bernini
Beata Ludovica Albertoni
Italia, dopo il 1674
Nel 1665 la fama di Gian Lorenzo Bernini aveva oramai raggiunto livelli altissimi. Bernini, durante la sua carriera, non aveva quasi mai abbandonato Roma: egli era uno degli artista di punta, prediletti del Papa e al fianco di questi doveva restare. Un anno prima, nel 1664, il ministro francese Jean-Baptiste Colbert convinse il Papa, per conto del re Luigi XIV, a concedere il trasferimento dell’artista, di ormai 66 anni.
Il 29 aprile del 1665 Bernini si trasferì a Parigi con l’intento di completare, niente meno, che la ristrutturazione del palazzo del Louvre. Il giovane Luigi voleva che il museo del Louvre fosse ampliato, rimodernato e ristrutturato: diversi progetti da svariati artisti erano stati presentati al monarca ma lui li aveva rifiutati e si rivolse al sommo genio italiano. Quest’ultimo partì, si dice, malvolentieri: odiava viaggiare e amava lavorare a Roma.
Per questo lavoro, in totale, Bernini presentò tre progetti più una scultura equestre poi successivamente modificata in un Marco Curzio e relegata in un angolo remoto dei giardini di Versailles.
In poco tempo, egli diventò insofferente al clima artistico francese: gelosie, complotti, divergenze sul pensiero artistico e architettonico e ad ottobre era già di ritorno a Roma e concludeva una esperienza, per lui, artisticamente provante.
Questo conservato al Louvre è un bozzetto in terracotta per una scultura in marmo della monaca francescana Ludovica Albertoni conservata nella cappella Altieri della chiesa di San Francesco a Ripa a Roma.
Giacomo Antonio Ponsonelli (1654-1735)
Il tempo di scoprire la Verità
Genova, 1700 circa
Giacomo Antonio Ponsonelli, nacque a Massa nel 1654. Fu uno scultore italiano del tardo periodo Barocco.
Nella città natale iniziò a lavorare con il padre, Giovanni Ponsonelli, scultore e decoratore, eseguendo i primi lavori in Liguria. Nel 1680 sposò la figlia dello scultore Filippo Parodi, trasferendosi a Genova ed iniziando con il suocero una lunga collaborazione artistica. Specializzatosi principalmente nel campo nella ritrattistica, accompagnò il Parodi a Venezia e Padova, città nelle quali i due eseguirono molti lavori tra il 1685 e il 1697. Dopo la morte del Parodi, nel 1702 gli subentrò nella conduzione dello studio che divenne molto prolifico di opere d’arte, alcune delle quali furono inviate anche a committenti in Spagna, Portogallo ed Austria.
Morì a Genova nel 1735.
Apollo che sconfigge il serpente Pitone
Italia, 1685-1715
Antonio Canova (1757-1822)
Psiche rianimata dal bacio di Amore
Roma 1793
Antonio Canova nasce a Possagno nel 1757 e fin da giovanissimo, rimasto orfano di padre, lavora come tagliapietre e scultore con il nonno Pasino Canova, dimostrando subito un enorme talento. Grazie all’interesse del senatore Giovanni Falier che ne capisce il genio, diventa praticante presso lo studio di Giuseppe Bernardi, suo maestro, e studia all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dove inizia a concepire i suoi primi capolavori.
Nel 1779 Canova si trasferisce a Roma dove crea le sue opere più belle ispirate all’arte classica, tanto era innamorato delle sculture greche e romane che all’epoca vivevano un periodo di grande riscoperta e fulgore. Nel 1787, appena trentenne, si trova a Napoli per riposarsi dalle fatiche del monumento funebre a Clemente XIII e incontra il colonnello britannico John Campbell, fervido collezionista, che gli commissiona un’opera dedicata a Amore e Psiche, i protagonisti del racconto dell’Asinus Aureus di Apuleio. Per questo lavoro, pare che il Canova si ispirerà agli affreschi che ammira durante le sue visite agli scavi di Pompei ed Ercolano.
Canova riceve da John Campbell, nel 1788, la commissione di un gruppo raffigurante “Amore e psiche che si abbracciano: momento di azione cavato dalla favola dell’Asino d’oro di Apuleio”. Oltre alla favola di Apuleio, per la realizzazione della scultura Canova fa affidamento su numerose fonti iconografiche. Tra tutte, una in particolare: il Fauno con Baccante. Il processo di creazione dell’opera dura 5 anni ed è testimoniato da una serie di disegni e bozzetti conservati tra il Museo Correr di Venezia e i Musei Civici di Bassano del Grappa. Coerentemente con altre sue opere, Canova qui rende omaggio all’equilibrio della statuaria classica: l’intersezione dei corpi dei due soggetti crea una composizione ad X che fa librare i due archi nello spazio, mentre la luce dell’ambiente scivola morbidamente sui corpi dei personaggi.
L’opera, al momento della sua realizzazione, non fu esente da critiche soprattutto per la messa in scena considerata eccessivamente barocca, quasi manierista. Tuttavia, l’opera riscosse un immediato successo in quasi tutta Europa e la risonanza che ebbe il lavoro fu enorme: tantissimi artisti e viaggiatori andarono a visitare lo studio di Canova per ammirare la scultura. Tra questi, John Keats, che, ispirato, scrisse una delle sue odi più celebri (Ode to Psyche), e il principe Nikolaj Jusupov, che pregò Canova di trasferire l’opera alla corte di Caterina II in Russia. Canova, allora realizzò una seconda copia del gruppo scultoreo, Amore e Psiche stanti. Quella riproduzione diede l’inizio ad una serie di repliche, ed è oggi conservata all’Hermitage di San Pietroburgo.
Questo gruppo fu acquisito da Murat, che lo cedette a Napoleone. E’ entrato al Louvre prima del 1824.
Antonio Canova (1757-1822)
Amore e Psiche
Italia 1797
gesso
Il gruppo scultoreo rappresenta la contrastata e passionevole storia d’amore tra il dio Eros e la bellissima, ma terrena, Psiche. L’opera si rifà al racconto contenuto nell’Asinus aureus di Apuleio. La favola rappresenta l’allegoria dell’anima che, desiderosa di scoprire ciò che le è volutamente celato, disobbedisce al divieto degli dei, che la costringono a subire una severa punizione e ad espiare la colpa. Il racconto offrì numerose chiavi di lettura e spunti di ispirazione per gli artisti di tutte le epoche, in special modo durante il periodo neoclassico. Sebbene l’opera sia basata sulla rappresentazione di due soggetti distinti, anche fisicamente e tecnicamente questi si compongono come un unico corpo, stretti a sé e uniti da una postura che comunica complicità e intimità profonda. La coppia di adolescenti si trova in posizione eretta con il capo chino, mentre la postura delle gambe fa pensare che si stiano avvicinando l’uno all’altra. I giovani hanno un volto molto simile, poco caratterizzato e l’espressione di entrambi è serena e distesa. La fanciulla è perfettamente frontale e vagamente coperta solo da una gonna; l’artista trovò per lei la possibilità di riutilizzare la posa già studiata e felicemente trovata. Assume un atteggiamento di gentile innocenza e sorregge la mano di Amore, sulla quale poggia delicatamente una farfalla, tenendola per le ali con le dita. La piccola creatura illustra la sensibilità di Canova nel trattare il marmo, ed è simbolo dell’anima che la fanciulla dona al suo amato, ma anche rappresentazione della fragilità e della brevità della vita. Il centro espressivo di tutta la composizione è, infatti, il gioco squisitamente fragile delle mani che la accarezzano e la proteggono. Amore è nudo, scorre il braccio lungo il collo della ragazza e posa con tenerezza la guancia sulla sua spalla. Non è presente alcun riferimento a dove si trovano i soggetti, che si abbracciano in un luogo senza tempo. La purezza della modellazione, suggerendo l’idealità formale delle sculture antiche, in realtà rende l’opera assolutamente moderna per concezione e iconografia. La bellezza del gruppo sprigiona un significato quasi incorporeo per cui ammirando questo abbraccio fra la fanciulla e il dio privo delle consuete ali, tagliate da Venere, “l’osservatore si commuove non della loro perfezione fisica, ma del sentimento spirituale che l’autore vi ha soffiato dentro”.
https://www.louvre.fr/en/explore/the-palace/three-centuries-of-italian-sculpture
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