La famiglia di Dario davanti ad Alessandro – di Paolo Calieri detto il Veronese (1565-7)
Il dipinto “La famiglia di Dario davanti ad Alessandro” è un esempio delle capacità pittoriche di Veronese, uno dei più importanti pittori veneti del Cinquecento.
Il quadro fu commissionato dalla famiglia Pisani e rimase di sua proprietà fino al 1857, quando raggiunse la sede attuale.
Il pittore, in questo dipinto di storia, raffigura la famiglia di Dario, appena sconfitto nella battaglia di Isso, prostrata davanti ad Alessandro Magno.
La scena è un’illustrazione della magnanimità di Alessandro, che, sconfitto il re Dario, volle risparmiare la madre, la moglie e i figli del suo nemico, e fece loro sapere che Dario era vivo, rassicurandoli sul loro destino.
Fonti orali ci hanno tramandato questo episodio riportato anche dai libri di storia. Si racconta che Alessandro si recò a visitare la famiglia di Dario in compagnia di Efestione, suo generale ed amico; quando entrarono nel padiglione reale la regina madre Sisisgambi si prostrò davanti ad Efestione che aveva scambiato per Alessandro, rimanendo in seguito imbarazzata per l’errore commesso. Alessandro, però, si mostrò benevolo, sorvolando sull’accaduto, e, oltre a dar loro salva la vita, rinunciò a reclamare la bellissima regina persiana, moglie di Dario, come sua concubina. Nel quadro, Alessandro è quello che vediamo abbigliato in rosso, e che indica Efestione; pare che, per rassicurare la donna abbia detto ‘non v’è errore alcuno, poichè anch’egli è un Alessandro’..
Nella enorme tela con figure a grandezza naturale, colpisce l’uso sapiente del colore che diventa intenso nelle zone d’ombra e più diluito in quelle lumeggiate. Grazie ad alcuni accorgimenti la luce solare sembra riflettersi sulle stoffe degli abiti. Esigenze pittoriche e di prospettiva hanno imposto una bertuccia addomesticata davanti allo sfondo.
Quest’ultimo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è costituito dall’asprezza del luogo di battaglia, ma, da una loggia ad arcate in pietra bianca che sembra fatta dal Palladio, al di sopra della quale si vedono guardie coi turbanti, e, sulla destra un gruppo di cittadini affacciati alla balaustra, che guardano.
Attraverso l’arcata sinistra si intravede un colonnato parzialmente coperto da quelli che potrebbero essere possibili familiari del committente.
Si rimane stupiti dagli abiti dei protagonisti. La cappa di ermellino sulle spalle di Sisisgambi, e tutte le altre donne vestite con lucenti abiti di seta, gli uomini con le armature dei tornei, un costume da militare romano, in ogni particolare vien fuori la fantasia e l’originalità dell’artista coniugata alla sua grande maestrìa pittorica.
Non dimentichiamo, infatti, che il pittore Paolo Veronese fu chiamato a comparire in qualità di imputato davanti al temutissimo Tribunale dell’Inquisizione di Venezia perché nello stesso anno aveva realizzato, per i domenicani del convento veneziano di San Giovanni e Paolo, un’Ultima Cena talmente insolita da valergli un’accusa di eresia. Anche in quel caso caso, l’artista fu capace di far coesistere sapientemente elementi di retorica teatralità con movimentati istanti di frizzante convivialità, all’interno di una cornice architettonica monumentale a tre arcate, al centro della quale si trovano le figure sacre di Cristo e gli apostoli. Proprio tutta questa convivialità e la scenografia altamente spettacolare – popolata da oltre cinquanta comparse, abbigliate con vestiti sgargianti e intente a servire, mangiare, vociare e muoversi, nonché dalla presenza di animali – distraevano il fedele da quello stato di meditazione che la contemplazione dell’Eucarestia richiedeva. Il Veronese difese strenuamente la necessità che ai pittori venisse riconosciuta libertà d’azione nella rappresentazione applicando il principio fondamentale della “varietas”, che costituisce uno dei capisaldi dell’espressione artistica moderna. Per evitare la condanna Veronese pensò bene di cambiare il nome della tela e, in tal modo, l’Ultima Cena diventò il Convito in casa di Levi.
Abstract: Erika Langmuir, The National Gallery; Daniela Tarabra per Mondadori (National Gallery Londra)
La consacrazione di San Nicola – di Paolo Calieri detto il Veronese (1562)
San Nicola visse nel IV secolo e fu vescovo di Myra, sulla costa meridionale della moderna Turchia. Le sue reliquie furono portate da Myra a Bari nel 1087 ove sono ancora oggi, motivo per cui è conosciuto come San Nicola di Bari.
Il dipinto di Veronese mostra la consacrazione di Nicola come vescovo. Alla vigilia dell’elezione di un nuovo vescovo a Myra, una voce rivelò che un pio giovane chiamato Nicola era stato divinamente scelto e sarebbe stato il primo ad apparire alla porta della cattedrale al mattino. Veronese raffigura l’ingresso nella cattedrale, in cui il vescovo anziano consacra Nicola, che si inginocchia affiancato da due sacerdoti più anziani vestiti di bianco . Un angelo scende con la mitra, stola e pastorale, mostrando che Nicholas è stato scelto da Dio.
La visione di Sant’Elena – di Paolo Calieri detto il Veronese (1570 ca.)
Elena era madre del primo imperatore cristiano, Costantino. Sogna che un angelo le riveli il luogo della croce sulla quale Cristo fu crocifisso e la spinge a recarsi in Terra Santa per trovarla. Ha dissotterrato tre croci e, testando il loro potere curativo, è stata in grado di identificare quella di Cristo, conosciuta come la Vera Croce.
Sant’Elena siede in una nicchia, con un piede su una panchina di pietra, con la testa appoggiata sulla mano e il gomito sul davanzale della finestra. Mentre dorme, due cherubini alati appaiono nel cielo portando la Vera Croce. Il deterioramento della smaltatura pigmentata ha fatto si che il cielo virasse dal blu pallido al giallo-grigio.
Il dipinto di Veronese è stato probabilmente tagliato in alto e in basso. Era chiaramente progettato per essere visto dal basso, e potrebbe essere stato dipinto come decorazione di un organo.
Adorazione dei Magi – di Paolo Calieri detto il Veronese (1573)
I Re Magi sono venuti a visitare il Cristo bambino nella stalla dove è nato. Provengono dall’Oriente e portano in dono oro, incenso e mirra (Matteo 2: 10-12). La stalla di Betlemme è attaccata alle rovine di un grande edificio classico con un arco trionfale sullo sfondo. Angeli appaiono nel cielo, lungo il raggio di luce che cade su Cristo. Alla diagonale dominante, creata da questo fascio di luce celeste, si contrappone la diagonale formata dalle figure adoranti, con la Vergine Maria e il Cristo Bambino posti dove si intersecano. Il quadro è datato 1573 e fu dipinto per la chiesa di S. Silvestro a Venezia. Non era una pala d’altare ma un grande dipinto per la parete della navata accanto all’altare della confraternita dedicata a San Giuseppe.
Diana e Atteone – di Tiziano Vecellio (1556-9)
‘Diana e Atteone’ è una delle sei mitologie su larga scala ispirate al poeta romano Ovidio che Tiziano dipinse per il re Filippo II di Spagna. Tiziano iniziò il quadro nel 1556, anno dell’incoronazione di Filippo. Spinto dal prestigio del patrocinio reale, scatenò tutta la sua creatività per produrre opere di bellezza e inventiva senza precedenti. Tiziano lavorò per tre anni al perfezionamento di questi capolavori, che furono spediti in Spagna nel 1559. Egli affermò che la loro lunga genesi era dovuta alle incessanti fatiche che aveva fatto per rendere le sontuose opere d’arte degne di un re.
I soggetti delle tele furono scelti personalmente da Tiziano in segno di riconoscimento del suo rango di più grande artista d’Europa. I quadri di ‘Diana e Atteone’ e ‘Diana e Callisto’ erano destinati ad essere appesi insieme. In essi Ovidio narra le terribili conseguenze del vedere qualcosa che dovrebbe rimanere nascosto. Nel primo dipinto il cacciatore Atteone vede casualmente Diana nuda mentre fa il bagno in una grotta nei boschi. Furiosa, la dea, in seguito lo trasformerà in un cervo che viene sbranato dai suoi cani.
Morte di Atteone – di Tiziano Vecellio (1556-9)
La storia di Atteone è raccontata nelle Metamorfosi dal poeta romano Ovidio. Nella tela precedente, dipinta per il re Filippo II di Spagna nel 1556-9, Atteone disturba la dea Diana e le sue ninfe in un luogo di balneazione segreto. Anche se mai consegnato a Filippo, ‘La morte di Atteone’ è chiaramente il suo sequel: Atteone fugge e, fermandosi a bere in un ruscello, scopre dalla sua immagine riflessa che Diana lo ha trasformato in un cervo. Tiziano mostra Atteone nel processo di trasformazione. All’ordine di Diana viene fatto a pezzi dai suoi stessi segugi. Il soggetto è raro nell’arte italiana e Tiziano potrebbe non aver mai visto in precedenza, un dipinto simile.
Diana e Callisto – di Tiziano Vecellio (1556-9)
In questo secondo quadro, la ninfa preferita di Diana, Callisto, è stata sedotta da Giove travestito da Diana e ingravidata. Ora, mentre la dea e le sue verginali compagne si fermano a fare il bagno nella foresta, Callisto viene spogliata a forza e si scopre la sua gravidanza. Bandita da Diana, viene trasformata in orsa da Giunone, la gelosa moglie di Giove, e, come ad Atteone anche a lei vengono lasciati sentimenti umani ma, senza la capacità di parlare. Quindici anni dopo, il figlio di Callisto, Arcade, spaventato dall’orsa che lo fissa e muove verso di lui, tenta di ucciderla. A quel punto interviene Giove, trasformando entrambi nelle costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa minore.
Ritratto votivo della famiglia Vendramin – di Tiziano Vecellio e Bottega (1543 prob.)
Il ritratto collettivo dei soli maschi della famiglia Vendramin (c’erano anche sei figlie, ma non compaiono) va oltre la celebrazione dinastica, in quanto simboleggia l’antica devozione della casa Vendramin verso una santa reliquia, nonchè la loro invocazione affinchè continui a proteggerli.
Nel 1369 un frammento della vera Croce fu donato ad Andrea Vendramin a nome della sua confraternita, la Scuola di San Giovanni Evangelista a Venezia. Custodita in un reliquiario cruciforme di cristallo e oro, ancor oggi conservato presso la Scuola, viene qui mostrato su di un immaginario altare all’aperto. La reliquia cadde nel canale al momento della consegna, ma, rimase miracolosamente sospesa a fior d’acqua fino a quando Andrea ebbe il privilegio di tuffarsi e salvarla.
Cristo della moneta – di Tiziano Vecellio (1568 ?)
I farisei (capi dei sacerdoti) chiedono a Cristo se è giusto pagare le tasse ai romani, che governano la Palestina. Cristo, intuendo una trappola, chiede quale somiglianza e quale nome fossero sulle monete: ‘Essi gli dicono: di Cesare’. Allora disse loro, ‘rendete dunque a Cesare le cose che sono di Cesare; e a Dio le cose che sono di Dio’ (Matteo 22; Marco 12; Luca 20).
E’ quasi certo che questo fosse il dipinto descritto da Tiziano nel mese di ottobre 1568, che poco tempo prima aveva completato e inviato al re Filippo II di Spagna. Per circa 200 anni è rimasto appeso nella sagrestia della residenza reale di Filippo e monastero di El Escorial. Il soggetto è raro in arte. Tiziano potrebbe essere stato il primo artista a rappresentarlo nella sua pittura già nel 1516.
Le tre età dell’uomo – di Tiziano Vecellio
Tre teste maschili in diverse fasi della vita sono accoppiate con le teste di tre animali: un lupo, un leone e un cane. L’iscrizione latina divisa per corrispondere alle tre teste si traduce come: ‘Imparare da ieri. Oggi agisce con prudenza per timore che la sua azione possa rovinare il domani.’
Il significato e lo scopo di questo dipinto è stato molto dibattuto. Il dipinto può essere inteso come un’allegoria della prudenza.
La composizione è stata ampiamente rivista durante la pittura. Le teste degli animali sono state aggiunte in una fase avanzata e sono abbastanza sommariamente eseguite. L’esecuzione delle teste, allo stesso modo, è di varia finitura e qualità, con quella centrale più sottile e vibrante.
Ritratto di Gerolamo (?) Barbarigo – di Tiziano Vecellio
In questo dipinto, considerato uno dei primi ritratti di Tiziano, il soggetto si gira a guardarci da sopra alla spalla e incontra momentaneamente il nostro sguardo. L’attenzione è concentrata sul sopracciglio sollevato sopra il suo occhio destro, posizionato al centro dell’immagine. Il gomito dell’uomo poggia su un parapetto e la voluminosa manica trapuntata si proietta nel nostro spazio, creando una sua forte presenza fisica. Questa posa innovativa ed efficace avrebbe influenzato l’intera ritrattistica europea.
A lungo si è creduto che questo fosse un ritratto del celebre poeta italiano Ludovico Ariosto (1474–1533), e in seguito si è pensato che fosse un autoritratto di Tiziano. Tuttavia, è probabile che l’uomo sia uno degli amici di Tiziano, un membro della famiglia aristocratica dei Barbarigo.
Ritratto di un giovane – di Tiziano Vecellio
Il ‘Ritratto di un giovane’ sobrio ed elegante, fornisce un affascinante confronto con il ‘Ritratto di Gerolamo (?) Barbarigo’ visto sopra.
Entrambi i ritratti mostrano il soggetto di tre quarti dietro un parapetto. Anche qui, la posa consente a Tiziano di mostrare la sua abilità nel dipingere tessuti.
L’artista usa ampie pennellate e sottili variazioni tonali per trasmettere la densità e la lucentezza della seta nera della manica. La sezione rossa invece è costruita con tratti corti e asciutti, per evocare la trama del velluto tagliato. Il giovane tiene in mano un guanto di capretto che si è tolto per levarsi il grande cappello. Le unghie evidenti sul guanto vuoto possono essere l’impronta lasciata dalla sua mano, o far parte del disegno del guanto.
Il volto del soggetto appare luminoso sullo sfondo scuro di una nicchia. La striscia di scultura in rilievo di stile classico a sinistra ravviva la penombra dell’interno e può alludere ai gusti del soggetto. L’attenta osservazione e la sensibilità espressa dal ritratto di Tiziano, dimostrano perché fosse così ricercato come ritrattista. Ha usato le caratteristiche del soggetto per trasmettere la sua personalità e il suo umore.
Sebbene l’identità dell’uomo rimanga un mistero, lo stupefacente naturalismo di Tiziano ha eternato non solo il suo aspetto ma anche la sua anima.
Noli me tangere – di Tiziano Vecellio (1514 ca.)
Cristo appare alla Maddalena dopo la risurrezione per consolarla. In un primo momento lei pensa che sia un giardiniere e quando lo riconosce lui le dice di non toccarlo – ‘noli me tangere’ (lascia nessuno mi tocchi) – come raccontato nei Vangeli (Giovanni 20: 14-18). La Bibbia riporta che Cristo salirà presto al cielo e manderà lo Spirito Santo ai suoi seguaci: non vuole per questo che loro si aggrappino alla sua presenza fisica. Radiografie mostrano che Cristo era originariamente dipinto indossando un cappello da giardiniere e si voltava per allontanarsi dalla Maddalena.
Madonna col Bambino tra i santi Giovannino e Caterina – di Tiziano Vecellio (1530 ca.)
La Vergine col Bambino è accompagnata dal giovane San Giovanni Battista e da una donna inginocchiata, che può essere identificata con Santa Caterina ( in base al raffronto con altre opere – fonte wikipedia), che tiene tra le braccia Gesù Bambino e lo guarda in adorazione.
Non è chiaro, se del caso, quale episodio del Nuovo Testamento è mostrato qui. Il pastore e il mandriano a metà distanza, l’angelo nel cielo, potrebbero alludere all’Annunciazione ai pastori (Luca 2: 8-17) e suggerire la nascita di Cristo. Tuttavia, la presenza di Giovanni Battista che dà alla Vergine frutta e fiori per il suo cugino bambino, sarebbe più appropriata per un riposo sulla fuga in Egitto – ma, in tal caso ci si aspettava che san Giuseppe fosse incluso in una tale scena.
Questo deve essere un quadro non narrativo destinato alla devozione privata, combinando elementi selezionati della vita di Cristo.
La Sacra Famiglia con un pastore – di Tiziano Vecellio
Questa è una delle prime opere di Tiziano, fortunatamente pervenutaci. Mostra l’Adorazione dei pastori, e, l’angelo volante in lontananza annuncia loro la nascita di Cristo.
San Giuseppe presenta il Gesù Bambino a un giovane pastore, che si inginocchia in segno di riverenza.
È insolito trovare un solo pastore presente. La ragione di ciò potrebbe essere che Tiziano abbia voluto sottolineare l’importanza di San Giuseppe rendendolo centrale nella composizione sia in termini di azione che di posizione. Il dipinto fu probabilmente realizzato per un mecenate particolarmente devoto a San Giuseppe, il cui culto era in quel periodo fortemente promosso nel nord Italia. Probabilmente è stato dipinto per un ambiente domestico.
La mancanza di formazione di Tiziano nel disegnare la figura è evidente dalle dimensioni della testa di San Giuseppe rispetto al suo busto. Nessuna delle figure è articolata in modo convincente, suggerendo ancora una volta che si tratta di un lavoro degli inizi della carriera dell’artista.
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La Vergine che allatta Cristo Bambino – di Tiziano Vecellio
La Vergine Maria guarda Cristo Bambino che si nutre dal suo seno. Il bambino nudo è circondato dalle braccia della madre e si distoglie da noi. Il nostro sguardo è attratto dalle dita delicate della Vergine, lungo la schiena di Cristo e dall’espressione di devozione sul suo volto.
Tiziano sembra evocare un disegno molto simile di Michelangelo e cattura parte della grandezza e della forza delle figure del suo collega nella posa contorta del Cristo Bambino, e, nella struttura fiera della Vergine, ma allo stesso tempo apporta una morbidezza e una tenerezza pittorica alla sua immagine. Le armonie argentee si combinano con pennellate tremule per far sembrare che le forme solide della Vergine e del Bambino si dissolvano in una luce scintillante.
Tiziano potrebbe aver tenuto questo dipinto nel suo studio e averci lavorato negli ultimi anni della sua vita.
Bacco e Arianna – di Tiziano Vecellio (1520-3)
La tela fa parte di una serie destinata allo studiolo di Alfonso d’Este nel castello di Ferrara. Va detto, per inciso, che nel corso della sua carriera lunga circa 65 anni, Tiziano fu forse il pittore coronato dal maggior successo dell’intera storia. Ebbe tra i suoi committenti personaggi di ogni livello della nobiltà italiana, lo stato di Venezia, un Papa, tre imperatori e i re di Francia e Spagna.
La storia di Bacco e Arianna era stata raramente rappresentata fino ad allora, e, viene narrata dai poeti latini Ovidio e Catullo. Estratti delle loro opere in traduzione furono inviati a Tiziano, insieme alla tela e alle stecche del telaio. Mai testi o miti pagani sono stati animati con tanto clamore, nè con tale varietà di preziosi pigmenti disponibili soltanto a Venezia.
Arianna, aiutato Teseo a sconfiggere il Minotauro, fu da lui abbandonata sull’isola di Nasso. ‘Per tutto il lido ecco sonare i cimbali e i tamburi che da mani furibonde eran percossi’; essi annunciano l’arrivo del dio Bacco sul suo carro trainato da ghepardi, con il turbolento corteo di menadi, satiri dai piedi caprini – ‘uno dei quali cinto da contorte serpi’. ‘Voce, colore, di Teseo memoria vennero meno’ nell’atterrita Arianna, mentre il dio balza a terra per condurla via come sua sposa. In cielo scorgiamo la costellazione nella quale sarà trasformata. Il piccolo cane di Tiziano abbaia concitatamente al fauno che avanza impettito con fiori di gelsomino tra i capelli, tirandosi dietro la testa mutilata di un vitello e un fiore di cappero, simbolo dell’amore.
Deposizione nel sepolcro – di Michelangelo (1500-1)
Scultore, architetto, pittore e poeta, Michelangelo Buonarroti è da sempre considerato il genio supremo dell’arte cinquecentesca italiana. Lo stesso concetto del ‘disegno’, da Michelangelo in poi, assume notevoli implicazioni. Esso coinvolge l’intero processo della creazione artistica, considerata come un unico atto, che dall’iniziale impulso immaginativo, attraverso interminabili studi richiedenti discernimento e destrezza, conduce alla composizione finale. Per Michelangelo il disegno rappresenta il metodo risolutivo e l’opera d’arte la soluzione, che armonizza le necessità spesso contrastanti della funzione, del luogo, del materiale e del soggetto, della libertà e della regola, della bellezza formale e dell’espressività, dell’invenzione e del rispetto per la tradizione.
Questo è uno, dei forse tre dipinti su tavola sopravvissuti, del grande artista fiorentino. Mostra il corpo di Cristo portato alla sua tomba. Probabilmente fatto per una cappella funeraria nella chiesa romana di S. Agostino in Roma; commissionato nel 1500 e lasciato incompiuto quando Michelangelo tornò a Firenze l’anno successivo. A quell’epoca il giovane artista non aveva alcuna esperienza di pittura su questa scala, e affrontò l’impresa con commovente originalità. Nonostante la parte centrale del dipinto fosse pressochè completa, l’artista ha omesso le ferite sulle mani, sui piedi e sul costato di Cristo. Gesù è sorretto alla sua destra, da San Giovanni Evangelista nella canonica veste rossa, mentre l’altra figura che lo sorregge non può essere identificata. La sua veste doveva essere di un verde intenso che, col tempo, ha assunto una colorazione bruna. La donna inginocchiata ai piedi di San Giovanni, presumibilmente Maria Maddalena, viene rappresentata in meditazione. La figura mancante sulla destra avrebbe dovuto rappresentare la Vergine Maria che piange il Figlio morto. Probabilmente, il manto della Vergine avrebbe richiesto l’uso dell’azzurro oltremare ricavato dal lapislazzulo, pietra che doveva essere importata. E, forse mentre Michelangelo attendeva l’arrivo di questo raro e costoso pigmento, fu richiamato a Firenze.
Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli (Madonna di Manchester) – di Michelangelo (1497 ca.)
Si tratta quasi sicuramente di una pittura devozionale del giovane Michelangelo. Questo è probabilmente il primo dei dipinti sopravvissuti di Michelangelo. È incompiuto – la modellazione nera del mantello della Vergine Maria non ha avuto i suoi ultimi strati di blu, e gli angeli a sinistra sono appena stati iniziati. Non sappiamo perché il quadro non fu mai completato.
Il sottotitolo “Madonna di Manchester” le deriva dall’essere stata esposta nella mostra ‘Tesori dell’Arte’, tenutasi a Manchester nel 1857. Dipinta primariamente con tempera a uovo, Michelangelo ha usato un tratteggio di minute pennellate per creare l’effetto di una superficie liscia come l’alabastro, come nei corpi di Cristo infante e del piccolo Giovanni Battista. E’ insolito per quest’epoca, mostrare Maria con il seno scoperto.Erano anni in cui le signore facoltose ricorrevano alle nutrici, tuttavia, si conferiva grande importanza al fatto che Gesù fosse stato nutrito col latte della Vergine, che era considerato simbolicamente il nutrimento dell’anima cristiana.
La figurazione, nei suoi ritmi austeri, appare più simile a un rilievo che a una pittura, intensa anticipazione di una lunga serie di opere di Michelangelo, in pietra, incompiute.
La Vergine delle rocce – di Leonardo da Vinci (1506-08)
Leonardo iniziò a dipingere questa stupenda pala, commissionatagli dai confratelli dell’Immacolata Concezione di Maria di Milano, intorno al 1483. Fu questa la prima commissione ricevuta da Leonardo nella città lombarda dove si era stabilito da quasi un anno. L’opera doveva essere posta sull’altare della cappella dell’Immacolata Concezione nella chiesa di San Francesco Grande, nel centro di Milano. La tavola doveva inserirsi in una struttura lignea che era stata scolpita l’anno precedente e doveva rispettare un contratto stilato tra Leonardo e i francescani che stabiliva dettagliatamente soggetto, tecnica, colori e materiali da utilizzare. Leonardo terminò la tavola nel 1486 e precisamente l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, ma l’artista e i committenti non si trovarono d’accordo sui pagamenti e, forse, sull’aspetto generale della tavola. Leonardo quindi si rifiutò di consegnare l’opera che vendette ad altro compratore ed è ora conservata presso il Louvre di Parigi. Nel 1508 stipulò con i francescani un nuovo contratto, forse più soddisfacente, e mise mano a una seconda versione del dipinto, di identiche dimensioni (la cornice era dopotutto pronta da tempo) e soggetto, sebbene con alcune varianti stilistiche e iconografiche. La chiesa vendette poi la pala nel 1785 a Gavin Hamilton, che la portò in Inghilterra. Qui, dopo essere passata per diverse collezioni, fu acquistata dalla National Gallery nel 1880.
Originariamente si era pensato che questa versione fosse stata dipinta dagli assistenti di Leonardo, ma studi recenti condotti durante l’ultimo restauro hanno portato i ricercatori a concludere che l’opera sia stata dipinta quasi completamente dalla mano di Leonardo.
Madonna col Bambino con San Giovanni Battista e San Nicola di Bari (Madonna Ansidei) – di Raffaello Sanzio (1505)
Raffaello (1483-1520), più giovane sia di Leonardo che di Michelangelo, è associato ad entrambi nella creazione dello stile del periodo oggi chiamato Rinascimento, dove l’elemento fondamentale del disegno dal vero è temperato dallo studio dell’arte antica greco-romana e dalla ricerca della bellezza ideale.
Questa pala d’altare di soggetto noto come ‘sacra conversazione’ , dove la Vergine in trono col Bambino e i Santi che la attorniano sembrano comunicare tra loro, fu commissionata da Niccolò Ansidei per la cappella di famiglia ubicata in una chiesa perugina. Il santo vescovo viene mostrato con le caratteristiche tre palle d’oro (da cui traggono origine le insegne dei prestatori su pegno) che rappresentano le borse di oro che egli donò in dote a tre fanciulle povere. Giovanni Battista, che annunciò la nascita di Cristo e lo battezzò, invece della solita croce di canna tiene in mano una croce di cristallo dalla meravigliosa trasparenza. Indicando il Bambino in grembo alla Vergine, egli leva lo sguardo verso l’iscrizione latina che la sovrasta: ‘Ave Madre di Cristo’.
Crocifissione – di Raffaello Sanzio
Questa pala d’altare fu na delle prime opere di Raffaello. Commissionata dal mercante di lana e banchiere Domenico Gavari per la sua cappella sepolcrale dedicata a San Girolamo nella chiesa di S. Domenico a Città di Castello, in Umbria. Il corpo di Cristo pende dalla Croce. Due angeli si bilanciano su delicate nuvolette su entrambi i lati, raccogliendo il sangue che sgorga dalle sue ferite in calici dorati che riportano a quelli in cui il vino sviene servito durante la Messa. Il sole e la luna sono entrambi visibili nel cielo, segnando l’eclissi che ha coinciso con la morte di Cristo. San Girolamo e Maria Maddalena sono ai piedi della Croce, fissando il corpo di Cristo con riverenza e pietà. La Vergine, vestita di nero violaceo per indicare il lutto, si trova a sinistra della Croce con Giovanni Evangelista a destra. Entrambi guardano verso chi osserva e strizzano le mani nel dolore.
Andrea Mantegna e Giovanni Bellini
Andrea Mantegna ricevette una formazione classica nella città universitaria di Padova e i suoi dipinti sottolineano le sue indagini sull’arte di Roma antica. Questo stile “archeologico” lo portò all’attenzione dei governanti Gonzaga di Mantova, appassionati di tutto ciò che era antico e che lo impiegarono come loro artista di corte dal 1459. I suoi dipinti monocromi possono dimostrare che la pittura poteva competere con le qualità della scultura in rilievo.
La carriera di suo cognato, il veneziano Giovanni Bellini, fu molto diversa. Bellini produsse nella sua grande bottega dipinti per chiese e palazzi, sia pale d’altare che immagini per la devozione privata, ma il suo successo dipendeva dal mercato dell’arte non disponendo di uno stipendio fisso. Molti aspetti del suo stile si trovano anche nel lavoro del suo giovane contemporaneo Giovanni Battista Cima da Conegliano, le cui opere religiose artigianali si distinguono per i paesaggi e la chiarezza cristallina dei drappeggi.
La Vergine con Bambino e Santi (1490-1505 ca.) – di Andrea Mantegna
Cristo Bambino sta in grembo a Maria, facendo un gesto di benedizione. La Vergine è seduta sotto un baldacchino rosso, tra Giovanni Battista e Maria Maddalena, che guarda verso il cielo. Maria Maddalena solleva un vasetto, ricordo delle spezie che usava per ungere il corpo di Cristo dopo la sua morte. L’espressione solenne della Vergine mentre poggia il capo contro quello del suo bambino è di tenerezza materna, ma anche un’indicazione del suo dolore a venire. La croce di Giovanni Battista e l’unguento di Maria Maddalena, rappresentano un simbolo del destino del bambino sul suo grembo: la crocifissione e la morte. Non sappiamo per quale chiesa sia stata fatta questa pala. Essendo dipinta su tela, Mantegna avrebbe potuto dipingerla nel suo studio a Mantova, arrotolarla e spedirla dove era stata richiesta.
La Sacra Famiglia con San Giovanni – di Andrea Mantegna (1500 ca.)
Cristo è mostrato in piedi sulla sporgenza di una struttura ovale, forse un pozzo. Tiene una sfera di vetro nella mano sinistra e un ramo d’ulivo nella destra; sembra un re o un imperatore romano. La sottilissima tunica si aggrappa al suo corpo e possiamo vedere la sua pancetta sotto di essa. Il cugino di Cristo, San Giovanni Battista, sta alla sua destra. Indica Cristo, un’indicazione del suo ruolo di precursore – colui che predisse il significato della vita e della morte di Cristo. Il rotolo che si dispiega intorno alla gamba era originariamente inciso con le parole usate mentre lo battezzava: Ecce Agnus Dei (in latino ‘Ecco l’Agnello di Dio’, Giovanni 1: 29). La Vergine sembra essere in piedi all’interno del pozzo. Questo potrebbe essere un riferimento al ‘pozzo chiuso’ descritto nel Cantico dei Cantici (4:12), che divenne un simbolo della verginità di Maria.
L’introduzione del culto di Cibele a Roma – di Andrea Mantegna (1505-6)
Il dipinto di Mantegna faceva parte di una serie (mai terminata) di episodi collegati che, una volta disposti in sequenza sulla pareti di una stanza sarebbero apparsi come un fregio scolpito. Più del rilievo marmoreo, tuttavia, l’artista imita le sembianze dei cammei – i lavori dell’arte antica maggiormente apprezzati nel Rinascimento – nei quali le figure scolpite in uno strato colorato della pietra emergevano da un altro strato, di colore diverso, che fungeva da sfondo. Neppure i più grandi cammei romani possono paragonarsi per le dimensioni al dipinto di Mantegna, cosa che lo fa apparire di particolare pregio e rarità. Un busto della dea Cibele (modellato su un’antica scultura romana) e una lampada vengono trasportati su una portantina dai sacerdoti del culto, preceduti da uno degli accoliti in pantaloni di foggia orientale. La figura inginocchiata dalla capigliatura scomposta potrebbe essere Claudia Quinta. Scipione dev’essere l’uomo che si rivolge gesticolando verso i diffidenti colleghi senatori. Sulla destra, un veggente con turbante illustra l’esotico culto a un soldato romano, mentre un giovane africano suona un piffero e un tamburo. Le cromie della pietra che variano gradatamente dal grigio-oro e di tonalità più fredda delle figure fino al brillante sfondo variegato, e il movimento che riverbera nell’intera scena, si combinano per creare l’illusione di una scultura animata vibrante di vita.
Sansone e Dalila – di Andrea Mantegna (1500 ca.)
Convinta dal denaro dei Filistei, nemici di Israele, Dalila accettò di collaborare alla cattura di Sansone, l’eroe israelita dell’Antico Testamento e suo amante. Tagliò la fonte della sua forza leggendaria – i suoi capelli – mentre dormiva (Giudici 16: 18-21). Il suo tradimento è sottolineato dall’iscrizione latina scolpita sull’albero: “la donna è tre volte peggiore del diavolo in persona”. Una lussureggiante vite, carica di grappoli maturi, circonda l’albero, che non ha foglie proprie. L’uva può riferirsi al vino dell’Eucaristia, che veniva bevuto durante la Messa e si pensava si trasformasse nel sangue di Cristo. Come Sansone, Cristo fu tradito e consegnato ai suoi nemici; a differenza di Sansone, si credeva che la sua morte redimesse l’umanità dal peccato. Mantegna realizzò una serie di immagini di donne famose tratte dalla Bibbia e dalla letteratura classica, dipingendole in modo che sembrassero antichi rilievi in pietra o bronzo su fondali di marmo colorato.
La Vestale Tuccia con un setaccio e una donna (Sofonisba) che beve – Andrea Mantegna (1495-1506 ca.)
L’opera della Vestale Tuccia, fa parte di quella produzione di grisaglie che caratterizzò diverse opere del maestro mantovano negli ultimi anni della sua carriera. Tali opere rivaleggiavano con la scultura ed erano molto apprezzate nell’ambiente della corte.
La tavola fa coppia con quella di Sofonisba nello stesso museo, che originariamente doveva avere misure identiche, e con due tele, Giuditta e Didone, oggi al Montreal Museum of Fine Arts, con le quali formavano il gruppo delle Donne esemplari dell’antichità.
- Tuccia era una vestale romana, ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità (incestum), colpa punita con una pena severissima. La vestale chiese di poter provare la sua innocenza sottoponendosi a una ordalia consistente nel tentare di raccogliere l’acqua del Tevere con un setaccio. Con l’intervento della dea Vesta, la prova riuscì e Tuccia venne ritenuta innocente.
- Sofonisba fu una nobile cartaginese moglie di Siface, re dei Numidi, che lei avrebbe spinto ad allearsi con i Cartaginesi contro i Romani. Fatta prigioniera da Massinissa insieme con il marito dopo la sconfitta nella battaglia dei Campi Magni (203 a.C.), probabilmente si uccise bevendo un veleno.
L’Orazione nell’orto – di Andrea Mantegna
Fu forse lo studio intenso delle antiche rovine a suscitare in Mantegna un interesse per la pietra. Dove si richiedeva magnificenza, egli dipinse pavimenti di marmo, colonne e mura di alabastro, porfido, serpentino e altre pietre esotiche, apprezzate nella Roma imperiale e nella Venezia medievale. La nota predominante di questa ‘Preghiera nell’orto’ è, tuttavia, costituita dalla possente asperità della nuda roccia del Monte degli Ulivi. La città viene rappresentata come doppiamente infedele. Falci di luna, emblemi dell’Islam coronano le sue torri; un monumento equestre dorato sopra una colonna scolpita e un edificio circolare simile al Colosseo richiamano la Roma pagana. Da una delle porte cittadine esce la colonna di soldati con Giuda in testa. Questo è l’episodio narrato in tutti i vangeli, che precede la cattura di Gesù. Dopo l’Ultima Cena egli uscì da Gerusalemme insieme ai suoi discepoli per pregare dicendo: ‘Una tristezza mortale mi opprime…’ (Marco 14:34). Ma anzichè vegliare con lui, Pietro, Giacomo e Giovanni si abbandonano al sonno. Mantegna illustra il doloroso momento della rassegnazione di Cristo alla volontà di Dio Padre. Davanti a lui cinque angeli, nudi come gli atletici amorini dell’arte antica, reggono gli strumenti della sua Passione: la colonna della Flagellazione, la croce della Crocifissione, la spugna pregna di aceto che gli fu offerta, la lancia che gli trafisse il fianco. Un avvoltoio, presagendo l’imminenza della morte, osserva la scena da un ramo secco.
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L’assassinio di San Pietro martire – di Giovanni Bellini
Questa scena racconta la storia dell’omicidio di San Pietro Martire, un frate dell’Ordine domenicano che fu ucciso da membri dei Catari, una setta eretica contro i cui insegnamenti, aveva parlato pubblicamente. Il santo è raffigurato a sinistra – crollato in ginocchio, con un’ascia conficcata nel cranio. Il suo assassino gli dà un ultimo colpo al petto con un pugnale. Fino alla recente pulizia e restauro, il quadro era coperto da strati di vernice che si erano oscurati nel tempo, derivanti forse da vecchie riverniciature. La pulizia ha rivelato la mannaia nella testa del santo, una caratteristica delle sue immagini. La pulizia ha anche rivelato che i tronchi scuri degli alberi sono intervallati da barlumi di luce estiva brillante. Questa luce è forse una promessa di salvezza – la vita di Pietro e il suo martirio per la fede lo hanno portato ad essere dichiarato santo nel 1253.
San Girolamo che legge tra le rocce – di Giovanni Bellini
Un uomo anziano, scalzo e con un’imponente barba grigia, è appollaiato su una roccia, assorto in un libro. Questo è San Girolamo, traduttore della Bibbia in latino. Il suo unico compagno è un affettuoso leone che giace pacificamente in un angolo, addomesticato dal momento in cui gli è stata tolta una spina dalla zampa.
Bellini ha dipinto questo soggetto più volte, utilizzando sempre il paesaggio e l’illuminazione drammatica per trasmettere significato. Le scogliere torreggiano intorno a Girolamo, tagliandolo fuori dalla civiltà (rappresentata dalla città sullo sfondo). Una luce brillante cade sul santo e sulle torri lontane, ma il paesaggio tra di loro è immerso nell’ombra.
Recenti studi tecnici hanno confermato che il dipinto è dello stesso Bellini, piuttosto che di un seguace. La testa di Girolamo è dipinta con grande attenzione ai dettagli, e da vicino si possono vedere le singole pennellate nei capelli e nella barba.
L’agonia nell’orto – di Giovanni Bellini
Il discepolo di Cristo, Giuda – visibile appena oltre il fiume, che conduce un gruppo di soldati a Cristo – lo ha tradito. Consapevole del suo imminente arresto e morte, Cristo prega; appare un cherubino che gli porge un calice. Il calice rimanda alle parole della sua preghiera: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia non come voglio io, ma come vuoi tu» (Matteo 26:39).
Qui Bellini sperimenta lo stile del cognato, Andrea Mantegna: le forme rupestri in primo piano a sinistra hanno bordi dritti e sembrano, come quelle di Mantegna, come se fossero state scolpite con uno scalpello. Anche i drappeggi ricordano quelli del Mantegna nelle loro pieghe nitide e taglienti.
La tunica rosa di Cristo si fonde con la luce color pesca del cielo dell’alba, che mette in risalto la parte inferiore delle nuvole gonfie. Bellini continuerà a sviluppare la sua straordinaria sensibilità per gli effetti mutevoli della luce sui paesaggi durante tutta la sua carriera.
Doge Leonardo Loredan – di Giovanni Bellini (1501-2)
Leonardo Loredan fu Doge di Venezia dal 1501 a 1521. In questo ritratto eseguito da Bellini è rappresentato, come tradizione a Venezia, in abiti da cerimonia: il cappello e i bottoni decorati sono parte infatti del guardaroba ufficiale. Si è identificato il Doge Loredan confrontando questo quadro con il ritratto raffigurato sulla sua medaglia. Sul capo porta il cosiddetto “corno”, copricapo tipico dei dogi che veniva indossato sopra un berretto di lino. E’ raffigurato a tre quarti, anziché di profilo, come imponeva la tradizione iconografica dei ritratti dei dogi. L’opera è firmata in forma latina IOANNES BELLINVS sul cartiglio fissato al parapetto, ed è considerata il risultato più alto della ritrattistica di Bellini, autore che ha contribuito a rendere questa forma d’arte particolarmente popolare a Venezia. L’opera è stata acquistata dal museo nel 1844.
San Girolamo nel suo studio – di Vincenzo Catena
San Girolamo, che ha tradotto la Bibbia in latino dal greco e dall’ebraico, sta leggendo nel suo studio, circondato da libri, un calamaio, una candela non accesa e il Crocifisso. Un leone, il suo compagno tradizionale, giace a terra vicino alle sue pantofole pieghettate. La pernice può essere associata sia alla verità che all’inganno. L’abito rosa di Girolamo, il cappuccio blu e il cappello sono insoliti; di solito lo si vede indossare le vesti rosse di un cardinale. L’elaborato leggìo in ottone è ornato a zampa di leone e ha una lunga punta a cui potrebbe essere attaccata una candela per la lettura dopo il tramonto. Negli armadi aperti ci sono una brocca di vimini, un vaso e altri libri di San Girolamo. Tutti gli oggetti nella stanza sono meticolosamente dipinti. L’artista veneziano Catena potrebbe essersi formato con Giovanni Bellini, ed è facile vedere l’influenza dello stile chiaro e nitido di Bellini in questo quadro.
Adorazione dei Magi – di Giorgione
La forma e il soggetto di questo quadro suggeriscono che sia stato forse dipinto come parte della predella (o parte inferiore) di una pala d’altare, anche se le predelle erano già rare nell’arte veneziana durante la vita di Giorgione. La Vergine, il Bambino e san Giuseppe sono seduti sui gradini della stalla dove è nato Cristo. I Re Magi hanno portato doni per Cristo, inginocchiandosi ad una leggera distanza dalla Sacra Famiglia. Gaspare ha già dato la sua ampolla con la mirra a Giuseppe; il re più anziano, Melchiorre, sta per presentare una ciotola d’oro. Baldassarre, il re più giovane, si inginocchia più lontano tenendo una sfera di vetro che probabilmente contiene incenso. Gli addetti indossano costumi esotici e turbanti, ricordando le loro origini Orientali.
Concerto – di Lorenzo Costa
Con questo dipinto, Costa inventò un tipo di immagine che sarebbe diventato molto popolare nel nord Italia, in particolare a Venezia, nel XVI secolo. La banda dei cantanti è assorta nel cameratismo della loro musica; mentre canta, la giovane donna tiene il tempo battendo le dita contro la sporgenza di marmo e la spalla del suo compagno. È concentrata, i suoi occhi si abbassano verso il libro aperto contenente la composizione musicale. Il giovane dietro di lei sembra sforzarsi per raggiungere o tenere una nota e anche lui sta toccando il tempo sulla sporgenza. L’immagine non raffigura un particolare momento o persone. È più probabile che sia stata fatta per intrattenere un mecenate colto e ricco che, come i suoi contemporanei, ha abbracciato la moda del ‘Cantare a libro’ (cioè leggendo le diverse parti della musica scritta, contrapposto al “cantare a memoria” aperto alla pratica dell’improvvisazione), una tendenza in via di sviluppo nel nord Italia.
La Circoncisione – di Luca Signorelli
L’opera venne dipinta per l’altare della Cappella della Circoncisione nella chiesa di San Francesco a Volterra, appartenente alla Confraternita del Santissimo Nome di Gesù. Vasari vide il dipinto e riportò come fosse danneggiato dall’umidità, con il Bambino che era stato dovuto ridipingere dal Sodoma, che forse coprì in quell’occasione una rappresentazione più esplicita della circoncisione.
Seguendo la tradizione ebraica, Cristo fu circonciso quando aveva otto giorni (Luca 2: 21). Seduto sul grembo della madre, raggiunge il Mohel (di solito un medico, che si occupa del rituale della Brit milà – Patto della circoncisione), l’uomo che eseguirà l’intervento, che ha in mano una lama sottile. I pavimenti in marmo dai colori vivaci sono progettati per attirare l’attenzione di chi guarda, e i bordi bianchi portano la vista verso il centro dell’immagine, il Cristo bambino.
La Vergine e il Bambino – di Masaccio
Questo era il pannello centrale di una grande pala d’altare realizzata per la chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa. La forma robusta della Vergine, simile alla scultura fiorentina contemporanea, proietta un’ombra sul trono scolpito. Il corpo di Cristo sembra carnoso e tridimensionale; Masaccio lo ha fatto mostrando come certe zone catturino la luce, dipingendole con un tono più chiaro. La sua capacità di rappresentare figure sante come se fossero umane era innovativa e influente.
Masaccio utilizzò anche la nuova tecnica della prospettiva a punto singolo, che aiutava a far apparire alcuni oggetti più vicini e altri più lontani. Questo è più chiaro nella forma a “V” creata dagli angeli con l’angolo dei liuti.
Cristo è mostrato mentre mangia l’uva. È un ricordo del vino dell’Eucaristia, che i cristiani bevono simboleggiando il sangue versato da Cristo alla sua crocifissione.
(segue)