Il Castello a mare era chiamato così per distinguerlo da quello di Terra già il 30 ottobre 1311, quando in un documento custodito nell’archivio storico delle provincie napoletane “si fa premura al Giustiziere di Terra d’Otranto d’assoldare altri inservienti a custodia del Castello a Mare e la Torre della Catena del porto di Brindisi e, se occorre, di chiamare a difesa i baroni e le altre genti” (S. De Crescenzo, Notizie storiche .. – da N. Vacca – Brindisi Ignorata p. 157) .
“Ai principi del ‘400 il castello era alquanto malridotto. Infatti è del 1410 un ordine di re Ladislao al Giustiziere e al maestro della Camera di Terra d’Otranto di eseguire riparazioni alla fortezza a mare nonchè ai suoi ponti e alla sua catena.” (CD, III a. 1410 in Biblioteca Arcivescovile A. De Leo MSS vol. 43; id.)
Dopo la presa di Otranto da parte dei turchi, ossia dopo il 1480, alle due torri, la cilindrica e la quadrata, ne fu aggiunta un’altra poligonale, come terzo vertice del castello ormai triangolare, fortificato con alte mura. Nell’interno di questo triangolo dovette, probabilmente, essere inclusa e poi distrutta la chiesa di S. Andrea e l’annessa abazia. Nella seconda metà del secolo XVI, fu costruito alle spalle del castello il Forte che, non coprendo tutto il resto della superficie dell’isola, si pensò di isolare praticando nella roccia il taglio di un canale.
Poche e scarne le notizie documentarie che riguardano la chiesa.
Nel 1059, due baresi, Mele e Teudelmanno, chiesero all’arcivescovo di Oria e Brindisi – Eustasio, di ottenere l’Isola di S. Andrea, dove esistevano i resti di un antico convento basiliano, per fondarvi una congregazione di monaci. L’arcivescovo acconsentì e nominò Mele abate, stabilendo che la comunità dovesse seguire la regola di S. Benedetto. E’ probabile che l’intenzione del vescovo Eustasio, filolatino, fosse di iniziare la latinizzazione della diocesi con l’erezione di una nuova chiesa che sorgesse sui resti di quell’antico convento basiliano in cui probabilmente era d’uso il rito greco.
La chiesa, ebbe a quanto si può dedurre dai frammenti scultorei superstiti, impianto basilicale, con colonnati dai grandi capitelli scolpiti, di una dimensione e qualità che normalmente si addicono alle cattedrali.
Di tanta grandezza, rimangono unici testimoni alcuni resti scultorei conservati nel Museo Ribezzo di Brindisi (abstract – Alle sorgenti del Romanico – Puglia XI secolo, AA.VV. a cura di Pina Belli D’Elia. Dedalo Lit. Bari 1975)
Ai seguenti link i nostri articoli:
– Il Castello di Mare (o Castello Alfonsino) http://wp.me/p8GemW-md
– Il restauro del Castello Alfonsino http://wp.me/p8GemW-3u6
– I grandi capitelli di S. Andrea all’isola http://wp.me/p8GemW-2Aj
English Traslation
Il Castello e il Forte visti dal porticciolo turistico di Bocca di Puglia
Il Canale Vicereale
Opera a corno vista dal Torrione San Filippo
Ingresso della darsena
La Darsena
Le antiche fondamenta del muro lasciate a vista dalla Soprintendenza
La Darsena vista dai camminamenti di ronda
Portale con le insegne di Filippo III e Forte a mare (Piazza d’armi)
Interni del Castello
Le sale
Il faro all’ingresso del porto
Resti dell’antica chiesa di S. Andrea conservati presso il Museo Ribezzo di Brindisi
Capitello in marmo del XII sec. risulta dalla riutilizzazione di una base onoraria romana di età traianea.
La provenienza dall’Isola è accertata dal Mommsen sulla base di una notizia manoscritta dello storico locale Casimirus (1567). Benché mutila e molto abrasa, la scultura si pone chiaramente come un modello per una serie di capitelli nella chiesa di S. Benedetto ed altri, nel Museo Provinciale, provenienti forse dalla cattedrale del XII secolo.
Capitello in marmo dell’XI sec. Una serie di archetti delimitano quattro gruppi di tre figure, due maschili e una femminile, che si tengono per mano quasi intrecciando una danza.
Gli uomini vestono corte tuniche strette da cinture annodate e hanno il volto parte rasato, parte ornato da baffi. Le donne indossano chitone pieghettato.
Anche per questo capitello la provenienza dall’Isola è indiscutibile. Il Wackernagel lo vide usato come pozzo nel cortile del R. Ufficio Semaforico.
Capitello in marmo dell’XI sec. Sulle quattro facce un bue, un leone e due arieti azzannati da protomi leonine centrali. Parte inferiore e cestello di foglie di acanto. Gli animali sono separati da una pianta con delle pigne pendule.
Il capitello proviene sicuramente da S. Andrea, dove lo scoprì il Wackernagel, trasformato in acquasantiera in una cappella allora usata come magazzino.
Semicapitello in marmo. La parte inferiore, semicilindrica, è ricoperta da un fitto intreccio di rami, con foglie piatte e pigne, che partono da un grosso fusto centrale a forma di torciglione. Gli attacchi sono segnati da grosse borchie rotonde. Nella zona superiore, quattro arieti, due addossati al centro della faccia e due che escono a metà dalle ali laterali, si incontrano agli spigoli, con una sola testa in comune per due corpi. Il pelame degli arieti è indicato da piccole ciocche triangolari striate e pendenti, a forma di fiamme. Tra gli arieti, allo spigolo, una piccola pianta affine a quella che nel semicapitello separa gli uccelli. I due capitelli provengono indiscutibilmente dall’Isola del porto, dove li vide ancora l’Ascoli, «posati presso i ruderi del vecchio convento». Appartenenti al primitivo convento basiliano dell’Isola, li ritengono anche Primaldo Coco e Benita Sciarra. Il Wackernagel, pur notando persistenze di gusto alto-medioevale, li accosta agli altri due capitelli dello stesso museo, datandoli di conseguenza tra l’XI e il primo XII secolo.
Le didascalie del materiale scultoreo sono tratte da B. Sciarra, Brindisi. Museo archeologico provinciale