Situato presso la certosa di San Martino, un’area palaziale di Napoli situata sulla collina del Vomero, accanto al castel Sant’Elmo, il museo nazionale di San Martino fu aperto al pubblico nel 1866, all’indomani dell’Unità d’Italia, dopo che la Certosa inclusa tra i beni ecclesiastici soppressi, fu dichiarata monumento nazionale. Per volontà dell’archeologo Giuseppe Fiorelli gli ambienti furono destinati a raccogliere in un museo testimonianze della vita di Napoli e dei Regni meridionali (Regno di Napoli e Regno di Sicilia prima e del Regno delle Due Sicilie dopo).
Di seguito la nostra visita.
L’androne delle carrozze
L’androne delle carrozze, di collegamento tra il Chiostro dei Procuratori e i giardini della Certosa, coperto e pavimentato intorno al 1886 nel corso dei lavori di riordino museale curati dall.arch. Alberto Avena, ospita due carrozze: la più antica è una carrozza di gala in legno dorato, impreziosita da placche in rame un tempo dipinte, sete e velluti, commissionata dal Tribunale di San Lorenzo tra fine Seicento e inizio Settecento per gli Eletti della Città e donata al Municipio di Napoli nel 1865.
La sontuosa carrozza fu utilizzata fino al 1861 per le grandi cerimonie pubbliche, come le processioni del Corpus Domini. L’altra è invece una elegante berlina di corte, già a Palazzo Pitti a Firenze, eseguita nel 1804. Impiegata per recarsi al Duomo e per la Festa di Piedigrotta da Ferdinando II e dalla moglie Maria Cristina di Savoia, al cui nome è comunemente legata, la vettura era stata utilizzata in precedenza da Ferdinando I per le uscite di gran gala in forma pubblica.
All’allestimento dello stesso Avena risale la sistemazione alle pareti dei grandi stemmi di provenienza vicereale e reale. Quello grandioso sulla destra e i due al centro dell’ultima arcata della parete sinistra provengono dall’antica Porta Medina, realizzata nel 1640 su disegno di Cosimo Fanzago; il primo recava le armi di Filippo IV di Spagna, mentre gli altri due, più piccoli, le insegne della Città di Napoli e del Vicerè Ramiro Filippo de Guzmàn duca di Medina; sia le armi vicereali che quelle del sovrano furono scalpellate nel 1799, nel periodo rivoluzionario della Repubblica Napoletana. Gli stemmi pervennero al museo nel 1889, in seguito alla demolizione nel 1783, dell’antica porta situata nei pressi dell’attuale piazza Montesanto.
Tra gli stemmi borbonici e gentilizi in marmo, provenienti da edifici abbattuti nel corso dei lavori di Risanamento, si segnala, sulla parete sinistra, lo Stemma dei Borbone delle due Sicilie, ornato dal collare dell’Ordine di San Gennaro, proveniente dalla porta d’ingresso di Castel Nuovo e già sul bastione settentrionale, demolito nel corso dei lavori di isolamento del castello avviati dopo l’Unità d’Italia.
Stemma di Filippo IV di Spagna, 1640
Stemma della città di Napoli
Stemma della famiglia Borbone, sec. XVIII
Stemma della famiglia Borbone, sec. XVIII
Stemma del re spagnolo Filippo d’Asburgo
Stemma del cardinale Gaspare Borja y Velasco (?)
Stemma del vicerè Antonio Alvarez de Toledo y Beaumont (?), sec. XVII
Appena all’inizio dell’androne è conservato un singolare documento storico: la Colonna della Vicaria, un tempo antistante il Castel Capuano, dinanzi alla quale, fin a tutto il Settecento, si svolgeva l’umiliante pratica del cedo bonis, cioè l’esposizione al pubblico ludibrio dei debitori insolventi, rappresentata nel celebre dipinto raffigurante il Tribunale della Vicaria (..).
Più avanti, incassata nella parete, è l’epigrafe del 1654 sormontata dallo stemma del cardinale Ascanio Filomarino, che ricorda i lavori di ampliamento del Palazzo Arcivescovile. E’ visibile traccia “dell’accoltellato” settecentesco in mattoni alla quota originaria.
Colonna della Vicaria, sec. XVII
Colonna miliare indicante la distanza dal Ponte della Maddalena a Reggio Calabria
In restauro
La berlina di Ferdinando I
Realizzata nel 1806 per Ferdinando I di Borbone, fu probabilmente utilizzata da Gioacchino Murat dopo la sua nomina a reggente del Regno di Napoli nel 1808 e fino alla sua tragica fine nel 1815. Dopo la restaurazione, la Berlina fu utilizzata da Ferdinando II e da sua moglie Maria Cristina di Saoia per partecipare a feste religiose e civili fino alla fine del Regno delle Due Sicilie e all’Unità d’Italia. Con lo spostamento della capitale del Regno a Firenze, la carrozza fu trasportata a Palazzo Pitti come altre carrozze reali, e, successivamente fu ceduta alla Certosa di San Martino. Una litografia del 1869, conservata presso la Presidenza della Repubblica, documenta la presenza di questa Berlina a Firenze con la denominazione Berlina di Gioacchino Murat.
Nell’ambito delle continue variazioni di gusto e innovazioni tecniche delle carrozze europee, questa Berlina di Gala rappresenta un momento di rottura e l’inizio del tramonto della grande tradizione napoletana: adotta infatti le innovazioni del primo ‘800 francese, tradendo la vocazione spagnola degli artigiani locali.
La carrozza è una classica Berlina caratterizzata dalla grande cassa, alta e dai profili sottili e slanciata; la sua eleganza è sottolineata dall’affascinante apparato decorativo. Le condizioni di avanzato degrado non consentono di immaginare neanche lontanamente la luminosità di questo legno: la cassa rivestita interamente da una lamina di bronzo dorato, delimitata dalla decorazione del carro in toni di ceruleo e oro, toni ripresi dai tessuti e dalle guarnizioni della serpa e degli interni.
Il carro è caratterizzato dalla presenza della doppia flèche a collo di cigno e dai palchi anteriori e posteriori forniti degli attacchi per la sospensione della cassa. Le grandi ruote e la leggerezza della struttura del carro aumentano la sensazione di agilità ed eleganza. Le superfici sono interamente decorate da un articolato apparato di intagli dorati con esempi di scultura lignea recanti i simboli del Regno e motivi decorativi, in cui ai primi stimoli dello stile Impero si associano curiosi dettagli di piccole figure e di animali di chiara ispirazione della tradizione popolare napoletana. Il repertorio di motivi decorativi e piccole figure è davvero straordinario e unico.
Bellissimo il disegno del palco posteriore con il montatoio centrale, così come la decorazione del rivestimento della pedana del cocchiere.
La cassa a sette luci, era sospesa con cinghie di cuoio sostenute da bracci fissi. Solo pochi anni dopo, sarebbero comparse le grandi molle Polignac, a migliorare il comfort e la resistenza meccanica delle carrozze.
La cassa è interamente rivestita da una lamina di bronzo dorato, oggi così ossidato da apparire verde scuro. Al centro dell’imperiale una scultura lignea recante i simboli della corona sorretta da due angeli; ai lati dell’imperiale e lungo gli spazi disegnati dalle luci dei finestrini, corre un fregio in lamina di bronzo dorato.
Dimensioni: lunghezza cm 495; larghezza massima cm 200; larghezza anteriore cm 195; altezza cm 250+80; diametro ruote posteriori cm 160; ruote anteriori cm 107.
Le due carrozze, conservate presso la Certosa di San Martino, rappresentano un tesoro e un documento storico di grande importanza, con un forte impatto sociale oltre che artistico. Molto diverse fra loro per epoca, tipologia e funzione, rientrano ambedue a pieno titolo nelle eccezionali vicende storiche della città di Napoli, dalla fine del ‘600 fino quasi all’Unità d’Italia. La conservazione di queste testimonianze uniche è una necessità resa ancora più evidente dalla loro sistemazione nell’androne centrale della Certosa, verso la grande terrazza con vista sulla città e sul Golfo, in un luogo costantemente fruito dai visitatori. Le condizioni conservative sono da tempo piuttosto gravi ed è evidente il rischio di ulteriori danni e della perdita di materiale originale.
Riportare i due manufatti ad un livello soddisfacente di lettura dello splendore originario significa non solo valorizzare un patrimonio eccezionale, ma anche rinnovarne il rapporto con la città e la sua storia sociale e culturale, ricreando i legami con altri manufatti lignei dello stesso periodo, come la significativa collezione di Villa Pignatelli, con le feste religiose e il tessuto della vita della Napoli settecentesca. Sappiamo dalle poche fonti note che queste due carrozze sono il prodotto delle migliori manifatture di Napoli: artisti affermati (Solimena, De Mura, Celebrano, Bisceglie, Olivieri e altri) , guarnamentari come la famosa famiglia Sperindeo, intagliatori, decoratori e doratori, ottonari e tante altre figure minori hanno collaborato alla manifattura e poi alle modifiche e rinnovamenti delle decorazioni e delle componenti strutturali. Se si pensa che nella seconda metà del ‘700 circolavano a Napoli circa 20.000 veicoli e, secondo una stima approssimativa, 80.000 persone vivevano grazie all’uso delle carrozze, ci rendiamo conto che queste due ultime testimonianze, sopravvissute all’abbandono e alla distruzione, rivestono un ruolo essenziale nel recupero dell’identità culturale di Napoli.
L’attuale intervento è finalizzato esclusivamente alla messa in sicurezza, alla verifica delle condizioni strutturali, alla documentazione, alla rimozione dei depositi incoerenti, alla messa a punto delle metodologie d’intervento per il restauro. Al termine sarà possibile fornire tutti gli elementi utili per la stesura del progetto di restauro e per una raccolta fondi e sponsorizzazioni in grado di sostenere il complesso intervento conservativo.
Carrozza degli Eletti. Maestranze napoletane, fine sec. XVII – inizi sec. XVIII, polimaterico, dono del Municipio di Napoli, 1865
Particolari
La Carrozza degli Eletti
La carrozza fu commissionata dal Tribunale di San Lorenzo per gli Eletti della Città negli ultimi anni del ‘600 e fu poi utilizzata durante feste civili e relìgiose, come la Processione del Corpus Domini, fino al 1861. Nel 1869 fu donata alla Certosa di San Martino dal Municipio di Napoli.
Nessun’altra vettura in Italia può essere paragonata, per fasto e importanza simbolica e artistica, alla Carrozza degli Eletti, la più antica fra le Berline reali. Raffigurata in numerosi dipinti, alcuni dei quali conservati presso la Certosa, la Carrozza rappresenta il meglio della manifattura di Carrozze, che ha avuto grande sviluppo a Napoli dalla seconda metà del ‘600 fino agli ultimi decenni del ‘700; è il prodotto di una corporazione potente, di maestranze artigianali conosciute in tutta Europa, di artisti di altissimo livello; di tessuti e cuoi provenienti dalle migliori manifatture del tempo.
Il contributo di Elio Catello in Scritti di Storia dell’Arte in onore di Raffaello Causa (1988), riporta notizie e documenti relativi sia alla manifattura originale che ad una serie di interventi settecenteschi, tesi ad attualizzare la carrozza riconducendola ai dettami dello stile proto rococò.
La carrozza è composta da una struttura portante costituita dal gruppo del carro e dalla cassa con la sua sospensione. Il carro è formato dalla parte anteriore, con il timone, gli attacchi per il treno dei cavalli e il palco della serpa, legata alla parte posteriore da una massiccia flèche a forchetta che corre sotto la cassa; il retro del carro reca il grande assale delle ruote posteriori e il ricco palco dei palafrenieri o postiglioni. La struttura presenta la tipica forte differenza nel diametro delle ruote posteriori rispetto alle anteriori e reca legature e assemblaggi originali. Tecnicamente interessante la realizzazione della grande flèche e del complesso sistema di legature in cuoio per contenere i movimenti oscillatori della cassa.
Tutte le superfici del carro recano decorazioni intagliate e dorate, con uno straordinario repertorio di immagini, motivi floreali e geometrici e splendidi esempi di scultura lignea. Un attento restauro potrà forse chiarire e confermare alcune ipotesi riportate nei documenti, in cui si attribuisce una diversa datazione per il gruppo carro (1698) rispetto alla cassa (1722).
La cassa ad otto luci, interamente dorata, è sospesa alle imponenti molle anteriori e posteriori mediante massicce cinghie di cuoio, ottenute dalla sovrapposizione di decine di pelli e regolate da grandi fibbie in bronzo dorato. La linea slanciata a diamante e il profilo delle nervature e delle luci sono tratti evidenti del tardo barocco; alla sommità dell’imperiale un fregio in bronzo dorato reca i simboli della città, figure allegoriche e motivi floreali. I fianchi della cassa presentano una doratura molto diversa, forse arricchita da una sorta di mecca, su una preparazione incisa a piccoli rombi.
Al centro delle portiere, dietro e davanti la cassa, sono applicati scudi, un tempo dipinti, e vasi, anch’essi in lamina metallica decorata. I documenti riportano diverse notizie relative all’attribuzione delle pitture: alcuni documenti citano il Solimena, altri l’Olivieri, fino al grande decoratore Falciatore. Gli interni, probabilmente rifatti alla fine del ‘700 o nei primi anni dell’800, sono in velluto rosso di seta damascata, con nappe e galloni in fili di seta dorata e tendine di raso di seta alle finestre. Anche il rivestimento della serpa sembra un rifacimento tardo settecentesco.
Dimensioni: lunghezza cm 680; larghezza massima cm 245; larghezza anteriore cm 235; altezza cm 305; diametro ruote posteriori cm 205; ruote anteriori cm 95.
Berlina di Ferdinando I. Maestranze napoletane, 1806, polimaterico, dono Teresa Caracciolo, duchessa di S. Teodoro, 1891
Particolari
La Galea di Carlo di Borbone
è il pezzo forte dell’esposizione permanente: una lancia di venti metri in legno intagliato e dorato, con baldacchino decorato nel “soffitto” da Fedele Fischetti, con lo stemma delle insegne cavalleresche della città. La galea, che si trova nel museo dal 1875, non si vedeva più da anni e venne raggiunta pochi anni dopo da un Caicco donato a Ferdinando IV di Borbone dal sultano Selim III (non visitabile ndr). Ma dobbiamo attendere il XX secolo perché nella collezione faccia il suo ingresso anche la Lancia reale di Umberto I di Savoia, varata nel 1889, che era conservata nei depositi del Regio Arsenale della Marina nelle grotte di Palazzo Donn’Anna a Posillipo.
La Galea di Carlo III, una gondola nera servita per il trasbordo dei regnanti quando partecipavano a feste sul mare o con funzioni di collegamento nel passaggio da una nave all’altra, con il suo fasciame intarsiato è un esempio delle abilità di una manodopera napoletana che assicurava qualcosa di più di un artigianato di pregio ai cantieri del re.
Lungo la parte più alta ed esterna dello scafo la barca esibisce intagli di mostri marini e pesci, un elenco ittico completo, degno della lunga lista di pesci della canzone del “Guarracino”: cozze, rombi e murene, persino tartarughe e leoni marini riprodotti dalle sapienti mani dell’intagliatore. Nella seconda sala è ospitata la Lancia Reale di Umberto I di Savoia, quattordici vogatori, legno bianco intarsiato con un drago marino aerodinamico quasi “futurista” che si slancia dal castello di prua, un ricco baldacchino. Rossana Muzii, la direttrice del museo di San Martino ha completato la sezione con materiali che arricchiscono la ricostruzione: nel caso della Lancia di re Umberto sono esposti dei progetti per abbellirla con drappi e tende di seta azzurra.
Due piccoli troni da navigazione in velluto rosso sono in mostra nella sala della Galea di Carlo, a cui si aggiunge una serie di armi bianche e da fuoco d'”ordinanza” dei corpi della Real Marina Borbonica.
Lancia reale a 14 remi di Umberto I di Savoia
Maestranze dell’arsenale di Napoli su disegno dell’ing. E. Frigeri – 1889.
Legno di quercia, abete, cipresso e tasso, verniciato, intagliato e dorato; ottone, rame e bronzo; metri 14 x 2,64 x 2,14 altezza massima; provenienza: cessione del Ministero della Marina 1917
La grande lancia, a 14 vogatori, fu trasferita dal Reale Arsenale nel 1917.
Costruita per il sovrano sabaudo, rappresenta uno degli ultimi lussuosi esemplari di barche a remi per parate e cerimonie pubbliche.
Lo stemma della dinastia Savoia con scudo crociato e coronato compare nell’aquila coronata a prua e sul baldacchino sorretto da una sirena.
Un ricco e fastoso decoro con granchi e conchiglie adorna lo specchio di poppa e la falchetta, bordo superiore delle fiancate; gli scalmi sono in ottone. In corrispondenza delle colonnine che sorreggono il baldacchino, entro medaglioni, sono i ritratti di grandi navigatori. Il timone ha un’elegante forma di drago marino.
Figure allegoriche delle Arti Liberali e Meccaniche sorrette da mostri marini completano la decorazione del baldacchino.
Opera di elegante disegno e fine intaglio è l’intera superficie interna dello scafo a traforo e motivi vegetali.
Tutte le notizie sono state riprese dal materiale diffusivo interno al Museo